E’ tornato in libertà nel pomeriggio di ieri per aver espiato i 23 anni di condanna inflitti nel processo a suo carico, il pluriomicida boss della mafia Salvatore Brusca, uomo di fiducia del capo di “cosa nostra” Totò Riina che si é attribuito, in corso di processo, oltre 120 omicidi di mafia tra cui il piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e poi sciolto nell’acido per vendetta contro il padre del ragazzo, Mario Santo di Matteo, anch’egli appartenente alla cupola mafiosa, poi dichiaratosi pentito e dunque divenuto estremamente pericoloso per l’organizzazione criminale. Ma il delitto per molti versi più eclatante compiuto da Brusca, rimane quello della strage di Capaci del 23 Maggio 1992 con l’auto del Giudice Falcone fatta saltare a distanza, mentre percorreva l’autostrada A29, presso lo svincolo di Capaci in provincia di Palermo. Suo il piano terroristico-mafioso, sua la responsabilità di aver azionato il telecomando collegato all’ordigno confezionato con 500 chili di tritolo nascosto sotto il tappeto di asfalto dell’autostrada e azionato al passaggio del convoglio di 3 Fiat Croma blindate con a bordo Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari. Oltre ad un’altra ventina di feriti tra gli agenti di scorta che precedevano o seguivano a maggiore distanza le auto blindate.
Fu il tentativo estremo di esercitare una rappresaglia contro l’intensificarsi delle iniziative investigative e di duro contrasto che proprio il giudice Falcone, con il collega Borsellino, stava conducendo a Palermo e in tutta Italia contro la criminalità mafiosa, le sue ramificazioni in ogni angolo del continente, le sue coperture e collusioni anche “eccellenti”. Iniziativa criminale che portò dopo solo 2 mesi al successivo e barbaro omicidio del Giudice Borsellino, che aveva intensificato l’attività di indagine contro le cosche con piglio ancora maggiore e pur consapevole dei rischi incredibili cui si esponeva. Solo 57 giorni separarono la morte prematura dei due magistrati antimafia. 57 giorni nei quali anche la coscienza civile del popolo italiano subì un sussulto di sdegno e di repulsione contro la mafia certamente, ma forse più ancora contro la degenerazione della politica di quegli anni che aveva abbandonato troppo spesso i servitori dello Stato nel loro impegno e dovere professionale contro la criminalità mafiosa. Dal Generale Dalla Chiesa a tutti i magistrati e uomini delle forze dell’Ordine caduti nella lotta senza quartiere e senza tentennamenti alle cosche mafiose, ai metodi e alla mentalità mafiosa, all’omertà della gente comune. Ed oggi che assistiamo alla liberazione di Brusca dopo soli 23 anni di detenzione ottenuti grazie alla premialità concessa ai pentiti, lo sdegno si rinnova e diventa insopportabile. Soprattutto se si pensa che si rimane ancora in attesa di conoscere i tanti lati oscuri di questi gravissimi attentati. Come ad esempio della strage di Via d’Amelio in cui perse la vita il Giudice Borsellino e altri 6 Agenti della Polizia di Stato. Ed, in particolare, che fine abbia fatto la famosa agenda rossa sulla quale il Giudice annotava ogni elemento rilevante delle sue indagini, o chi abbia materialmente fatto saltare l’auto parcheggiata sotto casa della madre del magistrato, ove Borsellino trovò la morte e tanti altri enigmi restati insoluti. Mentre ancora si attendono queste fondamentali risultanze di indagine della ennesima strage compiuta dalla mafia 30 anni or sono, Brusca torna anche a casa. Probabilmente felice e sorridente. Dopo soli 23 anni di carcere. Una doppia e palese sconfitta per lo Stato e per la giustizia nel nostro Paese.
Il Direttore.