mercoledì, Dicembre 4, 2024
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SCENARI DI GUERRE REGIONALI, TERRORISMO JIHADISTA, DIVISIONI DI VEDUTE DEGLI STATI DELL’U.E. ALLONTANANO LA CREAZIONE DI UN ESERCITO EUROPEO.

DAL NOSTRO AMICO E AFFEZIONATO LETTORE, GENERALE AJMONE GENZARDI, UFFICIALE DI CAVALLERIA ED EX COMANDANTE DELLA SCUOLA MILITARE “NUNZIATELLA” DI NAPOLI,  RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO UNA ACUTA RIFLESSIONE SULLA CRISI INTERNAZIONALE DETERMINATASI CON I CONFLITTI IN UCRAINA E PALESTINA, IL RIGURGITO DI AZIONI TERRORISTICHE IN EUROPA, LA CRISI NEL MAR ROSSO CON LA NECESSITA’, ANCHE PER LA NOSTRA MARINA MILITARE, DI SCORTARE LE NAVI COMMERCIALI IN TRANSITO.
LEGGIAMO INSIEME QUESTA ANALISI DI UN AUTOREVOLE ADDETTO AI LAVORI:
LA REDAZIONE DI CAMPO SUD.
I Paesi europei dalla fine della seconda guerra mondiale, al riparo dell’ombrello di sicurezza
statunitense, hanno vissuto 80 anni di pace a basso costo che ha permesso loro di devolvere alla crescita economica e sociale dei propri popoli i fondi non impiegati per la difesa e la sicurezza.
Ma oggi, terminata l’epoca del bipolarismo USA-URSS basato sulla deterrenza nucleare, nazioni con governi totalitari e organizzazioni terroristiche, constatata l’inefficacia dell’ONU, si muovono senza alcun rispetto per il diritto internazionale adottando la politica del “fatto compiuto”.
Infatti, dopo un così lungo periodo di pace, focolai di guerra ardono ai confini dell’Europa: si combatte in Ucraina e in Palestina.
L’UE, a difesa del diritto internazionale, ha imposto sanzioni alla Russia e aiuta Kiev inviando armi e munizioni.
La recente incauta proposta Francese di mandare truppe in aiuto all’agonizzante Ucraina ha diviso i paesi europei.
Se da un lato è necessario aiutare gli Ucraini, con armi e risorse finanziarie, per non farli giungere al tavolo dei negoziati in una condizione di estrema debolezza, dall’altro occorre evitare l’avvio di una guerra Est-Ovest, ma  lanciando piuttosto a Mosca messaggi di compattezza europea.
In Palestina il mai risolto problema dei due stati è tragicamente esploso a seguito della strage compiuta da Hamas ed ha reso sempre più precarie le relazioni tra i popoli islamici e l’occidente democratico che appoggia Israele.
Da poco si è aperto un terzo fronte nel mar rosso dove gli Houthi, gruppo islamico sciita, attaccano il traffico navale commerciale con l’obiettivo di sostenere Hamas e la causa Palestinese danneggiando l’economia di Israele e dell’Occidente che lo appoggia.
L’Egitto ha perso gran parte degli introiti per i ridotti passaggi da Suez, ma anche Israele ed i paesi europei, con in testa l’Italia, stanno subendo gravi danni economici poiché fortemente dipendenti dal commercio marittimo per l’importazione di materie prime e l’esportazione dei prodotti lavorati.
L’utilizzo di rotte alternative con più lunghe percorrenze causa il sensibile aumento dei costi di trasporto, che si riflette sul prezzo delle merci al dettaglio, e sposta il traffico marittimo dai porti mediterranei a quelli sull’atlantico, con ulteriori perdite per l’Italia in conseguenza della mancata movimentazione, nei suoi porti, delle merci in arrivo ed in partenza.
In sintesi, nel mar rosso si difende con le armi la stabilità della economia europea, ed in particolare di quella Italiana che è la più danneggiata.
A questi conflitti si aggiungono altri potenziali focolai di destabilizzazione come le rivendicazioni russe su alcuni territori europei dell’ex URSS, i problemi africani del post colonialismo, l’espansionismo economico cinese e la contesa geopolitica dell’isola di Taiwan tra USA e Cina.
Taiwan, Paese a guida democratica del mar della cina, autoproclamatosi indipendente dallo Stato Cinese nel 1949, è in perenne tensione con Pechino che ne rivendica la sovranità e che nell’ultimo periodo ha incrementato le esercitazioni militari attorno all’isola.
Tali irrisolte situazioni, che in un sistema internazionale interconnesso e sempre più competitivo ed aggressivo coinvolgono direttamente l’Unione Europea, non possono essere affrontate dalle singole nazioni “in ordine sparso”, ne l’UE può ancora dipendere dalla NATO per la sua difesa e sicurezza.
Tramp, candidato alla casa bianca, ha maldestramente dichiarato che in caso di vittoria alle presidenziali abbandonerà al loro destino tutte quelle nazioni che non contribuiscono adeguatamente alla vita della NATO.
Tale dichiarazione fa riferimento al mancato rispetto di molti paesi aderenti al Patto Atlantico degli accordi sottoscritti.
Lo statuto della NATO prevede che ciascuna nazione debba stanziare annualmente il 2% del prodotto interno lordo per le proprie forze armate, affinché tutti gli stati aderenti contribuiscano alla difesa collettiva in proporzione alla propria economia.
Gli USA danno il buon esempio investendo il 3,5 %, ma purtroppo solo 11 paesi della NATO, sul totale di 32, investono il 2%, o più, per le proprie forze armate, l’Italia devolve solo l’1,47% del PIL alla sua difesa.
L’uscita di Tramp, probabilmente spinta dai 34 trilioni di dollari del debito pubblico degli USA, è poco realistica e difficilmente potrà avere seguito poiché gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere i due terzi delle nazioni appartenenti alla NATO che non rispettano i vincoli di spesa, però è un segnale di stanchezza che lanciano ai partner europei che sono i principali utilizzatori della sicurezza fornita dal Patto Atlantico.
È pertanto giunto il momento per l’UE di assumere la responsabilità strategica della propria difesa e sicurezza.
Lo suggeriscono le tante problematiche irrisolte, l’espansionismo del blocco orientale a giuda cinese e i due conflitti alle porte che rischiano di aggravarsi ed espandersi.
Questi importanti segnali dovrebbero spingere l’Unione Europea a prendere atto della mutata situazione geopolitica globale e prepararsi al peggio, invece non riesce a porre al centro dell’agenda politica la sicurezza e la difesa comunitaria.
Centralizzare la difesa, e quindi le forze armate, implicherà un aumento dell’impegno finanziario per le spese militari, che oggi si attesta sull’1,5% del PIL comunitario, ma comporterà anche risparmi.
Risparmi in termini di riduzione di stati maggiori, di comandi, di scuole e centri di addestramento, oggi moltiplicati per ciascuno dei 27 stati dell’Unione.
Forze armate europee comporterebbero, inoltre, il vantaggio della standardizzazione dei sistemi d’arma e l’approvvigionamento degli stessi in ambito comunitario con un beneficio per le industrie europee che operano nel settore della difesa.
I tempi stringono, ma le nazioni dell’UE, pur consapevoli di tale necessità, trovano ostacoli negli egoismi nazionali, tra questi la Francia che dovrebbe mettere in comune gli ordigni nucleari in suo possesso.
Rema contro anche quella parte dell’opinione pubblica che anela ad uscire dall’UE senza considerare che in un mondo globalizzato un piccolo paese da solo diverrebbe un “bel bocconcino” per le super potenze del blocco orientale in fase di espansione economico/militare.
Gli ostacoli li frappongono anche coloro che, utopicamente, rincorrono la pace mediante l’abolizione delle armi, senza considerare che non esiste pace a costo zero poiché la pace non è un bene gratuito ed il prezzo da pagare è proprio quello per le forze armate.
Se l’Europa vuol continuare a vivere in pace, in democrazia e in libertà occorre una presa d’atto collettiva dei nuovi assetti geopolitici e delle nuove esigenze di difesa, superare nazionalismi e pregressi storici divisivi ed agire per il bene più ampio della comunità europea.
L’Europa provvista di autonomia decisionale nel settore della politica estera e con forze armate centralizzate, complementari e interoperabili con quelle della NATO, aumenterebbe credibilità e prestigio internazionale.
Il giorno in cui tutto ciò diverrà realtà, sommando la forza economica alla deterrenza militare, l’UE potrà assurgere a superpotenza ed affiancarsi alla pari gli USA nella difesa della libertà dell’occidente democratico.
Sarà un cammino lungo e complesso che dovrà necessariamente essere avviato e che permetterà di riacquistare quel credito internazionale che il vecchio continente ha avuto in alcuni periodi della sua storia.
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