Honestà! Che che ne dicano e ne sappiano i novelli figli di Putin nostrani, inguaribili esterofili e amanti dell’erba del vicino che è sempre più verde, incredibile a credersi, anche questa Italia liberata, rifiutata, ripudiata e sostituita, vittima per “viltade del gran rifiuto” ha il suo 9 maggio. E se non lo celebra in pompa magna – per una festa al mese basta il 1° maggio di rosso – lo ha elevato a giornata internazionale per le vittime del terrorismo, che come tutte le “giornate internazionali o mondiali di” non serve esattamente a nulla.
Il 9 maggio il (fu) Belpaese ricorda (più?) la giornata in cui fu ritrovato cadavere il corpo di Aldo Moro in via Fani a Roma. Rosso (non?) come certe feste e certe piazze, come il lenzuolo che lo ricopriva e su cui impattarono gli 11 colpi della mitraglietta Samopar Vizor 6.1, dopo che la Walther PPK 9X17 si inceppò. Rossa come la Renault 4 rubata mesi prima a bordo della quale il presidente della DC fu fatto salire, dopo essere entrato in una cesta di vimini e dopo avergli detto di essere stato graziato. “Per non farlo soffrire inutilmente”. Rosse come le brigate che rivendicarono il sequestro, ma che sbagliarono a tracciare persino il loro segno, aggiungendo una sesta punta alla loro stella e che occupavano l’unico appartamento del condominio di via Gradoli 96, a sua volta occupato interamente da personalità del Sisde e che non fu perquisito perché non c’erano quegli abitanti che di notte sembravano “battere un alfabeto Morse” – a detta dei vicini lamentosi – ma dove gli operanti non ravvisarono dagli altri condomini motivo di sospettare una presenza brigatista e che in assenza dei quali non si pensò di buttare giù la porta, come da prassi in quegli anni.
Buchi neri sulla storia del cadavere più eccellente di questa Italia in rovina. Nero come il missino Pinuccio Rauti che qualcuno ha tirato in ballo quale testimone del sequestro, visto che abitava in una strada che faceva angolo con via Fani e che dal balcone avrebbe visto una parte della scena. Ma nessuno ha mai visto sulla scena del sequestro l’emergente boss della ‘ndrangheta Nirta, né dopo si è domandato il perché di quella presenza. O della presenza di due “civette” del sequestro che poi si è scoperto essere agenti dei Servizi e che uno di loro passasse, come dichiarato, in via Fani per andare a pranzo. Benché fossero solo le 9 del mattino. Un buco nero come quello della DIGOS che rispose che non esisteva alcuna via Gradoli a Roma. Nella Roma ultra-blindata per 55 giorni, tanto che si pensò di perquisire il paesino lacustre di Gradoli, nel viterbese. Quella Roma ultra-blindata, ma in cui i brigatisti quella tragica mattina riuscirono ad attraversare tutta la città per arrivare al centro storico, con l’ingombrante carico nel portabagagli, in via Caetani, dietro Botteghe Oscure, sede del Pci e poco distante da piazza del Gesù, sede della Dc.
Tanti buchi neri – e, forse, pure rossi – voragini ancora oggi e che portarono la famiglia Moro a rifiutare i funerali di stato, per un uomo dello stato. O, forse, solo delle Istituzioni. E anziché puntare ancora la luce sulla nostra storia, su quella che ci riguarda e, che ancora dopo quasi mezzo secolo, brancola nel buio più pesto (ma presto) ci occupiamo e, in alcuni (irrecuperabili) casi, festeggiamo la vittoria. Degli altri. Per gli altri. Ma se non ci si è interrogati finora sui “fatti nostri”, ci si può mai interrogare ora che hanno ridotto ogni facoltà intellettiva ad automa e automatica passiva accettazione di ogni cosa – seppur obbrobriosamente offensiva – spacciataci, ogni reminiscenza storica, politica, culturale, neuronale sostituita, in nome del cancella-culture imperante ed ossequiante, da una sterile approvazione da QR code.
Dunque, meglio imbucarsi alle feste altrui, imbacuccarsi con i loro vessilli seppur finora detestati – chissà se per davvero – e, da meri vassalli, non chiedersi perché si festeggia una vittoria, se il numero dei caduti supera, se non duplica, quello dei loro avversari. Se quello dei morti prodotti è quello più alto – stime loro – di ogni altra dittatura o regime in oltre duemila anni di storia. Che vittoria sarebbe chiedersi perché, persino a Norimberga tanto in voga in questo tempo in cui tutti sono assetati di giustizia, perché la stessa Russia stava dall’altra parte del banco degli imputati, se non si capisce che – anche per questi motivi – Norimberga fu un processo farsa? Se non ci si domanda che senso ha chiedere giustizia, se la giustizia nostrana è palamarizzata e vive il periodo di sputtanamento maximo della storia di questa disastrata repubblica. Disastro iniziato con la piaggeria verso la prima toga-star e finita(?) con i deleteri effetti dello stato che oggi tutti noi subiamo sulla nostra pelle. Con l’avallo proprio della giustiziah. E ancora oggi a rappresentarci a destra e a manca, ad ogni livello ci propinano dei magistrati. Inguaribili amanti del ’92. Ci si dovrebbe chiedere se quella vittoria non sia stata contro di noi, italiani, contro chi ci è simile e soprattutto perché. Ma si tende solo a cambiar padrone. Passivamente. Ora che anche gli atei santificano il dubbio che non è tale, ma è solo una tecnica (ben collaudata: cfr. strage di Primavalle) lottacontinuista, intrisa del più becero cerchiobottismo. Che stordisce solamente. Niente spirito. Solo alcol. Meglio se vodka. E allora, intrufoliamoci pure in casa d’altri, a festeggiare le loro vittorie – che è poi solo un successo – non tanto diverse da quella Italia che festeggia la sconfitta e non la vittoria, il 25 aprile e non il 4 novembre. Ora, persino il 1° maggio. Senza lavoro, ma con tanti ricatti. Raccattando la sopravvivenza e non la vita. Chiamando vita l’attesa della morte. Il 9 maggio la nuova liberazione. Come la nostra. Pura utopia. Come la piazza di Mariupol, sede dell’annunciata parata, tristemente uguale alla Piazza Rossa di Mosca. Tristemente uguale alla terza Roma. Tristemente uguale a quella vittoria di chi ha combattuto contro di noi e che oggi trova proprio noi al loro fianco solo per combattere la NATO americana, padrone della nostra Terra che, da “mera espressione geografica”, è ridotta, o meglio, adibita a più grande portaerei nel Mediterraneo con la bandiera blu – sia essa stars&stripes o con le stelline dorate, che poi è la stessa cosa – che combatte tramite nazi(onali)sti di cui però non si apprezza la lotta. Di male in peggio. Con tutti gli scheletri e i cadaveri nell’armadio. Nostri. Nostrani. Mostri. Da consegnare alla storia. Che è verità