La decisione del Comune di Napoli di vendere dieci caserme e altri immobili pubblici lascia spazio a forti polemiche. Secondo l’assessore Pier Paolo Baretta, la cessione è necessaria per risanare le casse comunali e finanziare interventi per 40 milioni di euro nelle periferie. Ma è davvero questa la soluzione migliore per una città con una drammatica emergenza abitativa?
Gli immobili in vendita rappresentano spazi che potrebbero essere trasformati in case popolari, rispondendo alle esigenze di migliaia di famiglie. Vendere a privati significa rinunciare a una visione sociale e cedere all’idea che il profitto venga prima del benessere dei cittadini. Trasformare questi spazi in abitazioni richiederebbe risorse, ma non è forse compito delle istituzioni trovare soluzioni sostenibili per garantire il diritto alla casa?
Si parla di “rigenerazione urbana”, ma senza chiarezza su come verranno gestiti i fondi ottenuti dalle vendite. Napoli ha già assistito a promesse non mantenute, con periferie abbandonate e progetti mai realizzati. Questo piano rischia di essere l’ennesima manovra tampone che sacrifica il futuro dei più deboli per un guadagno immediato.
Perché non destinare questi immobili a progetti sociali e abitativi? Perché non coinvolgere la cittadinanza in un dibattito aperto? La scelta di vendere mostra una politica miope, incapace di immaginare una Napoli che investa davvero sulle sue periferie e sul diritto alla dignità.
La vendita degli immobili comunali è l’ennesima dimostrazione di come le istituzioni continuino a ignorare i bisogni delle fasce più fragili. Napoli non ha bisogno di soluzioni rapide, ma di un piano coraggioso che metta al centro le persone e non i profitti.