A volte ritornano… (purtroppo). Errare è umano, perseverare è diabolico. Chi la dura la “vice”. Così deve aver parlato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi che il prossimo 6 marzo inaugurerà la Venere degli stracci di Pistoletto. ‘N’ata vota? Ebbene sì! Cioè, inaugura una seconda volta la stessa statua che non è mai stata inaugurata prima perché, l’opera, è sempre la stessa, che però ne è un’altra ex novo, una copia, perché la prima andò al rogo. Insomma, né più e né meno di un De Luca che, in epoca di pandemia, inaugurava più volte gli stessi reparti ospedalieri mai entrati in funzione, però in versione metropolitano. Con la variante che la statua esiste davvero. Di nuovo. Di nuovo di resina e di nuovo ignifuga. Come quella andata a fuoco. Con gli stracci donati dai napoletani che, però, hanno versato oltre ventimila euro nel crowdfunding (una sottoscrizione/una questua) per la realizzazione della nuova opera e che oggi si sentono dire pure che l’autore, Michelangelo Pistoletto, l’ha addirittura donata! E allora quei soldi? E quella statua nuova uguale sé stessa che è già copia di un’altra realizzazione uguale? Più che realizzazioni artigianali, l’artista piemontese deve aver aperto un opificio di riproduzioni in serie. Oppure ne sta sfornando talmente tante che ormai… ha preso la mano!
Insomma, insistono: la Venere degli stracci deve stare a Napoli, laddove è stata incendiata, per una seconda volta e per tre mesi. Dopo dovrà essere collocata non si sa dove, ma siamo certi che l’amministrazione Manfredi saprà certamente trovare una degna collocazione al manufatto, così come non ha saputo – leggi voluto – fare per la statua di Maradona dell’artista autoctono Domenico Sepe.
Più che il triste destino di una statua, sembra essere un vero e proprio accanimento artistico, proprio il pistolotto del Pistoletto che Napoli è costretta a subire. Almeno la stagione stavolta sarà quella giusta? Non il caldo eccessivo che potrebbe dare vita ad un rogo spontaneo, ma fine inverno – inizio primavera, in modo da verificare la capacità di assorbimento dell’acqua da parte delle pezze. Ops, stracci.
Insomma, chi raggiunge Napoli dalla stazione marittima dovrà necessariamente imbattersi in questa rappresentazione artistica che, se non tanti consensi ha trovato nell’opinione pubblica, sicuramente da pochissimi è stata apprezzata. A dire il vero, prescindendo dai gusti del singolo individuo, in tanti non l’hanno proprio capita. È pur vero che l’arte va interpretata, ma se un’opera deve essere addirittura spiegata per essere compresa, possiamo parlare di arte? Ma sì, per collocazione: la Venere, infatti, sarà ospitata ancora una volta su quella immensa e sterile colata di cemento senza verde che avrebbe dovuto collegare idealmente la terraferma col suo mare, Palazzo San Giacomo e il porto prospiciente, ormai adibita a “galleria d’artista”: una sorta di spazio temporaneo di allestimenti “artistici” che vanno dall’incredibile omaggio a Giambattista Vico tramite quella discutibilissima statua in cartapesta che avrebbe dovuto rappresentare il San Carlone di Arona fino ai Lupi di Liu Rouwang. Dopo la chiave di Milot, opera rifiutata da tante città e, manco a dirlo, accolta dalla Napoli inclusiva che ha trasformato in obbrobrio un punto strategicamente identitario della città, ora è il momento della Venere degli Stracci 2. La vendetta. Quella del Pistoletto che si accanisce affinché la sua fatica sia permanentemente ospitata a Napoli. Una sorta di rifugio per il “divino straccione”: la Venere rifugiata. Non è che niente niente questo Pistoletto ci sta proprio cuffianno? Non è che questo suo accanimento d’artista vuole comunicarci qualche cosa specifica? Magari che Napoli, la Napoli istituzionale, quella di Palazzo Sangiacomo, dal cui balcone si annunciavano rivoluzioni arancioni, ha visto avvicendarsi gente che le pezze dalla fronte (ce) le ha messe al c…? Chi ha orecchie…