È andato in scena ieri l’ennesimo atto del nuovo “pacco” per Napoli, sotto la magistrale direzione del presidente del consiglio dei ministri (di chi?) Mario Draghi e del primo cittadino partenopeo Gaetano Manfredi.
Stando a quanto dichiarato dal Sindaco, da oggi Napoli dovrebbe essere a tutti gli effetti una “nea polis” in cui il cittadino contribuente riceverà ogni sorta di servizio – più che richiesto – dovuto: trasporti che funzioneranno (usiamolo il futuro che è meglio!) e che “saranno secondi solo a Tokio” (semicit.), spazzatura scomparsa, compattata, smaltita e ottimizzata, sicurezza garantita per tutti e ovunque, viabilità invidiabile, (r)esistenza dei servizi sociali, istruzione non distrutta, verde pubblico esistente e fruibile e potremmo non finirla più di nominare i mille problemi cronici di cui soffre la capitale del Mezzogiorno d’Italia e che, con un colpo di bacchetta magica, o meglio, viste le “(s)comparse”, di spugna, dovrebbero scomparire.
Ma… ma il sindaco è il re dell’immobilismo e il primo classificato ex aequo con un’altra eccellenza topica della lacrimuccia facile, mentre la controparte astante è rappresentata da quel Mario Draghi che non è proprio il più amato dagli Italiani, ma piuttosto il liquidatore di Bruxelles. E dove possono incontrarsi di questi tempi? Nella Sanità! Che non è per niente ciò che loro intendono. Così mentre Draghi visitava il tempio in cui quel martire di don Beppe Rassello ha lasciato ben altri tesori e ricchezze che non quelli stipati (si spera!) nei meandri di Partenope e stringeva mani ai profughi ucraini – per loro non bastava già la guerra? – fuori riceveva una calorosa accoglienza da parte di personaggi autoctoni che rispondono al nome di Italiani. Completamente dimenticati e, se ricordati, lo sono solo per essere vessati, vilipesi, offesi da parte di quello che dovrebbe essere il loro Presidente.
Draghi ci prova a spacciarsi per politico, ma con le solite promesse, in realtà ratifica – che è ciò che sa fare meglio – un piano di rilancio per Napoli, o meglio, di ripiano dei debiti. Una rateizzazione (a strozzo) decennale sfruttando i fondi del Pnrr. P(n)rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!! Son certo che il napoletanissimo Eduardo e ripreso dall’altrettanto napoletanissimo Totò – che continuano a ricordare a tutti “ca ccà nisciuno è fesso”! – l’avrebbero letta così.
Lo spacciatore della moneta unica che noi scambiamo (leggasi compriamo) a circa due mila delle vecchie care lire, che ha fatto raddoppiare i prezzi di tutto – all’inizio, perché poi sono continuati ad aumentare (caro benzina, caro gas, caro vita sono drammi tristemente attuali e inguaribili, ma calmierati per questo mese da cui ben si capiscono intenti, scopi e fregature) – ieri, di concerto con il primo cittadino, ha puntato a sminuire il carico fiscale… aumentandolo.
Non si tratta di comicità partenopea, ma è tutto tristemente vero. “Sarà solo di pochi euro l’anno”, ha detto il sior sindaco quasi ad alleggerirsi la co-scienza o a volerci credere per primo. Ché manco si è calato nei panni dei cittadini – che sono i suoi datori di lavoro, ma solo le braghe davanti a Draghi che pure è alle dipendenze degli stessi e di altri cittadini – per capire che i balzelli versati dai napoletani sono i più alti d’Italia. Per ricevere un servizio che è sotto gli occhi di tutti. E ai quali si chiede un’ulteriore incremento della tassazione pari a 500 milioni di euro! Ma non dimentichiamoci che Napoli si trova in Campania che è il regno di De Luca.
Il quale già sta facendo carte false per il terzo mandato (e che ci vada!) – e paga la quota IRPEF più alta dell’intera penisola! Si proprio la Regione Campania che ha tante potenzialità che vengono svendute o, quando non si può, sono rese inespresse o addirittura soffocate. Quella Campania che è un museo a cielo aperto, gestito da non napoletani. E non si tratta di mero campanilismo geografico, piuttosto di una fagocitazione dei soliti noti della solita cricca trita, ritrita, ripetuta e sempre la stessa a cui interessa la gestione amministrativa di ciò che non è loro. ( Vedi la governance di Pompei, Ercolano, Paestum…). La stessa Campania che ha l’onore di ospitare l’Università Federico II, la più antica d’Italia, fondata da Federico II di Svevia e che è stato l’Ateneo più beffato al Sud per i finanziamenti, con fondi stanziati precipitati dal 40 al 29% e regole cambiate ben tre volte in nove giorni, tanto da fare gridare allo scandalo i Rettori. Università che era guidata dallo stesso Gaetano Manfredi che ieri ha ricevuto in pompa magna l’inquilino di Palazzo Chigi.
Questo Patto per Napoli è un autentico pacco: non ci vuole certo Mario Draghi che non è Pico della Mirandola per capire che questo affare non servirà a ripagare quel debito contratto, aumentato e dilatato dall’interrotto governo di sinistra avvicendatosi negli anni, anzi la sua presenza può essere vista tutt’al più come una certezza di un ulteriore esangue cappio al collo. Come l’euro. Come la UE. Come il recovery fund che oggi si chiama Pnrr. Quel debito non si ripianerà, ma aumenterà. Forse sarebbe stato da valutarsi una “legge speciale” – e non mi pare che in questo periodo dall’emergenza infinita non ne siano state fatte – come quella varata per salvare Roma Capitale. Queste sono cose che appartengono propriamente alla politica, pensieri e atti dei politici appunto e non di vili affaristi che tifano al contrario, di passacarte e burocrati e poco meno di incapaci amministratori.