E’ davvero inconcepibile, oltre che criminale, abbandonare a se stessa la popolazione afgana dopo venti anni di intervento militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali, piombati nel Paese asiatico all’indomani dell’attacco alle “torri gemelle” di New York per evitare che altri e più cruenti attentati di integralisti islamici potessero colpire gli Stati Uniti o altri paesi occidentali. Una lotta senza quartiere al fondamentalismo e al terrorismo che veniva condotta fuori dai confini nazionali dei paesi occidentali. Con la convinzione, forse ingenua e pretenziosa, di esportare la democrazia con la forza delle armi e distruggere la piaga del terrorismo, la dove si riteneva che avesse origine o protezione
Peccato che già l’Unione Sovietica aveva duramente sbattuto il muso, sul finire degli anni 70 e per oltre 10 anni, contro la tenace resistenza dei mujaheddin, a seguito della occupazione dell’Afghanistan dell’Armata Rossa di Leonid Brezhnev , riportando, al termine delle ostilità (1989) , il tristissimo primato di vittime tra le sue truppe con oltre 600.000 caduti. Una guerra terribile e infinita che dette avvio al progressivo disfacimento e successivo crollo dell’Unione Sovietica.
Chi ha superato e anche abbondantemente i cinquant’anni di età, ricorda in maniera indelebile quelle immagini delle truppe sovietiche che abbandonavano in tutta fretta e certamente molto volentieri quel teatro di guerra ostile, tra montagne innevate e clima rigidissimo da spaventare anche i soldati russi. E i combattenti afgani ostinati e agguerriti che prediligevano le imboscate improvvise e gli attacchi proditori da guerriglieri consumati. Ma questi ultra cinquantenni ricordano anche le immagini delle truppe americane sconfitte ed umiliate dall’esercito nord-vietnamita nel 1975, con la fuga da Saigon dei Marines USA; dell’Ambasciata con il suo personale, dei civili, del personale medico e infermieristico degli ospedali da campo e l’abbandono di materiale bellico che veniva scaraventato in mare per evitare che fosse usato dai nord vietnamiti. Scene apocalittiche che decretarono una solenne sconfitta di chi pretendeva di piegare un popolo sovrano alla democrazia e alla libertà facendo ricorso all’uso delle armi e alla sola potenza economica a stelle e strisce. Due esempi speculari, quello sovietico e quello americano, di una politica di espansione o di presunto controllo politico e militare di vaste aree geografiche o di intere nazioni. Esperienze oramai divenute anacronistiche e inattuabili. E che risentivano ancora delle divisioni imposte dalla cosiddetta “guerra fredda” che suggeriva la creazione delle “zone di influenza” e degli stati satelliti. Una teoria che andava disgregandosi, che non reggeva più e che opponeva la reazione feroce dei popoli oppressi. Con i risultati descritti.
Neanche questi esempi sono stati sufficienti ad evitare una ulteriore guerra in Afghanistan. Neanche i sacrifici di ingenti vite umane tra i militari e i civili occidentali (oltre alle popolazioni locali) sono bastati a dissuadere, in questi 20 anni lunghi e interminabili, i governi occidentali della inutilità di un intervento militare ritenuto dalla stragrande maggioranza del popolo afghano come un atto ostile e mal sopportato. Anzi sempre ostacolato e avversato. Che la “Centrale terroristica internazionale” si annidasse tra le montagne inaccessibili del paese asiatico é cosa acclarata. Che dall’Afghanistan partissero le missioni suicide del terrorismo islamico sarà anche probabile. Ma occupare un paese sovrano per oltre vent’anni, per evitare improbabili nuove azioni terroristiche in ogni parte del mondo occidentale, appare francamente esagerato e inaccettabile. Semmai sortisce l’effetto contrario. Se é vero come é vero che la recrudescenza dei fenomeni terroristici di matrice islamista in mezza Europa negli ultimissimi anni si é prodotta in concomitanza della presenza militare occidentale in Afghanistan. E che molto spesso gli attentatori risultavano essere cittadini europei immigrati, cioè a dire, originari di paesi di religione islamica. Sovente sbandati o non integrati adeguatamente nel tessuto socio-economico dei paesi ospitanti. Oppure entrati in Europa da clandestini attraverso le rotte libiche con tanto di sbarco e transito in Italia e con approdo definitivo negli altri Paesi Europei. Con buona pace delle “origini” afghane delle azioni terroristiche.
Ma questo scenario plausibile che ha reso possibile questa assurda situazione di stallo durata 20 anni, poteva avere una sua validità ed una sua logica se gli Stati Uniti e i suoi alleati, tra cui l’Italia, avessero adeguatamente e responsabilmente studiato preventivamente e in ogni dettaglio plausibile, le conseguenze per la popolazione locale di una eventuale cessazione del cosiddetto “ingaggio” dallo scenario Afghano. Cioè a dire della sospensione dell’intervento militare in maniera repentina e approssimativa. Una sorta di “levate le tende” che, al contrario, si é verificata quasi inspiegabilmente e frettolosamente, lasciando situazioni oltremodo drammatiche e imbarazzanti. Come ad esempio le forze di polizia locali, addestrate dai contingenti alleati, e certamente non ancora pronte ad affrontare autonomamente ed efficacemente i loro compiti di ordine pubblico e di contrasto della criminalità. Lo stesso dicasi per l’esercito Afghano, ancora in fase di addestramento e di reclutamento. E, ancora, una classe dirigente e politica selezionata prevalentemente dagli americani, spesso corrotta e inadeguata e, per tanto, mal sopportata dalla cittadinanza locale. Ma, cosa ancor più grave e preoccupante, una popolazione profondamente diffidente, priva di identità e di senso della comunità umana e sociale. Con questi presupposti e con la “diserzione” dei contingenti occidentali il Paese é piombato nell’anarchia totale. Sono scappati tutti, così come sono squagliati esercito e forze dell’ordine. La popolazione é in balìa dei talebani che esercitano tutta la violenza di cui sono capaci, in specie su donne e bambini inermi. Ma soprattutto incolpevoli di qualsivoglia responsabilità. E’ il prezzo dell’abbandono di un popolo indifeso. Illuso da politiche espansionistiche e scellerate che hanno avuto la presunzione di riuscire a normalizzare e rendere democratico un paese con cultura e tradizioni medioevali. Ove la violenza e la intolleranza religiosa sono il pane quotidiano. E quello che rammarica di più é certamente la posizione fariseica ed ipocrita del nostro Paese che, dopo il ritiro delle nostre truppe dall’ Afghanistan, alla stregua degli altri alleati, tace totalmente sulle stragi continue e ripetute di donne e bambini. Con Ministri competenti ancora a godersi le vacanze d’Agosto e un silenzio assordante che copre delitti annunciati. Per non parlare del dolore mai placato dei familiari dei nostri militari caduti in Afghanistan che si sentono feriti e traditi ancora una volta dal loro Paese.