Il giorno 10 dicembre scorso, Narges Mohammadi, dissidente iraniana, non ha potuto ritirare il Premio Nobel per la Pace assegnatole “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la sua lotta a favore dei diritti umani e della libertà per tutti”.
Non c’era Narges, ma una sedia vuota a monito della sua assenza e delle tante donne che hanno visto la loro vita sacrificata e negata per la libertà.
La rivoluzione culturale di Narges Mohammadi le ha comportato enormi costi personali, come riferito dal Comitato per il Nobel. La donna è stata arrestata 13 volte e condannata cinque volte, per un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate.
Narges Mohammadi è ancora imprigionata nel carcere di Evin. In questo momento è in una cella, soffre di gravi patologie cardiache ed è in pericolo di vita. Nonostante ciò, ha iniziato lo sciopero della fame, la sua stessa esistenza è sotto il ricatto di un regime dispotico che le vieta cure adeguate, nonostante lo sciopero della fame.
“La resistenza è viva e la lotta persiste. Il nostro “dissenso” é continuo e non violento, e la nostra strategia migliore. Sono fiduciosa che la luce della libertà e della giustizia risplenderà luminosamente sulla terra d’Iran. In quel momento, festeggeremo la vittoria della democrazia e dei diritti umani sulla tirannia e il totalitarismo e l’inno del trionfo del popolo sulle strade d’Iran risuonerà in tutto il mondo”. Queste sono le sue parole riportate dai figli Kiana e Ali ad Oslo.
Nonostante le violenze e le angherie perpetrate dal regime religioso iraniano, il suo grido è riuscito a sfondare le porte e i muri della temibile prigione di Evin in cui è rinchiusa.
Nell’ultima lettera recapitata ai popoli occidentali da Narges Mohammadi, scritta di suo pugno pochi giorni fa, la dissidente ci ricorda il suo continuo impegno e sacrificio.
La Premio Nobel per la Pace scrive:
“Sono una donna iraniana, orgogliosa e onorata di contribuire a questa Civiltà, che oggi é vittima dell’oppressione di un regime religioso, tiranno e misogino”
“Un ottavo oppositore appartenente al movimento “Donna, Vita, Libertà”, Milad Zohrehvand, è stato impiccato e il giorno seguente è stato mandato al patibolo un ragazzo di 17 anni. Qualche tempo fa, un altro prigioniero politico di nome Qasem Abeste è stato impiccato nel carcere di Qezelhesar. La macchina delle esecuzioni ha accelerato in tutto il Paese, trasmettendo alla società il messaggio dell’oppressiva Repubblica Islamica: il massacro e le esecuzioni continueranno. Io non la considero altro che una “guerra” del regime con tutti i suoi strumenti di repressione e di morte contro il popolo iraniano oppresso, indifeso e in rivolta.
Queste esecuzioni sono una macchia indelebile per il regime repressivo e renderanno le proteste più intense nel tempo. Ma sono profondamente scioccata per il modo in cui il mondo assiste impassibile al massacro e alle esecuzioni del popolo iraniano. Pensano che le esecuzioni dei giovani della nostra terra sia un fatto scontato in questo angolo dell’Oriente? O forse credono che le condanne a morte siano state eseguite sulla base delle leggi e ordinate da tribunali equi e aperti, dove la difesa dell’imputato è tutelata?
È un grande dolore. Ma sembra che, in assenza delle immagini delle esecuzioni della gioventù oppressa dell’Iran, il mondo rimanga indifferente ormai saturo di immagini. Che tragica morte è quella nell’oscurità della notte con la chiamata alla preghiera dalla temuta cella di isolamento e con il condannato che cammina verso la forca nella fredda alba autunnale vestito con i leggeri abiti carcerari.
Un crimine è un crimine. Un massacro è un massacro. Anche se nessuna bomba è caduta, nessun terribile incendio è divampato, nessun lamento dal petto del condannato ucciso è giunto alle orecchie di qualcuno.
Il regime religioso, con l’inganno e con l’astuzia, replica nelle aule dei tribunali rivoluzionari per mano di giudici complici degli organi militari di sicurezza le regole dei massacri perpetrati sui campi di battaglia dai generali. Queste stragi sono definite in modo grottesco e cerimonioso “applicazione della legge”. Alla fine, il regime iraniano del mondo se ne fa beffe, con i suoi rappresentanti dalle scarpe di vernice nelle sale e nei corridoi delle Nazioni Unite.
Ciò che nel frattempo viene fatto a pezzi è l’umanità e nient’altro.
In questo mondo in cui tutto è globalizzato, l’umanità è forse un’eccezione? È sufficiente rilasciare una dichiarazione sulla carta? Manca forse la volontà globale di fermare le esecuzioni incessanti e diffuse in tutte le città dell’Iran con scuse infondate, volte solo a intimidire e a terrorizzare il popolo iraniano oppresso e in rivolta?
Chiedo all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani di intraprendere un’azione urgente e decisiva in nome dell’umanità per fermare le esecuzioni in Iran.
Invito il popolo iraniano a non lasciare sole e soli coloro che cercano giustizia e a lasciare che le coscienze vigili siano la voce risonante delle persone condannate a morte e la voce di chi protesta contro le esecuzioni in questa terra martoriata”.
Narges Mohammadi – Novembre 2023 – Carcere di Evin
La Repubblica Islamica dell’Iran non è un attore internazionale con cui dialogare per accordi di pace, accordi economici e commerciali, ma è una dittatura che promuove terrorismo, mafie e guerre.
Uniamoci alla richiesta del Premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi.
Chiediamo con forza che il Governo Italiano, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo si spendano per fermare le esecuzioni in Iran; si impegnino con determinazione affinché il regime iraniano lasci in libertà Narges Mohammadi.
LA REDAZIONE DI CAMPO SUD
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