venerdì, Novembre 22, 2024
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Molo borbonico crollato: ma chi é ‘o vero Chiavicone ???

Dopo le abbondanti piogge che si sono abbattute su Napoli in questo periodo natalizio, aggiungendo danni alle sciagure post-covid, oggi è il giorno delle lacrime, salate come la salsedine del mare e che, come il mare, prima o poi, per fortuna o sfortuna, sono destinate a placarsi.
Eppure questo potrebbe – o addirittura dovrebbe – essere il giorno degli sputi che (male) potrebbero arginare l’indignazione per il crollo del molo borbonico di Via Caracciolo.
Sputi postumi quanto inutili che sarebbero dovuti arrivare prima, già quando, per arginare il degrado che è conseguenza dell’incuria che è come dire menefreghismo, si decise di puntellare un’opera d’arte per… lasciarla poi così.
Già quando, da approdo per i pescatori “luciani”, del Borgo Santa Lucia, si decise che il molo settecentesco dovesse fungere da chiavicone, ovvero da terminale dello scarico fognario. Il vero approdo borbonico, infatti, era in via Santa Lucia, ma ormai non vi é piu’ traccia. E questa è la prima, vera, seria tragedia. Quasi come quella che nessuno, nemmeno in questo momento, se ne ricordi e lo racconti.
D’accordo, ci sono state le denunce nel corso degli anni ma che oggi non servono a ripulirsi la coscienza. Non servono per non vedere un’opera d’arte, una “veteris vestigia flammae”, i segni tangibili di un’antica passione, ridotta a un cumulo di massi vergognosamente riversi in mare. Macerie. Cumuli. Rovine rovinate.
Quella di questi giorni non è di certo la prima mareggiata verificatasi e subita e il molo finora aveva retto. Ad abbatterlo, a contribuire al crollo è stata l’incuria, la trasandatezza, la superficialità di chi, puntellandolo, se ne è poi definitivamente dimenticato.
Dando così teatro allo scaricabarile istituzionale: è competenza della Regione, ma deve intervenire l’Autorità portuale, che prima deve essere autorizzata dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali che, però, attende la segnalazione dell’Amministrazione Comunale verso la quale nessun fondamentalista meridionale, nessun neo-borbonico, nessun meridionalista è stato capace di indirizzare quella Vandea promessa, promossa e mai messa in atto da centosessant’anni, finendo così per dare luogo ad una sceneggiata che vede come solo protagonista il tipico e topico individualismo meridionale. Lo stesso che ha arrecato più danni a Napoli e all’intero Meridione che nemmeno quelli compiuti da Garibaldi con i suoi Mille.
Ed oggi tutti a versare lacrime per ripulire la coscienza. Pulita come quelle mani precedentemente lavate, a fare lo struscio sul lungomare per piangere il “morto” e scaricare il peso, il fardello della propria identità, a fornire a se stessi una giustificazione che non serve a nessuno.
È successo e succederà ancora se ad amministrare Napoli, la Campania e l’Italia in generale non ci sarà qualcuno che ama la propria terra, che non aspetta per intervenire, che capisce che deve intervenire non in emergenza e non per arginare e che adotti una politica di prevenzione, quella degli amministratori veri e degli statisti capaci di immaginare il futuro.
Oggi è toccato irrimediabilmente al molo borbonico, ma non è l’unico dono che la dinastia della Real Casa ha lasciato in città: uno su tutti ‘o Reclusorio, nell’accezione popolare anche ‘o Serraglio. Quel cosiddetto Real Albergo dei Poveri e più precisamente Palazzo Fuga, realizzato dal Vanvitelli, che é certamente molto più impressionante di quella bomboniera, tanto vantata, che si chiama a Roma “Porta del Popolo”. Come ebbe a dire Stendhal dopo aver visitato le due Capitali dello stivale più importanti del suo tempo! Ebbene, in che condizioni versa questa meraviglia architettonica della Capitale del Mezzogiorno? Da quando è stata abbandonata? Quanti progetti sono stati presentati in merito? Quali le azioni intraprese? Quando potremo assistere al suo recupero e all’indispensabile e non più rinviabile restauro? Quanti sono i beni “ereditati” in città?
Il molo borbonico crollato rappresenta metaforicamente questa società moderna, malata di mondialismo, dove tutto è comune e niente è nostro, dove non esistono confini, ma nessuno è sovrano: è un caso che sulla moneta comune ci siano ponti e archi che ultimamente crollano inesorabilmente divenendo scenografie di morte per questa società priva(ta) di fondamenta, di radici, di identità?
Non sappiamo più chi siamo e le future generazioni non lo sapranno mai. La nostra memoria è stata recisa (sarà un caso che i nonni se non sono stati portati via dal Covid non si possono frequentare?) e quindi non sappiamo più dove andare, prendendo per buono qualsiasi solco che altri – opportunisticamente – hanno già tracciato per noi.
È ora che si diventi protagonisti senza essere necessariamente primi attori, che si diventi comunità pur essendo comparse. Che chi é chiamato a governare senta il peso, la responsabilità e la passione per l’arte del fare, del progettare, del realizzare per la comunità. E non per se stessi o per la propria parte!
E noi, con il nostro Quotidiano, saremo sempre presenti a pungolare, spronare, criticare ed incalzare amministratori distratti o strafottenti, costruendo, giorno dopo giorno,
una nuova identità e una nuova coscienza civile per una città meravigliosa che può e deve rinascere.

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