Ieri primo dicembre, alle ore 10.15, si sono svolti nella cattedrale di Nottingham i funerali della piccola Indi.
I genitori della bambina hanno lottato contro il sistema ideologico e giudiziario britannico che ha giustificato la sua ostinata volontà omicida con la necessità della decisione letale per il maggior interesse di Indi. Un’affermazione dal sapore imbarazzante, chiaro segnale di dove può arrivare il formalismo dell’uomo. Ancor di più se le confrontiamo con le esternazioni di cordoglio dell’ospedale che avrebbe dovuto prenderla in cura e che sanno di vuota diplomazia.
Perché definire Indi un martire? Ci sarebbero tante ragioni, ma quella che vorrei sottolineare è tutta nell’affermazione del papà di fronte alla cocciuta irremovibilità della magistratura di lasciar morire la bambina: Ho visto l’inferno, ha detto. E poi concluso: Se esiste l’inferno dovrà esserci anche il Paradiso e così, prima che si procedesse all’estubazione di Indi, ha chiesto che le venisse amministrato il battesimo.
Anche il padre ha chiesto di essere battezzato. Dunque, Indi è un martire perché il suo sacrificio è divenuto seme di nuovi cristiani, come già affermava il filosofo romano Tertulliano in riferimento ai primi secoli della chiesa: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”.
LAZZARO MARIA CELLI.