La storia dell’arte è costellata di opere straordinarie e di avventure altrettanto incredibili.
Tra queste, un ruolo di primo piano spetta all’opera “Le Nozze di Cana”, dipinta dal maestro
Paolo Veronese su commissione il 6 giugno 1562. Questo fantastico capolavoro che
attualmente si trova al Louvre di Parigi, non avrebbe dovuto mai lasciare la sua sede
originale: il refettorio benedettino del Monastero di San Giorgio Maggiore, progettato
dall’illustre architetto Andrea Palladio nell’incantevole Isola di San Giorgio Maggiore a
Venezia.
La tela rappresenta il miracolo narrato nel Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù trasforma
l’acqua in vino durante un matrimonio a Cana, un episodio che affascina da secoli per il suo
significato simbolico e spirituale. Ma come è finita questa opera a Parigi, lontano dal suo
contesto originario?
Nel 1797 l’opera fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche: la grande tela fu smontata dalla
parete l’11 settembre di quello stesso anno, tagliata in sette pezzi per consentirne il trasporto e ricomposta a Parigi.
La storia di “Le Nozze di Cana” è intrinsecamente legata agli eventi tumultuosi del XIX
secolo. Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, la Francia si trovava in una situazione di
restituzione delle opere d’arte trafugate nelle spedizioni Napoleoniche. Molte opere sottratte dovevano tornare al loro paese d’origine.
Tuttavia la tela di Veronese fu trattenuta a Parigi dal diplomatico Dominique-Vivant De
Denon, che dichiarò falsamente l’opera in uno stato troppo precario per affrontare il viaggio di ritorno.
In cambio, Denon offrì un’opera minore, “Il convito dal fariseo con la Maddalena ai piedi di
Gesù, di Charles Le Brun che venne accettata dalla delegazione austriaca e oggi è conservata nei depositi delle Gallere dell’Accademia di Venezia.
Grazie a questo scambio, la Francia si considera legalmente in possesso delle “Nozze di
Cana”. Tuttavia, il dibattito sulla legalità e l’equità di quell’accordo non si è mai esaurito.
Nel 1994, Francesco Sisinni, allora direttore generale del Ministero dei Beni Culturali italiano, contestò pubblicamente questa situazione ritenuta intollerabile ed iniqua.
Nel 2010 lo storico Ettore Beggiatto, già assessore regionale del Veneto ai lavori pubblici e
consigliere regionale per quindici anni, scrisse una lettera all’allora première dame Carla
Bruni per sollecitare il ritorno dell’opera in Italia. Anche in questo caso senza successo.
2007 per iniziativa della Fondazione Cini, che ha sede nell’ex-monastero, una copia
dell’opera è stata collocata in luogo dell’originale nell’antico refettorio; la copia è stata
realizzata con sofisticate tecniche digitali per ottenere un clone perfettamente identico.
L’opera ritornerà in patria, prima o poi? Conoscendo la solerzia, la passione e il dinamismo dell’attuale Ministro della Cultura, il napoletano Gennaro Sangiuliano, noi un pensierino ce lo facciamo.