16 NOVEMBRE 2010-16 NOVEMBRE 2020
DIECI ANNI FA IL COMITATO INTERGOVERNATIVO DELL UNESCO, RIUNITOSI A NAIROBI, ISCRISSE LA DIETA MEDITERRANEA NELLA PRESTIGIOSA LISTA DEL PATRIMONIO IMMATERIALE E CULTURALE DELL UMANITÀ.
QUESTO AMBITO E SOFFERTO RICONOSCIMENTO FU IL FRUTTO DI UN INTENSO E CONCERTATO LAVORO SVOLTO DA QUATTRO NAZIONI: ITALIA, SPAGNA, GRECIA E MAROCCO CHE FURONO RAPPRESENTATE DALLE LORO COMUNITÀ EMBLEMATICHE: POLLICA – CILENTO, SORIA, CORONI E CHEFCHAOUEN.
IL MOMENTO DETERMINANTE PER PROPORRE LA CANDIDATURA ALL’UNESCO AVVENNE IL 13 MARZO 2010 QUANDO , IN MAROCCO, I RAPPRESENTANTI ISTITUZIONALI DELLE QUATTRO NAZIONI E DELLE COMUNITÀ EMBLEMATICHE SOTTOSCRISSERO LA DICHIARAZIONE DI CHEFCHAOUEN, L’ATTO FINALE PER OTTENERE IL RICONOSCIMENTO UNESCO.
PER L’ ITALIA SOTTOSCRISSERO IL DOCUMENTO IL DOTT. FRANCESCO AMBROSIO, CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, IL COMPIANTO ANGELO VASSALLO, SINDACO DI POLLICA ED AMILCARE TROIANO, PRESIDENTE DEL PARCO NAZIONALE DEL CILENTO.
LA DIETA MEDITERRANEA, INDIVIDUATA DAL PROF. ANCEL KEYS, NOTO FISIOLOGO E NUTRIZIONISTA AMERICANO, CHE TRASCORSE PIÙ DI TRENTA ANNI A PIOPPI PER STUDIARE LE ABITUDINI ALIMENTARI, LO STILE DI VITA ED I BENEFICI CHE TALE ALIMENTAZIONE APPORTAVA ALLE LONGEVE POPOLAZIONI CILENTANE, NELLE QUALI SI RISCONTRAVA UNA BASSA INCIDENZA DI MALATTIE CARDIOVASCOLARI, RAPPRESENTA UN PATRIMONIO CULTURALE CONDIVISO CHE SI TRAMANDA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE E CHE VA SALVAGUARDATO E PRATICATO.
QUINDI NON È SOLO UN MODELLO NUTRIZIONALE RIMASTO COSTANTE ED INALTERATO NEL TEMPO E NEI LUOGHI DEL MARE NOSTRUM, MA È SOPRATTUTTO UNO STILE DI VITA CHE PROMUOVE LE INTERAZIONI SOCIALI, CONSERVA E SVILUPPA LE ATTIVITÀ TRADIZIONALI ED I MESTIERI LEGATI ALLA PESCA ED ALLA AGRICOLTURA CHE SI SVOLGONO NEL PIENO RISPETTO DELL ‘AMBIENTE E DELLA BIODIVERSITÀ COME AVVIENE IN TANTE PICCOLE COMUNITÀ DEL MEDITERRANEO DOVE LE DONNE SVOLGONO UN RUOLO PARTICOLARMENTE IMPORTANTE NELLA TRASMISSIONE DEI RITUALI E DELLE CONOSCENZE CHE IDENTIFICANO LE COMUNITÀ INTERESSATE E CHE VARIANO DAL PAESAGGIO ALLA TAVOLA.
A DIECI ANNI DI DISTANZA POSSIAMO AFFERMARE CHE LA DIETA MEDITERRANEA, PATRIMONIO DELL’UMANITÀ, RAPPRESENTA IL VALORE AGGIUNTO DELLE ECCELSE PRODUZIONI TIPICHE, DEL TURISMO NATURALISTICO ED ENOGASTRONOMICO DEL NOSTRO PAESE, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE LO SVILUPPO SOCIALE, CULTURALE ED ECONOMICO DEL TERRITORIO NON PUÒ PRESCINDERE DALLA VALORIZZAZIONE DELLE SUE IDENTITÀ E SPECIFICITÀ CHE, MAI COME ADESSO, SONO RAPPRESENTATE ANCHE DALLA DIETA MEDITERRANEA.
LA DIETA MEDITERRANEA A DIECI ANNI DAL SUO RICONOSCIMENTO QUALE PATRIMONIO DELL’UMANITA’!
GIU’ LE MANI DA MEDICI E INFERMIERI!
È purtroppo prassi consolidata che qualsiasi brutto evento che coinvolge la sanità finisca prima o poi, con l’essere sempre colpa di medici e infermieri. Destino analogo spetterà ovviamente anche alla storia del paziente morto nel bagno dell’ospedale Cardarelli di Napoli poiché il sospetto di colpevolezza che si era insinuato fin dalle prime battute, con il servizio mandato in onda dal Tg2 alle ore13.00 del 13/11/2020, si è trasformato in un vero e proprio “je accuse” destinato a rafforzarsi sempre più affinché il copione con tutte le sue spettacolarizzazioni holliwoodiane, abbia finalmente un colpevole da gettare in pasto all’opinione pubblica. Al di là però di pallide supposizioni e squallidi tentativi di sciacallaggio e soprattutto senza nulla togliere alle evidenti responsabilità del Governatore De Luca, sbugiardato nella sua supponente presunzione pre-elettorale dal continuo susseguirsi di eventi che mettono invece in luce solo inadeguatezza, impreparazione e provvisorietà, nella gestione della sanità in Campania, andrebbe invece a mio avviso, sanzionato quel giovanotto degente in Pronto Soccorso, che ha preferito alla Direzione Sanitaria dell’ospedale e ai Carabinieri, scaricare con tutta la sua rabbia e la frustrazione repressa, quel video choc in rete, forse alla ricerca di quell’attimo di notorietà che gli avrebbe permesso di apparire sotto i riflettori di qualche palcoscenico mediatico. Rapidamente però con la comparsa delle prime indiscrezioni sul suo profilo psicologico e di alternative ipotesi sulla causa di morte del paziente, le iniziali accuse di ritardo nei soccorsi si sono mellifluamente trasformate in un semplice atto di solidarietà, troppo tardivo e flebile per mitigare l’effetto devastante del quel video nei confronti del personale del comparto sanitario del Pronto Soccorso dell’ospedale Cardarelli. In questa continua atmosfera da caccia alle streghe, da medico ma soprattutto da uomo, ritengo sia vergognoso girare la testa dall’altra parte lasciando medici ed infermieri, soli ed indifesi alla mercé di tutti ad essere deliberatamente aggrediti, minacciati, violati nella privacy se non addirittura percossi nell’esercizio delle loro funzioni. È fondamentale allora ora più che mai, dare un esempio e questo compito oggi tocca all’azienda ospedaliera Cardarelli che a tutela e garanzia della propria immagine e di quella del personale tutto, avrà l’obbligo di far valere le proprie ragioni nei confronti dell’autore del video, ricordando a tutti che la legge vieta e persegue chiunque esegua e diffonda filmati ripresi all’interno degli ospedali (D.L. n° 196/03 e art. 5 del Codice per la tutela dei dati personali privacy). E’ parimenti auspicabile che cosa analoga venga fatta anche da tutti quei pazienti filmati e pubblicati senza il loro consenso dal momento che le riprese esprimono una volontà dell’autore mirata ma assolutamente non casuale e generica. Lungi dall’essere allora una difesa d’ufficio è bene ribadire a garanzia dei diritti di tutti, che se in questa storia qualcuno dovesse avere sbagliato, dovrà pagare… chiunque esso sia! Non dimentichiamo infine che coloro sui quali si cerca continuamente di gettare la croce, sono figure professionali sanitarie da mesi sottoposte come chiarito anche dal recente rapporto dei NAS, a turni di servizio massacranti ed in condizioni precarie di mezzi e personale che hanno scelto solo per amore della loro professione, di essere baluardo di prima linea all’avanzata della pandemia a rischio della propria incolumità fisica… ed a dargli ragione sovvengono senza ombra di dubbio, gli inequivocabili numeri dei caduti sul campo nell’esercizio delle proprie funzioni. Altro che angeli, questi sono eroi a cui però nessuno darà mai un riconoscimento. N.B.: Con questo articolo pubblicato da Campo Sud, l’autore intende esprimere vicinanza al D.G. dell’AORN “A. Cardarelli” di Napoli Dr. F. Longo, al Direttore dell’UOC di Pronto Soccorso Dr.ssa F. Paladino e al personale tutto del comparto emergenze, per l’ennesimo ingiustificato attacco ad una Azienda da sempre in prima linea nella battaglia contro il COVID-19, nonché storico baluardo della tutela della salute nel mezzogiorno d’Italia, e non soltanto!
Lo Sceriffo diventa artigliere e spara cannonate al Governo e al Sindaco di Napoli !!
I cittadini campani ormai sono abituati alle “intemperanze verbali” del loro Governatore.
E pian piano hanno imparato a conoscere i modi bruschi e sin troppo schietti di Vincenzo De Luca anche gli “addetti ai lavori” della politica nazionale e gran parte della stampa accreditata e degli opinionisti di “tendenza”. Ma nessuno avrebbe immaginato che in un pomeriggio di Venerdi di metà Novembre, nel corso della sua tradizionale e inusuale conferenza stampa (senza giornalisti) di fine settimana, collegato in video dalla “postazione di comando” di Palazzo Santa Lucia, il nostro Sceriffo dedicasse, quasi per intero, il suo soliloquio al vetriolo nientemeno che al Governo centrale. Reo, a suo dire, (ma se così fosse significherebbe che se ne é accorto con grave ritardo!) d’essere affetto da improvvisazione colpevole; diffusa incompetenza; cinica presunzione e manifesta inconcludenza, relativamente alla gestione dell’emergenza sanitaria, alle misure di contenimento anti-covid, all’assunzione di provvedimenti efficaci, univoci e soprattutto tempestivi per il contrasto della pandemia da Coronavirus.
Un autentico “mal rovescio” in pieno volto all’intero Governo, cui De Luca salva dalle sue bordate non più di tre Ministri, senza però citarli! Di cosa si sarebbero macchiati costoro? Quale l’accusa più forte e senza appello a parere del Governatore Campano? : Il grave ritardo e la colpevole esitazione dell’Esecutivo nel decretare la Zona Rossa in Campania e in diverse altre regioni italiane ove i contagi andavano incrementandosi di ora in ora senza che si intervenisse adeguatamente e sollecitamente. Così come dallo stesso De Luca suggerito e richiesto a gran voce e ripetutamente al Governo Centrale non più tardi di una ventina di giorni or sono. Circostanza questa che, ricorderanno i nostri lettori, scatenò dapprima a Napoli e poi a macchia d’olio in tutta Italia, manifestazioni spontanee di protesta di operatori commerciali, ristoratori, operatori turistici e albergatori, disoccupati e partite iva e tanti altri lavoratori autonomi preoccupati di ritrovarsi invischiati in un nuovo “lockdown” che li avrebbe definitivamente azzoppati economicamente e professionalmente. E questa volta irrimediabilmente!
Il Governo, tuttavia, disattendeva gli appelli di De Luca di fine Ottobre. Forse per colpa delle eccessive esitazioni o dell’inconcludenza dei suoi Ministri o, peggio ancora, della loro incompetenza manifesta. Così come affermato dal De Luca nella sua ultima apparizione video. Ma Lei, Signor Governatore, perché si é uniformato a quella banda di improvvisatori e parvenu della politica nostrana? Se Lei era così fortemente e intimamente convinto della necessità di provvedimenti restrittivi e limitativi delle libertà individuali dei suoi concittadini campani, perché non ha proseguito sulla strada da Lei stesso annunciata quel venerdi 23 Ottobre, nel corso del suo consueto “soliloquio” televisivo? Perché non ha decretato la Zona Rossa in Campania, affiancando regioni italiane già individuate e riconosciute tali come il Piemonte e la Lombardia? E si che ne avrebbe avuto titolo e competenza istituzionale per farlo, anche in autonomia rispetto alle valutazioni “esitanti” del Governo Centrale!
Quali i motivi dei suoi tentennamenti? Forse la preoccupazione per quelle reazioni troppo forti, inaspettate e spontanee dei suoi corregionali esasperati ? Forse il dilagare troppo veemente e repentino di quelle manifestazioni di protesta in tutto lo stivale? Avrà capito troppo tardi che non erano ne camorristi, ne fascisti e ne estremisti rossi o dei centri sociali a capeggiare quelle manifestazioni di protesta. Ma piuttosto la parte meno garantita dei lavoratori italiani, dei suoi concittadini della ex Campania felix. Anche i Salernitani Le avevano organizzato una manifestazione fin sotto la Sua abitazione per rappresentarle il disagio e la sofferenza di un ” popolo” di non garantiti. Erano così “contenti” di farle visita che la Polizia in tenuta anti-sommossa li ha dovuti disperdere non senza difficoltà. Ma se non é la pur legittima preoccupazione per le folle inferocite, Signor Governatore, quale può essere un altro motivo che Le ha suggerito di desistere dall’assumere provvedimenti di chiusura forzosa o lockdown, che dir si voglia, per la Regione da lei amministrata?
Conoscendo il suo comportamento fiero e intransigente non vorremmo proprio pensare, come dicono molti maligni, che Lei si sia volutamente nascosto dietro i tentennamenti e l’incompetenza del Governo. Della serie: se calano i contagi mi risparmio critiche ed accuse di catastrofismo. E magari anche qualche napoletanissima pernacchia. Se i contagi aumentano e l’emergenza sanitaria si fa più drammatica posso dire di essere l’unico politico in esercizio che capisce qualcosa. E con quella “genìa” di rappresentanti governativi che Lei stesso ha descritto nello scorso pomeriggio, ci sarebbe stato veramente poco da rallegrarsi, o peggio ancora da vantarsi!
Discorso a parte dobbiamo pur fare, per esclusivo dovere di cronaca, relativamente alle esternazioni che Ella, Signor Governatore, ha voluto riservare al Sindaco di Napoli, senza mai nominarlo direttamente, nel corso del suo lungo monologo televisivo di fine settimana.
Che il buon De Magistris, come accade anche ai migliori cavalli di razza, abbia, per così dire, “rotto” e che ormai navighi a vista e trotterella sulla pista in direzione delle scuderie per il meritato riposo dopo una gara sfortunata (per Napoli lo é stato certamente!) é cosa palese e incontrovertibile. Che sia davvero incomprensibile questa polemica a distanza che ormai é stata ingaggiata dal Presidente della Regione con il Sindaco della città Metropolitana (e viceversa) su ogni argomento di discussione politica o di modello di gestione della cosa pubblica, é cosa altrettanto stucchevole e oltremodo inutile. E soprattutto per Lei, Signor Governatore, può divenire anche dannosa. Ribadire in ogni occasione la irresponsabilità del Sindaco di Napoli per i mancati interventi di contrasto degli assembramenti in città con un uso più efficace e mirato della Polizia Municipale; criticare le sue continue apparizioni in tv (tra l’altro al termine della sua avventura da Sindaco di Napoli) mentre Lei stesso brilla per presenze televisive con frequenza da sovraesposizione mediatica, denota un aspetto della sua personalità piuttosto inquietante, se é vero come é vero che Lei ha sempre bisogno di un “nemico” con cui confrontarsi e polemizzare anche duramente. Usando spesso toni sprezzanti e irridenti. E, in buona sostanza, utilizzando appieno il tradizionale canovaccio della polemica politica velenosa in uso alla sinistra nostrana, normalmente adoperata contro i Salvini di turno. Così come fu per lungo tempo con Berlusconi. Ma che, in periodi di calma apparente, può essere rivolta anche contro se stessi (intesi come parte politica. E De Magistris é farina del suo stesso sacco!). Di qui gli attacchi all’ex Magistrato che ormai a Napoli non pensa più nessuno o tutti vedono già fuori da qualunque ipotesi politica futura.
Da napoletani non vorremmo che i suoi attacchi inutili al buon Giggino possano far “passare” il nostro quale “vittima innocente” della Sua fame di protagonismo. E che magari proprio il partito nel quale milita possa tentare un recupero, o per meglio dire, un ripescaggio del Sindaco e delle sue truppe residue per le prossime elezioni amministrative in città. Magari solo per farle dispetto. Come accade da sempre nella migliore tradizione della sinistra italiana. Purché il PD ritorni a Palazzo San Giacomo……. costi quel che costi!
Il giorno della polemica, o meglio, della vergogna !!
La Campania non è ancora guarita e l’Italia tutta non ha ancora saputo dell’infanticidio provocato in una clinica partenopea per troppo rigore nell’applicazione di un protocollo Covid, che già Napoli offre un nuovo caso, forse peggiore e non differente per gravità.
Ospedale Cardarelli, ops!, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale, il maggior ospedale della Campania e dell’intero Meridione, nonché il primo a livello nazionale per la cura dei grandi ustionati, costruito in epoca fascista e perfettamente funzionante, ma non funzionale. Un uomo, ricoverato per sospetto Covid, viene ritrovato morto nel bagno da una altro degente che documenta tutto col suo telefonino. Sospetto Covid è la “lettera scarlatta”, la nuova stella gialla, la contemporanea condanna. Chissà se pure questa volta si mancherà di ottemperare al protocollo sanitario che bandisce le autopsie, tanto per (non) capire, cosicché il certificato di morte rechi la formula ormai “istituzionalizzata” “morto per Covid”. Un altro. Ancora. Tanto era sospetto per cui nessuno mai sospetterà. Una forma che uniforma, identifica e anonimizza, che richiama probabilmente quel “nato il 1 gennaio 20..” valido per 1000 anni e già buono oggi per tutti coloro che toccano terra a Lampedusa ed hanno bisogno di una nuova identità. Senza più una storia, un passato, come quelli che non hanno più nemmeno potuto salutare per l’ultima volta gli affetti più cari, anch’essi stipati tra attesa e angoscia in squallide sale d’attesa. E che continueranno ad attendere per il resto della loro vita una verità, magari stravolta, stavolta davvero senza tempo. Il giorno dopo è sempre quello della polemica fatta da chi resta e che ancora affolla questo mondo, sterile come solo può essere chi sciorina la soluzione e propaganda di avere la bacchetta magica, ma tende, spesso se non sempre, a confondere la causa con l’effetto. Le immagini della morte di quest’uomo, per quanto crude, oltre ad essere una preziosa testimonianza utile ai fini processuali, raccontano la verità del nostro tempo, la crudezza di questa vita, le condizioni della nostra sanità. Purtroppo si muore anche negli ospedali che è un ossimoro, una contraddizione in termini così come lo è una pandemia nel 2020. Come il “restate a casa” ché “andrà tutto bene” prima, durante e dopo la quotidiana lettura del bollettino della morte. Che tutela è quella che raccomanda di non affollare gli ospedali se per mesi vi è stato un martellamento continuo che ha generato paura del e nel prossimo, che ha dilaniato famiglie con tanto di inviti a non vivere persino l’intimità perché veicolo di contagio? Perché se corsie e reparti sono il nuovo Grande Fratello programmato con tempi da lockdown, una verità senza filtri deve essere criticata se non censurata? Non è la spettacolarizzazione della morte, bensì l’assassinio in diretta della vita. Si sprecano oggi le etichette per il testimone di una scomoda verità: un “paziente ossessivo, sempre vicino alle apparecchiature mediche”; “un disturbato” è stato definito questo paziente ben poco paziente dai vertici dell’Azienda ospedaliera, ma che, purtroppo, ha avuto ragione. Ci aveva visto bene, forse per “esperienze pregresse” proprio in quella sanità con cui qualcuno vorrebbe guadagnarsi la santità. Un nome su tutti Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania che continua gelosamente – e vergognosamente – a tenere per sé la delega alla sanità. È vero, quel che è accaduto poteva accadere in qualsiasi ospedale del mondo, ma il fatto è che è accaduto a Napoli. In quella Napoli presentata qual fiore all’occhiello nel bel mezzo di una pandemia che gli ha fruttato un consenso plebiscitario, oggi considerevolmente ridotto. Sacrosanti i complimenti a personale medico e paramedico che opera in condizioni disumane che nemmeno nel disastrato Burundi, ma dai vertici del settore, che sono gli stessi della presidenza della Regione, si pretenderebbe che si facesse di più anche solo in merito all’organizzazione, al modo di lavorare e che, invece, aggiunge caos a insufficienze di uomini e mezzi. Altrimenti i complimenti senza risultati concreti non sono altro che una lavata di faccia oggi che tutti hanno l’acqua corrente in casa, una pisciata di letto di un paziente a cui non si può nemmeno cambiare il catetere, una vita umana finita nel cesso di un ospedale che lì sarebbe dovuta essere preservata. Ma questi devono essere i giorni dello sciacallaggio mediatico del paziente testimone di questa vergogna, della colpevolizzazione fino al vittimismo di quella Campania che, purtroppo, non racconta storie diverse, di questa terra in cui è meglio continuare ad infangare la verità a discapito dell’onestà. Questo è il giorno in cui i veri colpevoli si prodigano in complimenti ai medici tanto per sciacquarsi la coscienza e con la vicinanza – in tempi di raccomandazione di distanziamento che è diventato il nuovo Vangelo- tentano di alleggerire le proprie coscienze. Per quanto possa servire.
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IN NOME DEL COVID …………..
In nome del Covid, si può preservare in maniera ossessiva la vita fino al punto di perderla? Qual è la linea di confine tra il ligio professionista ed il medico che salva le vite? Può un protocollo sanitario-governativo essere più importante persino del giuramento d’Ippocrate? |
Ancora un lutto nel mondo dello spettacolo : si é spento per Covid Stefano D’Orazio, storico batterista dei POOH.
Aveva 72 anni, Stefano D’Orazio e certamente non li dimostrava. Look sempre giovanile, come si conviene ad un affermato musicista, autore e strumentista di razza, aveva fatto parte, sin dagli albori degli indimenticabili anni 60, del gruppo musicale più longevo e conosciuto della nostra musica leggera. Lui, apprezzatissimo e talentuoso batterista, aveva anche scritto i testi e cantato tra i più bei pezzi del repertorio dei Pooh: da “La mia donna” a “Tropico del Nord”. Da “Il giorno prima” a “Se c’é un posto nel mio cuore”. E ancora altri successi più recenti quali “Le cose che vorrei”; “Ancora una canzone”; “Tante storie fa”.
Poco più di una settimana fa era stato ricoverato per sintomi influenzali piuttosto fastidiosi. In così poco tempo il maledetto Covid ha portato via anche lui lasciando esterrefatti i suoi grandi amici e colleghi della “Band” e la sua compagna di sempre, Tiziana Giardoni, con la quale si era sposato molto recentemente, dopo lunghi anni di convivenza felice.
In pochi giorni, dunque, il mondo dello spettacolo perde un altro protagonista della storia artistica e musicale del nostro Paese. Una perdita davvero insopportabile se si pensa che, così come Gigi Proietti, anche Stefano D’Orazio era attivissimo nel suo lavoro artistico e regalava a tutti noi ancora tante emozioni attraverso le sua professione di musicista e compositore sempre in evoluzione e di indiscutibile valore.
La scomparsa di Stefano D’Orazio lascia smarriti, sospesi, senza fiato tanti di noi della sua generazione. Noi che eravamo poco più che adolescenti sul finire degli anni 60 e che siamo cresciuti e abbiamo vissuto momenti indimenticabili con le meravigliose e intramontabili melodie dei Pooh.
Noi che avevamo già “sofferto” abbastanza per l'”uscita di scena” prematura di Lucio Battisti, di Fabrizio De Andre’ e poi di Pino Daniele, oggi siamo costretti ad assistere all’ennesima scomparsa prematura. Questa volta la vittima é preda di una terribile pandemia che nessuno ha ancora sconfitto e che, peggio ancora, nessuno sa dove sia nata, come si sia sviluppata e diffusa così largamente e minacciosamente in ogni parte del globo. E questo elemento costituisce la beffa più insopportabile, più incomprensibile per tutti. Se solo si pensa agli enormi passi avanti della ricerca scientifica e della medicina che, a vent’anni quasi suonati dall’inizio del terzo millennio, segnano il passo di fronte ad una malattia che molti virologi, e non soltanto, si affannano a considerare poco più perniciosa di una banale influenza invernale.
Cosa aspettarci ancora? Quante sofferenze e quali difficoltà dovremo ancora sopportare prima di tornare a sorridere, a respirare, a discutere liberamente con gli altri? Quando potremo in sicurezza abbracciare i nostri figli o i nostri nipotini, gli amici o i parenti? Quando potremo avere la fortuna di non assistere a stupidaggini del tipo dei banchi anti contagio con rotelle………. e poi chiudiamo i portoni delle scuole in faccia agli studenti. Quando finiremo di sprecare tempo prezioso e cospicue risorse per i bonus monopattini invece di destinare ulteriori ed adeguati finanziamenti ad una ricerca scientifica che langue o annaspa paurosamente? Quando capiremo che occorre affrontare questa pandemia con una regia unica ed efficace su tutto il territorio nazionale ed evitare di avere troppi galli a cantare che spesso stonano o non cantano mai nello stesso momento. Quando capiremo che occorre utilizzare al meglio le nostre Forze Armate attraverso l’impiego di automezzi militari per sostenere e implementare i trasporti urbani ormai esangui delle nostre città e contribuire a ridurre le occasioni di contagio per il sovraffollamento incontrollato? Quando saranno dispiegate le nostre Forze Armate per il contenimento dell’immigrazione clandestina nelle città italiane. Fenomeno che vede sempre più clandestini liberi di vagare numerosi e incontrollati su tutto il territorio nazionale, mentre agli italiani vengono, in tal modo e inspiegabilmente, imposte inutili quarantene nelle proprie abitazioni, con la speranza di contenere il contagio da Covid 19.
Questo si domandano (senza ricevere alcuna risposta) quei cittadini italiani della mia generazione. (E non soltanto). Le stesse generazioni di Stefano D’Orazio, di Lucio Battisti, di Pino Daniele. Generazioni che hanno tanto offerto al proprio Paese. A partire dal servizio militare obbligatorio (12 mesi almeno, se non 24 per la leva di mare) appena compiute le 20 primavere. Passando per i capitomboli più dolorosi per trovare lavoro in quegli anni. E poi, almeno 42 anni di servizio e non incassare neanche la liquidazione, se non passano altri due anni o forse tre dalla data di pensionamento. Quella stessa generazione di Italiani che oggi, in presenza della pandemia di Coronavirus, tutti gli “scienziati” del Governo vorrebbe relegare non si sa bene dove. Tutti i soloni di Palazzo Chigi o dei Ministeri competenti vorrebbero rinchiudere nelle proprie abitazioni o in appositi” lager” perché considerati fragili o ammalati. O peggio ancora inutili………….!!
“Maledetto governo ladro!!” verrebbe da gridare, come in quei film del neorealismo italiano dei primi anni 60. Ma oggi, per rimanere all’attualità, occorrerebbe gridare “Maledetto governo di principianti. Idioti, inadeguati e irresponsabili” !!
L’Italia é anche un Paese per vecchi!
Da Villa Giusti al comodo divano di casa propria, da quarta potenza mondiale a corridoio clandestino con la porta sempre aperta sul Mediterraneo, dal riscatto per la vittoria mutilata all’ammutinamento di ogni residua attività sinaptica.
Eccola l’Italia della generazione del ’99 e di Armando Diaz cent’anni dopo: tutta in fila nel click-day, in coda, manco a dirlo, virtuale e in religioso ossequio al distanziamento a-sociale, prettamente on line per combattere la propria personale battaglia nell’accaparrarsi lo sconto per l’acquisto di bici elettriche e monopattino.
La Casaleggio & dissociati è riuscita ottimamente nell’intento di portare la politica, nel senso più alto del termine, comodamente a casa sul web, è riuscita persino a spacciare la cosiddetta democrazia diretta ad appannaggio di un numero chiuso (dicesi oligarchia ma Di Maio e Toninelli non lo sanno!) di iscritti, previa la maturazione di una certa “anzianità di servizio” sulla piattaforma che ha appiattito persino Rousseau, tentando di elevare questa forma di parte-cipazione privata e persino ad istituzionalizzarla. Un po’ come il loro vaffanculo.
Ultima trovata “grilloide”: il clic-day appunto, ovvero come accedere ad uno sconto per l’acquisto di mezzi elettrici quando alle porte incombe la minaccia di segregarci nuovamente dentro casa. Monopattini e biciclette buoni nemmeno per correre dietro al virus. E chi se ne frega dei principi fondamentali, delle libertà acquisite, dei diritti inviolabili.
È l’era della digitalizzazione – dice il Presidente del Consiglio Conte – quando vanta gli sforzi profusi in tal senso, dalla “sburocratizzazione” del sistema, alla digitalizzazione di ogni settore: dalla pubblica amministrazione – che ancora annaspa- fino alla Sanità: i medici, infatti, prescrivono ricette via telefono, visitano via web e tra un po’ opereranno pure in streaming. È il 5G, la rete del futuro che è già presente. Non sappiamo quale sia, se quello cinese o quello americano, forse la guerra NBC in corso è anche per questo, ma di sicuro è quello a cui si è aperta la strada nella scorsa primavera, quando l’Italia tutta era confinata in casa e Sindaci, Presidenti di Provincia e Governatori davano il placet per l’abbattimento di alberi secolari in ogni dove.
Subito dopo, ma non troppo, tra la fine della primavera e nell’arco dell’intera estate, la nuova tecnologia ha fatto ingresso nel mondo dell’Istruzione, distruggendola: banchi con le rotelle per tutti, distanziamento (a scuola?) sociale (a scuola?) per tutti gli alunni, mascherine urbi et orbi, verifiche “da decantare” e votazioni “da maturare”, ingressi scaglionati, presenza a singhiozzo. Risultato: scuola chiusa e lezioni a distanza. Didattica, ovvero app-rendi-mento, non insegnamento o formazione o cultura. Con la ripescata Azzolina nei panni del Ministro che fa l’avvocato del diavolo per il governo. Il partito della Azzolina che poi è quello che ha portato a nominare – in perfetto stile Casalino – Giuseppe Conte (che non è mai stato un 5 stelle) rimanda a un progetto dei Casaleggio & co(mpagni) che si pone l‘obiettivo della DAD perenne, ovvero scuola da casa, sempre e per sempre. Ciò significa niente più scuola per nessuno con la dipartita – chiaramente metaforicamente professionale – degli insegnanti che saranno sostituiti da anonimi meme. Insignificanti avatar. Un po’ come la vocina della cassa automatica che ha sostituto il casellante e che puntualmente, dopo averci reso il resto, si manda inevitabilmente… dalle 5 stelle.
L’ultima trovata, sicuramente solo in ordine di tempo, riguarda la nuova procedura per accedere ai servizi dell’AdER, l’Agenzia dell’Entrate-Riscossione. Meglio rafforzare il concetto, magari qualcuno si illudesse che non è solo il battesimo a nuova vita della prodiana Equitalia, equa solo nel far finire alla” stessa maniera” parecchi Italiani. Troppi.
Stando alle notizie dei tiggì RAI, che la task force di Stato propina per impartire le balle di “Regime”, il numero delle vittime per la pandemia aumenta considerevolmente di giorno in giorno. Stessa sorte per gli impiegati cui si toglierà il lavoro. Quindi sempre più persone, che non hanno più una vita che non sia in funzione del Covid, potrebbero accedere agli sportelli delle agenzie fiscali per il disbrigo di pratiche burocratiche. Agenzie create nel 2000 per i cittadini contribuenti e non per lo Stato ed è qui che costoro trovano la bella sorpresa: dal 26 ottobre, infatti, “cambiano le modalità di accesso in tutti gli uffici dell’Agenzia delle Entrate della provincia di Caserta, Napoli e Salerno”. Per le pratiche che non possono essere evase via web, quindi da soli, è necessario prenotare un appuntamento. Di seguito la modalità pubblicato sul sito dell’AdER: “Come prenotare un appuntamento in Agenzia – I cittadini possono prenotare gli appuntamenti tramite il sito internet, nella sezione “Contatti e assistenza” > “Assistenza fiscale” > “Prenota un appuntamento”, oppure tramite l’App mobile “AgenziaEntrate”, scaricabile gratuitamente dagli store IOS, Google e Microsoft, con cui si può accedere dal proprio smartphone o tablet a servizi come il cassetto fiscale, la dichiarazione precompilata o la richiesta del Pin. Sempre dal sito delle Entrate è possibile ottenere un web ticket (“Contatti e assistenza” > “Assistenza fiscale” > “Elimina code online (web ticket)”), che consente di prenotare un biglietto elimina code presso un ufficio dell’Agenzia da utilizzare nello stesso giorno e limitatamente ad alcuni servizi.”
Tutto questo “Ambaradan” solo per portare la pratica allo sportello, magari al cospetto di un funzionario impanicato quindi deconcentrato e, di conseguenza, annoiato e, ci auguriamo, non superficiale.
Questa è la pratica che debbono seguire i nonnini, magari non scolarizzati e allettati, spesso soli, quelli sempre più “relegati” a sostituire le baby-sitter quando ce la fanno o che hanno bisogno di una badante, quelli che sempre più spesso e mai come in quest’ultimo periodo di chiusura delle attività essenziali (quale lavoro che è fonte di sostentamento non è essenziale?) imposta da questo governo, significano piatto per figli e spesso per i nipoti. Questo il trattamento verso coloro che hanno fatto l’Italia, che hanno contribuito al boom economico, che hanno creato quello che oggi è stato distrutto. Questa l’attuale gratitudine.
Alla faccia della sburocratizzazione!
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UN PANDEMONIO DI PANDEMIA !
Il pandemonio come diretta conseguenza di una pandemia. Al di là dell’assonanza fonetica, non vi è praticamente nulla che accomuni lo scompiglio (de)generato da un virus – che in Germania si è scoperto essere addirittura un batterio – e il virus stesso, elevato esponenzialmente a pandemia per il solo fatto che dalla Cina ha invaso (e forse inviso) il mondo intero.
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Addio a Sean Connery, gran Signore del cinema contemporaneo.
E’ scomparso così, senza arrecare alcun disturbo, con riservatezza e quasi con delicatezza, a 90 anni, il più famoso Agente Segreto che la storia del cinema ricordi. Sean Connery attore e produttore cinematografico di gran classe, Scozzese di Edimburgo con un palmares assolutamente non trascurabile: Un premio Oscar e tre Golden Globe nella sua lunga e prestigiosa carriera. Cui vanno aggiunti due Premi Bafta, un David di Donatello nel 1977 e il Marc’ Aurelio d’Oro nel 2006.
Aveva iniziato giovanissimo la sua attività artistica esordendo nel teatro. Ma non per autentica passione. Piuttosto per sbarcare il lunario grazie ai “Musical” americani che imperversavano nei teatri londinesi nei primi anni 50. Con il suo fisico prestante e il bell’aspetto da giovanotto scozzese elegante e tenebroso, fu subito cooptato dal cinema, ove partecipò ai suoi primi film con parti non certo trascurabili. Esordì con la pellicola “Scotland Yard Sezione Omicidi” del 1960 e, subito dopo “Il Giorno più lungo” un affresco della seconda guerra mondiale, del 1961.
Ma la consacrazione come attore di primo piano arriverà molto presto con una parte da protagonista proposta a Connery da due noti produttori cinematografici del calibro di Albert Broccoli ed Harry Saltzman che gli offrirono di interpretare il ruolo di un Agente Segreto di Sua Maestà Britannica alle prese con un mondo di spie internazionali nell’Europa divisa dal muro di Berlino e dalla Guerra Fredda degli anni 60. Era appunto il 1962 e il primo film del filone fortunato di James Bond si intitolava : ” Agente 007 con Licenza di Uccidere”. Seguiranno altre sei pellicole fortunatissime del medesimo filone di “spy stories” che lanciarono Sean nell’Olimpo del Cinema Internazionale: “Dalla Russia con amore”; Missione Goldfinger”; “Tunderball”; Agente 007 Operazione Piovra”; “Si vive solo due volte”; “Una cascata di diamanti” del 1971. E dopo essere stato sostituito, su sua richiesta, nel ruolo di Agente 007 da un altro “mostro” del cinema britannico, Roger Moore, e poi ancora da George Lanzeby, il nostro Scozzese di ferro riveste nuovamente i panni dell’Agente Segreto e gira ancora un gran film della fortunata serie di 007: “Mai dire mai” del 1983, che superò il successo di incassi delle precedenti pellicole di 007, oltre ogni rosea aspettativa degli stessi produttori.
Ma la sua notorietà e la grande maestria con cui aveva interpretato così efficacemente il ruolo di Agente Segreto, con avventure mozzafiato e al limite della pericolosità più estrema, gli fecero maturare il convincimento che andavano percorse altre “strade interpretative” e che fosse giunto il momento di sceneggiature e copioni di altra natura.
E fu così che Sean Connery, senza abbandonare il filone cinematografico dell’avventura, ma interpretando ruoli più maturi e personaggi più rassicuranti si impegna in film come “Il primo Cavaliere” del 1976, in cui interpreta magistralmente il ruolo di Re Artù, alle prese con i Cavalieri della Tavola Rotonda. E poi “Robin e Marian” del 1976, un film che rievoca le avventure di Robin Hood e nel quale Connery interpreta il ruolo di Riccardo Cuor di Leone. E ancora, “Highlander” del 1986 e, qualche anno dopo (1989), eccolo impegnato in una interpretazione davvero magistrale del frate e filosofo Guglielmo di Baskerville, nel film-triller di successo tratto dal romanzo di Umberto Eco “In nome della rosa”. La sua magistrale interpretazione del francescano-indagatore impegnato a scoprire i motivi di numerose morti oscure di frati di clausura in un monastero calato nel medioevo e alle prese con attività eretiche dei religiosi, gli valse il riconoscimento del premio Bafta.
Due anni dopo o poco più, (1989) Sean Connery conquista ancora un prestigioso premio cinematografico: E’ l’Oscar come miglior attore non protagonista nel film “Gli Intoccabili” di Brian De Palma, che Connery interpreta a fianco di attori del calibro di Kevin Constner, Robert De Niro e Andy Garcia, nel ruolo di un poliziotto impegnato ad incastrare e arrestare il boss della mafia italo-americana Al Capone.
Altra celeberrima pellicola di avventura mozzafiato é senz’altro “Caccia a Ottobre Rosso” del 1990, nella quale Sean Connery interpreta il ruolo del Comandante di un sommergile sovietico in navigazione nell’atlantico che, dopo varie peripezie e colpi di scena, chiederà asilo politico agli Stati Uniti, portando al riparo l’unità navale che i Russi volevano affondare con tutto l’equipaggio, ritenuto traditore.
L’anno seguente (1991) l’attore scozzese é nuovamente impegnato in un film di avventura molto grazioso e intrigante, oltre che di grande successo: “Robin Hood il Principe dei Ladri” ove interpreta il Re Riccardo d’Inghilterra. E’ la seconda interpretazione a distanza di 15 anni del ruolo di Re Riccardo in un film sulle avventure di Robin Hood.
Con l’inizio del nuovo millennio Sean Connery deciderà il suo ritiro dalle scene cinematografiche. Farà eccezione proprio nell’anno 2000 interpretando da protagonista il film “Scoprendo Forrester” e poi nel 2003, sempre nel ruolo di protagonista nel film “La leggenda degli uomini straordinari”, chiuderà la sua brillante e proficua carriera di attore di gran classe e di grande talento interpretativo.
Sean Connery fu un grande Patriota. Legatissimo alla sua Scozia, alla sua storia millenaria e alle tradizioni della sua terra. Fu tra i più tenaci sostenitori dell’Indipendenza della Scozia e molto vicino al Partito Nazionale Scozzese. Nelle cerimonie pubbliche Sean Connery amava presentarsi con il gonnellino scozzese, il famosissimo Kilt, emblema della cultura e delle tradizioni del popolo scozzese.
Nel 1999 Sean Connery fu nominato Baronetto della Casa Reale di Windsor con Provvedimento della Regina Elisabetta d’Inghilterra. Qualche anno prima (1991) fu insignito della Legion d’Onore Francese. Tanto a testimonianza della grande considerazione, del prestigio e dei meriti notevoli dell’uomo e dell’artista anche fuori i confini del proprio Paese.
La scomparsa di Sean Connery lascia un vuoto davvero incolmabile negli appassionati di cinema. La sua eleganza, la sua compostezza, la maestria nell’interpretare ruoli e personaggi forti e complessi, con disinvoltura e calma disarmanti, lo rende assolutamente unico e insuperabile. Colpisce anche la serenità con la quale ci ha lasciato. Colpisce la riservatezza e la passione per le sue idee. Il forte legame con le sue origini e la sua Terra.
TERRORISMO O CONFLITTO DI CIVILTA ?
L’attentato di Nizza dinanzi alla Cattedrale di Notre Dame, con il barbaro omicidio di tre innocenti passanti, a pochi giorni dalla decapitazione, in uno dei comuni più tranquilli della banlieau parigina, del professor Samuel Paty, ripropone in maniera drammatica il problema del terrorismo islamico (non islamista come lo chiamano i sacerdoti del politically correct) che sembra non conoscere fine.
Non si tratta più di azioni organizzate, pianificate con cura, con ingenti mezzi e da specialisti, valga l’esempio per tutti degli attentati dell’11 settembre contro il Pentagono e le Torri gemelle, portati a termine da ingegneri con esperienze di volo, addestrati per mesi, ma piuttosto di un ben più pericoloso terrorismo, più difficile se non impossibile da prevedere nella scelta dei suoi obiettivi che, pur conservando preferibilmente, ma non esclusivamente, elementi simbolici come le cattedrali, colpisce inermi cittadini con armi da taglio che chiunque può procurarsi al supermercato e da parte di oscuri militanti della jihad, la guerra santa contro gli infedeli, primo dovere religioso di ogni musulmano, che sia scita o sunnita o di altre confessioni.
E’ sufficiente che da una chat di un qualsiasi social parta l’ordine di colpire cittadini inermi in luoghi simbolici, ma anche solo per istrada, inviato ad uno, cento o mille oscuri “martiri” che, in pochi minuti, costoro si attivano.
Si tratta di un’ulteriore fase della “guerra asimmetrica”, ben nota agli esperti di strategia militare e resa nota al pubblico dei non addetti ai lavori dallo stupendo film di Gillo Pontecorvo “La battaglia di Algeri”, tuttora oggetto di studio nelle Accademie militari che racconta dell’impotenza dell’esercito francese in una lotta totalmente fuori dai parametri della guerra tradizionale, non dissimile da quella dell’esercito Usa in Vietnam, dall’esercito sovietico in Afghanistan e così via.
Ed il punto è proprio questo: ha un senso parlare di Islam moderato da contrapporre ad un Islam estremista ?
Anche il più “moderato” dei musulmani è educato alla Jhiad e giudica ciascuno di noi nemico in quanto “infedele”.
Il quesito se lo poneva Oriana Fallaci ovviamente ritenendo che la contrapposizione non esistesse, meno che mai se lo pone il giornalista e scrittore Magdi Allam, che l’islamismo lo conosce dall’interno, con la sua vera e propria predicazione da musulmano convertito al cattolicesimo, che cerca disperatamente quanto vanamente di mettere in guardia l’Occidente da un’aggressione dalla quale sembra di non volersi difendere per viltà e sottovalutazione della portata del pericolo.
L’Occidente materialista, capitalista, globalista, consumista, l’Europa dei mercanti, sembra assolutamente incapace di affrontare un fenomeno di così vasta portata, nell’illusione che si tratti di eventi sporadici che si possono combattere con più o meno semplici operazioni di polizia , in realtà si ripropone in termini sempre più essenziali il tema del conflitto di civiltà: da una parte un Islam che si va radicalizzando nei suoi convincimenti quanto soprattutto nell’azione politica trovando, da qualche anno a questa parte, un ulteriore e pericoloso sostenitore che vive a ridosso dell’Europa ed è addirittura uno dei paesi della NATO, persino candidato ad entrare nella UE.
Mi riferisco naturalmente alla Turchia che, sotto la guida del neo sultano Erdogan, sembra aver ripreso il suo antico progetto imperiale ottomano.
Da anni scrittori francesi del calibro di Alain de Benoist, Michel Onfray, Eric Zemmour, Alain Finkielkraut , Regis Debray, Michel Houellebecq, con articoli, saggi, libri, romanzi, conferenze hanno messo in guardia la Francia e l’Occidente rispetto ad un attacco portato avanti da una visione della vita e del mondo impregnata da valori religiosi declinati con fanatica certezza, contro un mondo scristianizzato, privo di valori ed incapace strutturalmente di sguainare la spada e combattere il nemico come fece gloriosamente e vittoriosamente la LEGA SANTA nell’epica battaglia di Lepanto del 1571 a difesa della civiltà europea e delle sue radici greco romane e cattoliche.
L’Occidente deve riprendere la sua antica missione di faro di Civiltà, con la forza delle idee, ma non solo. “E’ l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende” fu detto ed è sempre valido.
“Ci sono ancora popoli, razze, uomini soltanto forse, in questa decomposta Europa, capaci di assumere con dignità ed orgoglio, con titanico stoicismo, l’impegno assunto di fronte alla Tradizione” scriveva negli anni venti dello scorso secolo Osvald Spengler, autore del monumentale “Tramonto dell’Occidente”.
Noi ci ostiniamo a pensare che sia giusto, che sia possibile, che sia necessario, che sia sacrosanto.