Il Presidente Ucraino usa toni forti nel suo esordio in videoconferenza con l’Assemblea dei Parlamentari italiani riuniti nell’Aula di Montecitorio. Zelensky apparso teso e molto stanco, questa volta in camicia, ma sempre verde-militare, colpisce le coscienze dei Parlamentari lasciando loro immaginare la città portuale di Genova sotto i ripetuti e agghiaccianti attacchi di terra e di mare di un esercito invasore. Con tutto quello che ne consegue: i lutti, le devastazioni della città , la fuga degli abitanti per portarsi in salvo.
Questo scenario virtuale ed ipotetico che Zelenky vuole rappresentare al nostro Paese é quanto sta realmente accadendo a Mariupol, città Ucraina che si affaccia sul mar d’Azov, propaggine settentrionale del Mar Nero. Con l’unica colpa di trovarsi in una posizione strategica per l’Armata Russa che anela ad accaparrarsi uno spazio ulteriore sul quel lembo di mare che ritiene fondamentale per le espansioni militari ed economiche della Russia di Putin.
E poi ancora: “L’Ucraina é il cancello che l’esercito Russo sta sfondando per entrare nella nostra Europa. Ma la barbarie non deve entrare”. Frasi ad effetto, queste di Zelensky che colpiscono profondamente coloro che hanno una età ragguardevole e che ricordano i massacri compiuti dai Russi sulla inerme popolazione di Praga e della Cecoslovacchia nel 1968. Un Paese satellite della Russia, un partner fedele dell’alleanza politico-militare del Patto di Varsavia la cui popolazione iniziò, a quel tempo, a ribellarsi contro il Regime comunista. Studenti, operai, uomini e donne del popolo scesero per strada per rivendicare riforme liberali, ma vi trovarono i carri armati sovietici, ungheresi, Bulgari, Polacchi, della Germania dell’Est. Gli eserciti del Patto di Varsavia che invasero congiuntamente e contemporaneamente Praga e l’intero Paese per soffocare ogni anelito di “Socialismo dal volto umano” propugnato da Alexander Dubcek. Un comunista pentito, innamorato della libertà e fautore della “Primavera di Praga”: un percorso democratico e popolare che mirava all’affrancamento della Cecoslovacchia dalla egemonia sovietica.
Ma non si trattava della prima volta che i carri armati russi varcavano le frontiere dei paesi satelliti per “normalizzare” con il sangue i tentativi di ribellione dei popoli sottomessi. Alcuni anni prima era accaduto all’Ungheria. Il 23 Ottobre del 1956, a seguito di manifestazioni studentesche contro la presenza di truppe sovietiche di occupazione nelle città magiare, l’esercito russo intervenne per soffocare la ribellione popolare lasciando sul campo circa tremila vittime ungheresi e 270 soldati russi. Fu necessario persino chiedere aiuti militari a Mosca, non essendo riusciti con le truppe russe di stanza in Ungheria a tener testa alla rivolta di un intero popolo. E così si ebbe la prima storica invasione militare del dopoguerra, culminata con un bagno di sangue del popolo Ungherese. Ma come é noto e lo abbiamo già ricordato, solo 12 anni dopo la storia concesse una tragica replica con l’invasione della Cecoslovacchia. E alcuni anni dopo, come accade spesso nei terremoti, ecco l’ennesima replica, diciamo di “assestamento”. E via con una nuova ed ulteriore invasione sovietica, questa volta dell’Afghanistan. Siamo a metà Dicembre del 1979, solo 10 anni prima della caduta del muro di Berlino. L’Armata Rossa invade il paese asiatico giustificando al mondo intero la necessità di deporre il sanguinario dittatore Afgano Amin Hafizullah, considerato amico della Agenzia americana CIA. In realtà i Russi temevano che le endemiche turbolenze delle innumerevoli etnie afghane potessero estendersi ai territori delle Repubbliche musulmane dell’Unione Sovietica, destabilizzando di fatto un’area vasta, già oggetto di forti fibrillazioni autonomiste nei confronti di Mosca. La guerra cruenta che seguì l’invasione dell’Afghanistan durò ben dieci anni. Vide la cattura di Amin, dei membri della sua famiglia, dei suoi collaboratori stretti e consiglieri militari che furono tutti fucilati da agenti del KGB nel palazzo Presidenziale di Kabul. Ma ben presto, tutti i combattenti espressione delle innumerevoli etnie afghane, notoriamente in conflitto perenne tra loro, si coalizzarono nella lotta contro l’invasore russo. Dopo 10 anni di guerriglia sanguinosa, l’Armata Rossa, nonostante la preponderanza di uomini e mezzi militari impegnati in questa guerra, fu costretta al ritiro delle truppe e alla cessazione delle ostilità (15 febbraio 1989) lasciando sul campo oltre 26.000 caduti sovietici, 54.000 feriti, oltre 500 dispersi e 415.000 soldati gravemente ammalati per cause di guerra: dal congelamento al tifo, dall’epatite alla tubercolosi. La bruciante sconfitta militare dette avvio a profonde riflessioni critiche in patria da parte dell’opinione pubblica russa e anche tra le fila dei politici locali, con una fortissima accelerazione del processo di implosione dell’Unione Sovietica.
Siamo giunti a tempi più recenti. L’Unione Sovietica non esiste più. Lascia lo spazio alla Federazione Russa, guidata da Vladimir Putin, un ex potente funzionario politico del feroce KGB Sovietico. Potremmo dire che “il lupo (o l’orso) perde il pelo ma non il vizio”. Certo è che ancora una volta l’esercito russo (per la prima volta dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della cosiddetta “Guerra fredda”) valica i propri confini ed entra prepotentemente in un nuovo conflitto. Siamo nel mese di Settembre del 2015 e lo scenario di guerra é la Siria. Non staremo qui a ricordare questo ennesimo e sanguinoso conflitto, perché troppo recente per non ricordare. Soprattutto gli effetti devastanti dei bombardamenti russi a tappeto sulle città e sulle popolazioni locali (i cui risultati si fanno ancora notare attraverso i flussi ininterrotti di profughi siriani che tutto il mondo occidentale e l’Italia in primis accoglie tutt’ora!). Ci limitiamo soltanto a sottolineare che, in ragione del discutibile e feroce operato delle forze armate di mosca, distintesi nei bombardamenti sistematici di ospedali e strutture sanitarie, oltre che di obiettivi civili e popolazione inerme, la Russia ha subito la cancellazione del proprio seggio nel Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. E scusate se é poco!
Certo, non soltanto i Russi si sono macchiati di nefandezze inenarrabili. La storia é piena di episodi raccapriccianti cui abbiamo assistito o soltanto conosciuto l’esistenza. Dal lancio (inutile) delle due bombe atomiche su Yroschima e Nagasaky, con un Giappone ormai sconfitto e inoffensivo nel 1945, all’uso indiscriminato del “Napalm” sulle popolazioni nord vietnamite negli anni 70 cui ricorsero invano gli americani per piegare la resistenza di un popolo intero.
Nessuno sconto per tutti gli imperialismi che si sostengono e prosperano facendo ricorso all’uso delle armi !!
Tuttavia non può essere sottaciuta la lunga striscia di sangue che il Comunismo ha lasciato in Europa, con una consuetudine e una ripetitività sconcertante a partire dall’ l’invasione dell’Ungheria del 1956 e sino ai nostri giorni con l’Invasione dell’Ucraina. Una regia unica. Un copione già scritto che lascia dietro di se solo lutti e distruzioni. E ha ben ragione il Presidente Zelensky di ammonire i governanti dei Paesi Occidentali: “L’Ucraina é il cancello che l’Esercito Russo sta sfondando per entrare nella nostra Europa”. La storia é maestra di vita, ci dicevano i nostri insegnanti alle scuole medie. Ma per noi può essere sufficiente conoscere la storia recente del vecchio continente per isolare e respingere adeguatamente ogni forma di autoritarismo anacronistico e criminale.