Tante promesse, innumerevoli interessamenti, qualche palliativo, ma nulla di concreto. È questa la ricetta sposata e condivisa, specie in campagna elettorale, da destra a sinistra per le industrie del Bel Paese che già conta a migliaia quelle sul lastrico e non sono da meno quelle a rischio chiusura. Un esempio cardine, se vogliamo, può essere offerto dal bene primario per eccellenza: il pane. Non siamo (ancora?) per fortuna all’iperinflazione della Repubblica di Weimar, dove per comprare un chilo di pane occorrevano un chilo di banconote, ma la tendenza è (ormai) quella.
Stando all’ultimo allarme lanciato dalle associazioni di categoria, di questo passo il costo del pane arriverà molto presto a toccare i sei euro al chilo e sarà difficile trovarlo ad un costo inferiore. Certo, la guerra ha inasprito i costi, ma è risaputo che l’Italia non compra, o non compra del tutto, il grano dell’Ucraina. L’Italia importa la stragrande maggioranza del fabbisogno cerealicolo dall’americanissimo Canada – riconoscibili i segni dell’antico e sempre attuale Piano Marshall – e non si capisce il perché, con due immense pianure quali il Tavoliere delle Puglie e la Pianura Padana, nemmeno da questo punto di vista possiamo essere autonomi. Autarchia: un valore d’altri tempi!
Ad incidere sul prezzo finale del pane non sono, però, solo le materie prime, ma soprattutto i costi di gas ed elettricità che i produttori non possono non scaricare sul consumatore finale.
La conclusione è facile, logica e presto letta: la gente acquisterà meno pane e dove sarà più conveniente, se ancora lo comprerà. Se ancora potrà permetterselo. Il che non farà certo diminuire i costi di produzione. Le aziende artigianali, i forni storici, quelli che producono manicaretti d’eccellenza e di una genuinità rara, ma anche le pasticcerie, le pizzerie e simili rischieranno la chiusura, ovvero il fallimento. Altre partite IVA che non saranno affatto tutelate. Non mangeranno più, mentre la grande distribuzione che sforna obbrobri industriali se ne avvantaggerà. Fagociterà ancora.
Un comparto, quello dei panettieri, che tra aziende e indotto conta all’incirca 1500 posti in cui trovano occupazione oltre 5000 famiglie e che potrebbero ad andare ad ingrossare le fila dei “nuovi poveri”.
Trecentomila, invece, i pastai, i pasticceri e gli impiegati nell’indotto che oggi 29 settembre protesteranno a Napoli per poi replicare lunedì 3 ottobre p.v. ad Avellino: chiedono interventi urgenti, misure straordinarie non più differibili a partire da energia elettrica e gas, altrimenti rischiano di tirare giù la serranda per sempre.
Sacrifici di una vita bruciati in un attimo perché a lievitare sono rimasti solo i costi di materie prime, di elettricità e del gas. Richieste di aiuto per poter lavorare. Per poter continuare dignitosamente a vivere.
Insomma, la nuova legislatura – la XIX – si apre così come si è chiusa quella precedente: le Camere, volendo essere ottimisti, non saranno convocate prima della metà di ottobre (il 13 pare sia la data più accreditata), poi bisognerà eleggere i Presidenti delle Camere. Infine potranno essere avviate le consultazioni del Presidente della Repubblica per formare il nuovo Governo. Solo dopo si potrà partire per tentare di salvare il salvabile. Che non è rappresentato solo da panettieri, pastai e pasticceri, ma almeno 25 milioni di famiglie che, sempre più spesso, per far fronte al caro vita, se non proprio alla disoccupazione, sono allargate a più nuclei ricongiunti a quelli originari che uniscono le forze per far fronte a questo dramma abbattutosi sull’Italia. Paese che stenta a trovare un fondamento logico e una conseguenza che non sia a diretta azione di forze politiche sciagurate.
Il governo Draghi si è concluso con le promesse al presidente Zelensky che l’Italia non lo avrebbe lasciato solo nella guerra, mentre la premier in pectore Giorgia Meloni ha da subito ricambiato complimenti e sostegno via cibernetica con il Presidente Ucraino. Chissà se gli Italiani riusciranno a mangiare e a riscaldarsi con i complimenti e il sostegno all’Ucraina. (ma questo é un altro discorso!)
Resta solo da sperare che facciano in fretta ad ottemperare a tutti gli adempimenti istituzionali previsti in questo arco di tempo tra la conclusione delle elezioni e la formazione del nuovo governo. Evitando così di arrivare fuori tempo massimo per intervenire a sostegno dei lavoratori del comparto dei panificatori e tanti altri ancora nelle medesime difficoltà. Risposte più concrete ai problemi reali di questa Nazione ormai martoriata devono pure essere fornite.
Chi provvederà a queste necessità impellenti e non più differibili? Ci penserà il Governo Draghi nelle more dell’avvio della nuova Legislatura, magari di concerto e sentiti i leader della coalizione risultata vincente alle elezioni di domenica scorsa? Sarà necessario approvare uno scostamento di bilancio (come richiedeva a gran voce Salvini e la Lega) o potranno essere sufficienti, nell’immediato, le proposte avanzate dalla Meloni di azzeramento di tutte le accise, l’IVA e ogni altro balzello a favore delle casse dello Stato e ancora caricate sulle bollette di famiglie e imprese?
Staremo a vedere. Certo é che la “nobilitas” del futuro Governo Meloni si potrà misurare sin da subito, a partire da questi auspicabili provvedimenti di urgenza per coloro che, loro malgrado, rimangono coinvolti nelle forche caudine del caro energia. Provvedimenti pur se assunti dal governo dimissionario, (Draghi) su sollecitazione forte e con la condivisione necessaria delle forze politiche uscite vincenti dalla competizione elettorale.
Questo si, sarebbe un gran segno di concretezza, vitalità e determinazione del nascente Esecutivo di Centro Destra.
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PROTESTANO I PANETTIERI: a lievitare sono rimasti solo i costi di produzione!!
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