Conosciamo due modi di interpretare il processo.
Con il primo, l’imputato nel processo è ormai solo un colpevole in attesa di conoscere quale pena dovrà scontare.
Con il secondo, l’imputato è, invece, un normale cittadino assistito dalla garanzia costituzionale della presunzione di innocenza con la consapevolezza che solo al termine del processo, sarà lo Stato a dover dimostrare che egli deve essere punito perché oltre ogni ragionevole dubbio, è colpevole dei fatti contestatigli.
Due modi, quindi, totalmente diversi di interpretare la giustizia dello Stato ed il mondo in cui scegliamo di vivere.
Due modi completamente agli antipodi di intendere la vita ed i suoi valori di civiltà.
Da una parte, i giustizialisti assetati di vendetta, dall’altro, la gente semplice che, parafrasando Kafka, non vuole difendersi da un processo con stanze infinite ma desidera essere sottoposto ad un processo giusto con una sola stanza e regole ben precise.
La prescrizione rappresenta, pertanto, un indizio fondamentale per comprendere in quale Stato si decide di vivere.
Per chi propugna la giustizia punitiva ad ogni costo, tutti i cittadini coinvolti in una potenziale indagine, anche se “intercettati a strascico”, nel tentativo di smascherare un possibile disegno criminoso, anche lieve, sono tutti già colpevoli e lo Stato, con i suoi tempi, anche infiniti, dovrebbe scoprire quale reato abbiano commesso.
Non importa se essi hanno un lavoro, una professione, una famiglia, amici o genitori anziani.
Devono attendere che lo Stato li giudichi colpevoli e li condanni.
Senza tempo.
E senza poter contare sulla ragionevole durata del loro processo.
Un pensiero abominevole che ha trovato nel dottor Davigo, magistrato conosciuto per aver fatto parte del pool di mani pulite e che oggi siede al CSM, un serio sostenitore, dopo aver trovato una importante sponda nei neo giustizialisti pentastellati, ammesso e non concesso che sia proprio lui il vero ispiratore.
Per questi, la prescrizione dovrà trovare la sua naturale interruzione già alla fine del primo grado del giudizio con il paradosso, tutto frutto di un dilettantismo populista, che una tale stortura andrebbe applicata sia quando il cittadino è stato dichiarato colpevole ma anche quando sia stato giudicato non colpevole.
Niente, in questi casi, egli dovrà attendere i comodi della giustizia italiana per vedere (forse) nuovamente immacolata la sua posizione di buon contribuente.
Nelle more, ricevendo il pessimo trattamento (ad esempio per l’iscrizione in albi, concorsi pubblici, rilascio documenti ) che lo Stato riserva giustamente al cittadino che ha pendenti dei carichi giudiziari ma, e qui sta l’ingiustizia, non é ancora colpevole.
Il dubbio che ci assale, ma si tratta di un’ipotesi molto vicino alla verità sostanziale, è che buona parte di chi propugna la svolta giustizialista dell’interruzione della prescrizione ignori completamente di cosa stia discutendo.
D’altro canto, dai trascorsi lavorativi di un DJ e di un bibitaro che nemmeno è riuscito a laurearsi in giurisprudenza, non potevamo attenderci che essi conoscessero i principi fondanti la civiltà giuridica che nessuno mai al mondo aveva ancora messo in dubbio.
E se oltre venti anni sono ancora pochi per giudicare un imputato, a tanto possono arrivare i termini di prescrizione, l’augurio è che non ci finiate voi nelle maglie della giustizia ingiusta.
Fa male, molto male.
E lascia il segno, un segno indelebile e costoso, soprattutto se sei estraneo al reato di cui ti si accusa e sei stato costretto a trascorrere un terzo della tua vita a difenderti e vergognarti di essere nato.
La riforma andrà in vigore nel 2020 con la riforma del processo penale.
Sarebbe sufficiente questo solo dato per chiedere alla Lega di lasciare che il governo affoghi da solo in questa inciviltà populista e retrograda.
Un innocente lo è sempre.
Fino a sentenza definitiva di colpevolezza.