martedì, Dicembre 31, 2024
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IL MINISTRO URSO ALZA LA VOCE CON STELLANTIS (EX FIAT) E MINACCIA LA REVOCA DEI FINANZIAMENTI DEL P.N.R.R. PREVISTI PER IL GRUPPO INDUSTRIALE DI ELKANN

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Dall’autorevole palcoscenico del Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, il Ministro dello Sviluppo Economico e del Made in Italy accusa apertamente il Gruppo automobilistico “Stellantis” (ex Fiat) di non aver rispettato e pertanto di non essere conseguenziale agli impegni assunti con il Governo Italiano, solo lo scorso anno, in ordine all’aumento di produzione degli autoveicoli con marchio FIAT, “sfornati” dalle fabbriche sul territorio italiano. E, vieppiù, per i ritardi imperdonabili derivati dal mancato inizio dei lavori di riconversione degli stabilimenti di Termoli, in Molise, per far posto al mega progetto del cosiddetto CIGAFACTORY, con la previsione di oltre 370 milioni di risorse statali provenienti da investimenti del PNRR, concordati sempre lo scorso anno con il management di Stellantis.

Quella del Cigafactory é un nuovo progetto già in uso da qualche tempo in Cina e Stati Uniti (con le auto TESLA) che consente la produzione di batterie al litio, oltre ad altri componenti elettronici per auto elettriche, con tecnologie molto avanzate che consentono di produrre autoveicoli di nuova generazione attraverso fonti di energia rinnovabili, con notevolissima riduzione dell’impatto ambientale.

Una rivoluzione davvero esaltante soprattutto per contenere significativamente le emissioni di co2 e, pertanto, vista con soddisfazione anche dalla Commissione Europea. Tanto che negli ultimi mesi molti Paesi del Vecchio Continente si stanno adoperando per realizzare questi stabilimenti produttivi di nuova generazione. In Germania con un investimento delle case automobilistiche Volkswagen e Mercedes, ma anche in Polonia e Paesi Scandinavi con altri marchi automobilistici storici.                                                                                    In Italia, al momento, é in programma la realizzazione di un impianto in Emilia Romagna promosso da AUDI, ed esiste già in avanzata realizzazione un nuovo stabilimento produttivo a Teverola, nell’area ASI in provincia di Caserta, ove il gruppo FAMM produrrà le batterie per auto elettriche con la nuova tecnologia del Cigafactory con energia rinnovabile.

L’ultimo in ordine di tempo é lo stabilimento programmato già nel corso del 2013 da Stellantis (ex Fiat) e annunciato con enfasi dall’azienda per la sinergia con il governo italiano preoccupato, quest’ultimo, e non poco dalla crisi del gruppo e le continue richieste di ore di cassa integrazione per i lavoratori di molti stabilimenti del gruppo in Italia. Si tratta dello stabilimento di Termoli, in Molise ove la riconversione sembrava più utile e fattibile . Ed é su questo stabilimento che lo Stato Italiano ha inteso puntare, collaborando alla transizione ecologica e alla riconversione industriale annunciata da Stellantis e impegnando risorse pubbliche per oltre 370 milioni di Euro tra fondi PNRR e risorse Ministeriali, pur di mantenere gli attuali livelli occupazionali, anzi incrementandoli in maniera significativa. Purtroppo, ad oggi, questo impegno rimane disatteso dal gruppo automobilistico ormai divenuto franco-olandese e di riconversione industriale non si parla più. Nonostante gli ulteriori impegni assunti dal Governo Italiano con Tavares di procrastinare l’attuazione in Europa delle innovazioni tecnologiche delle auto Euro 7 (che ostacolavano le vendite delle vetture ex fiat già prodotte e giacenti nei concessionari). Provvedimento adottato tempestivamente dall’Esecutivo!  E poi l’adozione di un nuovo e più robusto piano incentivi per la vendita di autovetture nuove sul territorio italiano, impegno completamente mantenuto dal Governo attraverso l’adozione di un piano incentivi superiore al miliardo di Euro di sgravi fiscali e bonus per l’acquisto di nuove autovetture ibride o elettriche presenti sul nostro mercato.

Non c’é da chiedersi altro. Il gruppo Stellantis che qualche anno or sono ha abbandonato il nostro Paese “armi e bagaglio” lasciando nella disperazione migliaia di lavoratori del gruppo, consapevoli di come sarebbe finita questa triste storia, non ha assolutamente intenzione di investire nel nostro Paese. Lo prova la sua strategia aziendale che ha lasciato produrre in questi ultimi mesi due nuove autovetture, la Topolino ibrida negli stabilimenti di Kenitra in Marocco (presentazione dell’auto 4 Luglio 2024) e l’Alfa Romeo Junior a Tichy in Polonia, che sarà dal prossimo Settembre in vendita nelle concessionarie del gruppo in tutta Italia e in Europa. Altro che milione di autovetture da produrre in Italia. Altro che incentivi statali. Altro che blocco delle innovazioni dell’Euro 7. E bene ha fatto il Ministro Urso e il Governo Italiano ad imporre a Stellantis di sostituire immediatamente il nome assegnato a questo nuovo SUV Alfa prodotto in Polonia, cui era stato inizialmente affidato il nome di MILANO.

Un prodotto costruito all’estero, per di più di un gruppo industriale non più italiano, non può artatamente assumere un nominativo riconducibile alle produzioni italiane ai sensi della nuova normativa sul Made in Italy. E Amen!

Ma il problema di Urso e dell’intero Governo Italiano non é certamente la fame di profitto dei vertici di Stellantis e le sue scelte e piani industriali contraddittori e mortificanti per un Paese che ha consentito,  dal dopoguerra e sino ai nostri giorni, il consolidamento di questo gruppo industriale. A partire dalle migliaia di iniziative di finanziamento pubblici per l’espansione industriale delle sue fabbriche; i milioni e milioni di Euro erogati nel tempo dallo Stato italiano per cassa integrazione e ogni altra tipologia di ammortizzatori sociali concessi ai lavoratori per crisi presunte e ripetute del gruppo. E poi le agevolazioni di stato e i continui piani di incentivo alle vendite (bonus acquisto) per “rifocillare” i vertici di fiat e i suoi famelici azionisti.

Qui il vero problema é il lavoro e i lavoratori. E quello che magari va fatto nell’immediato per riportare a miti consigli Tavares e i suoi consulenti d’oltralpe.

Piuttosto andrebbe svolta una serena riflessione e una discussione seria e pacata sul come e chi ha lasciato “scappar di notte” dall’Italia John Elkann e i suoi uomini. Chi ha avuto negli anni timore reverenziale e subalternità rispetto a questi imprenditori (meglio prenditori!) e non ha inteso chiedere lumi sui volumi di produzione e sulla sorte delle innumerevoli fabbriche disseminate sul territorio italiano con tutto il bagaglio di uomini e donne impiegate lavorativamente nel gruppo. Chi ha omesso colpevolmente di interrogarsi sul trasferimento all’estero anche della sede sociale, evitando i dovuti approfondimenti e gli interrogativi doverosi sul fronte fiscale. Oltre che finanziario. Qualcuno ha forse pensato che “al nemico che fugge, ponti d’oro”? Mi sembrerebbe troppo comodo e per dirla meglio, scellerata.

Il “nemico,” l’oro se lo é portato con se fuggendo. E all’Italia spetta ricominciare. Ricostruire una politica industriale del settore automobilistico tutta nuova e al passo con i tempi. Senza creare rendite di posizione ne gruppi industriali privilegiati o dominanti. E in questo impegno é necessario il supporto delle forze sindacali e dell’opinione pubblica. Di tutte le forze politiche e del loro senso di responsabilità. Affrontare e risolvere queste problematiche, auspicando tempi certi e rapidi, deve diventare obiettivo di tutto il Paese.  Senza alcuna distinzione.

LA VENERE DEGLI STRACCI E LE SVENTURE DI SOR PAMPURIO: CERCANO ENTRAMBI UN NUOVO APPARTAMENTO!

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Sor Pampurio, lo ricorderanno i lettori più anziani, era un personaggio dei fumetti degli anni 30, disegnato da Carlo Bisi, vignettista del Corriere della Sera e pubblicato ininterrottamente sul Corriere dei Piccoli dal 1929 al 1978. La sua particolarità era quella di essere sempre insoddisfatto e, soprattutto, sempre in cerca di una nuova abitazione per se e la sua famiglia. Ogni numero della “striscia” pubblicata sul Corriere dei Piccoli si concludeva con la frase ormai celebre “Suor Panpurio arciscontento cambia ancora appartamento” seguito dalla frase “Sor Pampurio arcicontento del suo nuovo appartamento” pronunciata dopo l’ennesimo trasloco. Era un personaggio molto amato dai bambini che ancor oggi (divenuti adulti) ricordano con piacere quel ritornello del fumetto più letto da tante generazioni.

La storia a tratti malinconica a tratti esilarante del nostro Sor Pampurio ricorda molto da vicino le vicissitudini della Venere degli Stracci, statua di oltre 10 metri donata al Comune di Napoli nel Giugno 2023 con il suo bagaglio di stracci variopinti, da Michelangelo Pistoletto, scultore di opere d’arte moderna; statua posizionata in Piazza del Municipio in zona centralissima, visibile dalle stanze del Sindaco e dei suoi colleghi di Giunta. La qual cosa, tuttavia, non é valsa la salvaguardia dell’opera artistica che, dopo due settimane dalla sua esposizione, veniva data alle fiamme da un giovane senza dimora e con qualche problemino di “disadattamento sociale”.

Nel frattempo la statua trasloca per le necessarie opere di restauro. Dopo alcuni mesi, l’opera d’arte perfettamente restaurata e allestita nuovamente con stracci integri, veniva riposizionata in Piazza del Municipio con la soddisfazione degli estimatori e l’insoddisfazione dei detrattori dell’opera (che pure esistono e son tanti, con motivazioni varie e contrastanti!).

A questo punto tuttavia,  deve essere intervenuta proprio lei, la Venere degli Stracci che, come Sor Pampurio, ha espresso il desiderio o la necessità di traslocare ancora. E non avendo la possibilità di trovarsela da sola una nuova dimora, si é rivolta al Comune di Napoli e ai suoi uffici competenti.

Apriti cielo: é iniziata una bagarre per trovare una “location” adeguata alla maestosità dell’opera e al suo originale corredo di stracci. La prima opportunità valutata: se lasciare la statua all’aperto in un’altra piazza della città o, piuttosto, in un luogo chiuso al pubblico di notte e sorvegliata di giorno, per tutelarla maggiormente da possibili ed ulteriori atti vandalici. Le ipotesi di “location” si sono moltiplicate sino a  sprecarsi in questo mese di Agosto. Finché chi doveva decidere é rimasto “illuminato” da una luce Divina e, dunque, ha pensato ad una chiesa sconsacrata di cui il comune di Napoli abbonda. Si é valutata  la chiesa di San Pietro ad Aram nei pressi della stazione ferroviaria in Piazza Garibaldi, poi si é optato per la soluzione di esporla nella Chiesa di San Severo al Pendino, che viene attualmente utilizzata dal Comune per esposizioni e mostre d’arte e collezioni private di artisti locali o nazionali.

Altra “bagarre”. Sono insorte le Associazioni e organismi culturali cattolici della città per evitare che un’opera laica e pagana “contaminasse” un sito religioso, quantunque sconsacrato, come la chiesa di Pendino. Le ipotesi alternative suggerite dalle Associazioni culturali cattoliche rimandano ad una scelta definitiva di collocazione della Venere degli stracci in un sito museale cittadino, con particolare riferimento al MADRE (Museo Arte Moderna di proprietà comunale), ove potrebbe trovare il giusto “rifugio” e la naturale dimensione artistico-culturale a vantaggio di tutta la città e dei flussi turistici sempre crescenti.

Tale ipotesi non appare peregrina ne priva di buon senso. Una proposta che Campo Sud si sente di sostenere per la fattibilità, utilità e coerenza della sistemazione. Ma anche per evitare ulteriori e interminabili polemiche in una città che, tra l’altro, aspetta già con entusiasmo l’installazione in Piazza Municipio dell’ opera d’arte di Gaetano Pesce (ultima opera realizzata dall’autore prima della sua scomparsa avvenuta il 3 Aprile scorso) dedicata proprio a Napoli, dal titolo commovente ed emblematico: “Tu si na cosa grande”.

Auspichiamo dunque un gesto distensivo del Comune di Napoli verso la comunità cattolica Partenopea, ma anche e soprattutto una scelta di coerenza artistica per un’opera d’arte moderna che potrebbe divenire l’opera iconica e maggiormente rappresentativa del prestigioso museo cittadino dell’Arte Moderna.

FERMIAMO LA FUGA DEI GIOVANI LAUREATI DAL NOSTRO PAESE:

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 Gianni Lepre: “Prioritario investire sul capitale umano”

Nella sua relazione annuale il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha ricordato che, tra il 2008 e il 2022, sono espatriati quasi 525 mila giovani italiani. Si trattava soprattutto di laureati, attratti da retribuzioni ben più elevate di quelle offerte nella Penisola. Di questi giovani, tesoro inestimabile del Paese, sono rientrati non più di un terzo. E la fuga continua. I dati di Almalaurea evidenziano come, a un anno dal titolo, il 4% degli occupati lavori all’estero. A cinque anni dalla laurea, la percentuale è ancora più elevata: 5,5%. Poi ci sono quelli che si preparano a lasciare i confini nazionali. Le anticipazioni di una recentissima indagine Ispos ci dice che il 35% dei nostri under 30 è pronto a emigrare per avere salari più elevati.

“Si parla tanto di salario minimo – esordisce l’economista Gianni Lepre – ma il problema può essere risolto dando sempre maggiore valore alla contrattazione collettiva, come convengono sia associazioni datoriali sia alcune delle principali organizzazioni sindacali”.

Il noto professionista poi continua: “La questione più critica, tuttavia, è quella dei giovani cervelli; da un lato c’è bisogno di una maggiore determinazione da parte delle imprese a investire sul capitale umano qualificato, dall’altra occorrono politiche che supportino le imprese, riducendo gli oneri che gravano sul costo del lavoro. È tempo di dire stop alla fuga delle nostre migliori risorse, e lo possiamo fare solo dando ai nostri giovani le opportunità giuste, con salari all’altezza che permettano loro non solo di soddisfare la propria professionalità, ma anche di poter immaginare di costruire una famiglia”.

SCOMPARSO ALAIN DELON : UNA ICONA INCANCELLABILE, NON SOLO PER IL CINEMA.

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Vogliamo ricordare Alain Delon senza enfasi e frasi fatte. Vogliamo ricordare, più ancora della sua maestria artistica e dei suoi meriti cinematografici, l’uomo e le sue passioni. Le idee, mai abiurate o ammainate. Come tanti in Francia avrebbero voluto. Un uomo tutto d’un pezzo che solo la malattia ha reso più vulnerabile. Ma proprio in questo periodo oscuro, tra liti familiari tra i figli e parenti per la sua eredità, lui si consolava e si “appoggiava” fortemente all’amore per i suoi cani ( ne ha avuto tantissimi nella sua vita e, man mano che si spegnevano, li faceva interrare nel giardino della sua villa) e ai ricordi di un suo passato burrascoso e tutt’altro che ripudiato. Quello di combattente nella Marina Militare Francese, dalla quale si fece espellere dopo 12 mesi di intemperanze e giorni di camera di rigore in ragione del suo temperamento recalcitrante, e quindi nella “Legion”,  la Legione Straniera Francese, ove si arruolò nel 1952, a soli 17 anni, combattendo in Indocina sino al 1957 a seguito del ritiro francese da quello scenario di guerra.

Profondamente legato al suo Paese anche se fortemente critico con l’attualità della politica d’Oltralpe degli ultimi decenni, che considerava portatrice di elementi disgreganti dell’Unità nazionale e foriera di divisioni insanabili soprattutto sul fronte delle scelte di sostegno degli extracomunitari illegali (sans papier)  e degli Lgbtq. Sostenitore della Destra francese dai tempi del Generale Charles De Gaulle e poi di Valery Giscard D’Estaing, di cui era amico personale, Alain Delon era legatissimo all’Italia e a molti registi italiani che contribuirono con i loro film alla affermazione internazionale di Delon come attore cinematografico. Alain Delon fu anche personalmente, molto amico di Jean Marie Le Pen. La qual cosa fu sempre ritenuta una grave colpa dell’attore e quindi fu sempre molto osteggiato ed avversato dalla sinistra francese, sino alla sua scomparsa.

Concludiamo questo breve ricordo di Delon con una frase molto forte ed emblematica pronunciata dall’attore qualche mese prima della scomparsa. ” Odio questa epoca, la rigetto. Tutto é falso, tutto distorto, non c’é rispetto, niente più parole d’Onore. Conta solo il denaro. So che lascerò questo mondo senza rimpianti.”

Addio Alain, buon viaggio Camarade!

DANTE ALIGHIERI E CECCO ANGIOLIERI SUL CAMPO DI BATTAGLIA.

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La battaglia di Campaldino, che si svolse l’11 giugno 1289 nei pressi del castello di Poppi, è
un evento cruciale nella storia medievale italiana, non solo per le sue implicazioni militari
ma anche per il suo significato culturale. Questo scontro fu parte delle conflittualità tra le
fazioni guelfe e ghibelline, che si contendevano il potere in diverse città e regioni italiane.
Le forze guelfe, composte principalmente da fiorentini e alleati, si scontrarono con le truppe
ghibelline, guidate da Arezzo. L’esito fu favorevole ai guelfi, consolidando per un periodo la
loro supremazia nella regione toscana.
Ma ciò che rende questa battaglia particolarmente affascinante è la presenza di due figure
emblematiche della letteratura italiana: Dante Alighieri e Cecco Angiolieri. Dante, futuro
autore della “Divina Commedia”, era un giovane combattente guelfo e visse intensamente
le dinamiche politiche del suo tempo. Cecco Angiolieri, d’altra parte, era un poeta noto per
le sue satire e per un approccio più scanzonato e provocatorio alla vita e all’amore.
Entrambi si trovarono, seppur di fazioni opposte, coinvolti in uno scontro che non solo
avrebbe influenzato le loro vite, ma anche l’evoluzione del pensiero e della letteratura in Italia.
Il fatto che entrambi i poeti fossero presenti sul campo di battaglia rappresenta un
interessante paradosso: da una parte, la guerra e la morte, dall’altra, la poesia e le idee
che hanno attraversato i secoli. Questa duplice natura della battaglia continua a suscitare
interesse non solo tra storici e letterati, ma anche tra coloro che vedono in questi eventi
una narrazione più ampia sulle tensioni umane, sui conflitti e sulla creatività.

…….. “LA MADONNA” DI POMPEI

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 e rieccoci qua, ci risiamo. In principio furono Elon Musk e Mark Zuckerberg che per darsi due sberle volevano farlo al Colosseo. Ne seguì uno scappellamento istituzionale, da nord a sud dello Stivale, nel senso che ogni amministratore – Sindaci, Presidenti di Regione et simlia (dimostrando di essere tutti tristemente uguali!) – con tanto di cappello in mano tentò di accaparrarsi il triste spettacolo mettendo loro a disposizione l’Arena di Verona, il Teatro Romano di Benevento, gli scavi di Pompei. Tutto si risolse in nulla di fatto, come le sberle che volevano scambiarsi i due multimiliardari yankee, eccetto per gli amministratori nostrani che diedero prova di valere né più né meno della “X” con cui qualcuno li aveva scelti.
Stavolta però il miracolo s’è compiuto per davvero ad opera nientemeno di Madonna in carne e ossa, la popstar americana con una memoria italiana.
Maria Louise Veronica Ciccone aveva espresso il desiderio – leggi capriccio – di festeggiare il suo sessantaseiesimo compleanno nientepopodimeno che tra le rovine di Pompei, contornata da un mezzo migliaio di eletti.
La polemica, ma nemmeno poi tanta, aveva fatto storcere il naso di qualcuno, ma nemmeno poi di tanti, e chiuso tante bocche istituzionali in un silenzio assenso (complice e partecipato) che vedeva la scappatoia burocratica in una “visita cul-turale notturna” per la star. Visita cul-turale notturna che ha previsto l’accompagnamento eccezionale del direttore del Parco Archeologico Gabriel Johannes Zuchtriege e che ha costretto a lavori straordinari notturni tanti custodi ai quali è stato chiesto di rispettare il massimo riserbo sulla questione, a quanto riferiscono i soliti bene informati.
Tutti bene informati, anche i suoi fans che già dal pomeriggio avevano preso d’assalto i vari ingressi del Parco Archeologico con ogni tipo di gadget – il perché non si capisce ancora – dai tatuaggi alle bamboline, in attesa dell’arrivo della star.
Alla “visita” ha partecipato una cinquantina – lo zero in questo caso conta – di prescelti arrivati a bordo di una trentina di minivan dai vetri rigorosamente oscurati, partiti dall’aeroporto nuovo di “zecca” di Salerno “Costa d’Amalfi” – orgasmo di De Luca, forse, perciò finora muto! – per poi raggiungere il porto turistico e da lì far parte della carovana alla volta della città di lava con tanto di casse per un concerto acustico. Strano modo di” visitare”!
Detta “visita” pare abbia previsto anche del cibo consumato tra le rovine, fortunatamente non ivi cucinato, ma che ben ha allietato la serata: che non siano state trasformate le pietre in pesci? Il vero miracolo sarebbe stato portare quella folla all’interno del Parco a vedere ciò che lì è conservato e non arrivare fuori le mura per vedere Madonna che, entrando da un ingresso secondario, nemmeno si è manifestata.
Dunque: musica, cena, commensali, occasione, una location come il Teatro Grande… il tutto in Italia si traduce in festa di compleanno. Americanissimo mos maiorum: ccà nisciuno è fesso!
L’organizzazione per la “visita” è stata impeccabile, visto che è dovuta intervenire finanche la Prefettura di Napoli, considerato che la chiusura del Teatro Grande proprio nella ricorrenza del genetliaco della cantante e il personale impegnato per tirare a lucido la Casa del Menandro, così come avvenuto il giorno prima la Casa dei Ceii, non sono passati per nulla inosservati e tanti curiosi, fans – eccetto i veri visitatori – hanno attirato. Dunque, massiccio è stato il dispiegamento della forza pubblica per garantire l’ordine e la sicurezza con tanto di rassicurazione dai Palazzi sull’utilizzo dei luoghi.
Da ciò che scrive il principale quotidiano di Napoli Il Mattino, ma anche Il Fatto Quotidiano intorno alla visita, pare che la sola notizia certa sia quella relativa alla cifra elargita per la “visita”: il Fatto riporta la somma di 250 mila euro donata per la ristrutturazione del Parco, il Mattino quella di 200 mila euro destinate (tramite chi?) alle scuole locali.
Basterà qualche centinaio di migliaia di euro (a mo’ di elemosina) per proteggere le delicatissime vestigia dai danni provocati dalle vibrazioni della musica sparata per una festa di compleanno?
È sufficiente stabilire una cifra per dare il costo a ciò che non ha e non può avere un valore? È possibile che si possa affittare un sito patrimonio dell’umanità per una festa di compleanno per qualche dollaro in più, a proprio (ab)uso e consumo? È questo ciò che si intende dire quando ci si appella a quella frase irritante quanto odiosa “L’Italia potrebbe vivere di turismo”? L’Italia deve (poter) vivere di altro: energia, cultura, alimentazione, automobile, moda, eccellenza. In ogni campo. In una sola parola “made in Italy”. Già lungamente riconosciuto e apprezzato. Perché, se questo è il modo di tutelare l’immenso patrimonio artistico-culturale che abbiamo ereditato e che va tramandato, non abbiamo fatto altro che perdere l’occasione di valorizzare, nello specifico, il parco trasformandolo in un “porco” archeologico.
Un’altra occasione persa per tenere la schiena dritta e far respirare al mondo dignità, per insegnare ancora una volta che noi siamo tutto ciò che gli altri vorrebbero essere. Invece, ancora una volta abbiamo obbedito alla voce del padrone che sa cianciare solo di vile denaro e usura.
To be continued… speriamo vivamente di no!

MICHELANGELO E LA “LEZIONE” IMPARTITA CON IL TONDO DONI

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Michelangelo e il Tondo Doni: scopriamo insieme il carattere del genio rinascimentale
Un episodio affascinante della vita di Michelangelo si svolse intorno alla creazione del
celebre “Tondo Doni”, un’opera d’arte che continua a incantare visitatori e studiosi che
potete ammirare nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Secondo le cronache, dopo aver
completato il suo capolavoro, Michelangelo inviò un garzone a consegnarlo ad Agnolo Doni,
il suo committente. Ma quando si presentò la questione del pagamento, la situazione si
complicò.
Doni, di fronte alla richiesta di settanta ducati, mostrò riluttanza e ne propose solo quaranta.
Tuttavia, l’eccezionale determinazione di Michelangelo si manifestò in un modo
sorprendente: invece di accettare quella proposta, decise di rifiutare con fermezza e
ripresentare l’opera al Doni, ma questa volta a un prezzo raddoppiato di centoquaranta
ducati.
Il gesto audace del grande maestro non solo stupì Doni, ma evidenziò anche l’importanza di
riconoscere il valore delle opere d’arte. Questo episodio non è solo un aneddoto sulla
personalità forte e decisa di Michelangelo, ma solleva interrogativi profondi sulla percezione
del valore nell’arte e sull’incontro tra creatività e commercio nel Rinascimento.
La lezione di Michelangelo resta attuale: l’arte non è solo un bene economico, ma
un’espressione di genialità che merita di essere apprezzata e ricompensata equamente. La
storia del Tondo Doni ci invita a riflettere sull’importanza di sostenere e valorizzare il
talento creativo. Un patrimonio che arricchisce le nostre vite e la cultura di cui facciamo parte.

LE NOZZE DI CANA DEL “VERONESE”: UN CAPOLAVORO SOTTRATTOCI DA NAPOLEONE. Le polemiche diplomatiche per il ritorno in Patria dell’opera d’arte!

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La storia dell’arte è costellata di opere straordinarie e di avventure altrettanto incredibili.
Tra queste, un ruolo di primo piano spetta all’opera “Le Nozze di Cana”, dipinta dal maestro
Paolo Veronese su commissione il 6 giugno 1562. Questo fantastico capolavoro che
attualmente si trova al Louvre di Parigi, non avrebbe dovuto mai lasciare la sua sede
originale: il refettorio benedettino del Monastero di San Giorgio Maggiore, progettato
dall’illustre architetto Andrea Palladio nell’incantevole Isola di San Giorgio Maggiore a
Venezia.
La tela rappresenta il miracolo narrato nel Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù trasforma
l’acqua in vino durante un matrimonio a Cana, un episodio che affascina da secoli per il suo
significato simbolico e spirituale. Ma come è finita questa opera a Parigi, lontano dal suo
contesto originario?
Nel 1797 l’opera fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche: la grande tela fu smontata dalla
parete l’11 settembre di quello stesso anno, tagliata in sette pezzi per consentirne il trasporto e ricomposta a Parigi.

La storia di “Le Nozze di Cana” è intrinsecamente legata agli eventi tumultuosi del XIX
secolo. Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, la Francia si trovava in una situazione di
restituzione delle opere d’arte trafugate nelle spedizioni Napoleoniche. Molte opere sottratte dovevano tornare al loro paese d’origine.
Tuttavia la tela di Veronese fu trattenuta a Parigi dal diplomatico Dominique-Vivant De
Denon, che dichiarò falsamente l’opera in uno stato troppo precario per affrontare il viaggio di ritorno.
In cambio, Denon offrì un’opera minore, “Il convito dal fariseo con la Maddalena ai piedi di
Gesù, di Charles Le Brun che venne accettata dalla delegazione austriaca e oggi è conservata nei depositi delle Gallere dell’Accademia di Venezia.

Grazie a questo scambio, la Francia si considera legalmente in possesso delle “Nozze di
Cana”. Tuttavia, il dibattito sulla legalità e l’equità di quell’accordo non si è mai esaurito.
Nel 1994, Francesco Sisinni, allora direttore generale del Ministero dei Beni Culturali italiano, contestò pubblicamente questa situazione ritenuta intollerabile ed iniqua.

Nel 2010 lo storico Ettore Beggiatto, già assessore regionale del Veneto ai lavori pubblici e
consigliere regionale per quindici anni, scrisse una lettera all’allora première dame Carla
Bruni per sollecitare il ritorno dell’opera in Italia. Anche in questo caso senza successo.

2007 per iniziativa della Fondazione Cini, che ha sede nell’ex-monastero, una copia
dell’opera è stata collocata in luogo dell’originale nell’antico refettorio; la copia è stata
realizzata con sofisticate tecniche digitali per ottenere un clone perfettamente identico.
L’opera ritornerà in patria, prima o poi? Conoscendo la solerzia, la passione e il dinamismo dell’attuale Ministro della Cultura, il napoletano Gennaro Sangiuliano, noi un pensierino ce lo facciamo.

SIAMO IN PIENA ESTATE E DE LUCA (IN SORDINA) PRIVATIZZA L’ACQUA DEI CAMPANI!!

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NAPLES, CAMPANIA, ITALY - 2022/12/09: Governor of Campania Region, Vincenzo de Luca during the visit of Minister for Regional Affairs and Autonomy, Roberto Calderoli at the palace of Campania Region. (Photo by Pasquale Gargano/Pacific Press/LightRocket via Getty Images)

Un Blitz in piena regola, condotto “dall’integerrimo Sceriffo” negli ultimi giorni di Luglio, con la recondita speranza di passare inosservato, stante la stagione estiva esplosa in tutta la sua calura da record e le preoccupazioni per il fenomeno conseguente della siccità nei nostri territori. Il tutto condito dalla fuga dalle città grandi e piccole dei concittadini campani per le tradizionali e meritate vacanze estive. Un blitz che ha un sapore amaro e che per molti versi rimane intraducibile e assolutamente incomprensibile ai pochi campani che hanno trovato il tempo, tra un bagnetto rinfrescante e una gita ai monti, di apprendere questa notizia davvero dirompente e oltremodo preoccupante (chissà poi, come ci siano riusciti, stante il sostanziale silenzio di molta stampa).

Facciamo riferimento alla decisione di De Luca (e della sua Giunta Regionale a guida PD che si avvia inesorabilmente al capolinea) assunta proprio il 25 Luglio scorso con Deliberazione n° 399 della Regione Campania, di privatizzare la cosiddetta “Grande Adduzione Primaria” che fa capo all’Acquedotto Occidentale della Campania, l’Acquedotto del Torano-Biferno, l’Acquedotto della Normalizzazione e di Cassano Irpino, oltre all’invaso (diga) di Campolattaro,  e di cederne il 49 % alla Società (privata) Grandi Reti idriche Campane S.p.A.

Una scelta a dir poco miope, per non dire scellerata, assunta con la medesima faciltà di un provvedimento autorizzativo di lavori edili per ripristinare una condotta idrica di un metro, danneggiata dal tempo. Una decisione sconcertante che ci priva della piena proprietà, della gestione e tutela di un bene assolutamente primario come l’acqua pubblica.

E quale la giustificazione per l’approvazione di questo Atto Amministrativo inconsulto?

La carenza di fondi della Regione Campania e degli Enti Locali interessati. Fondi ritenuti insufficienti rispetto ad una corretta ed efficace gestione delle acque pubbliche per le esigenze della cittadinanza campana.

E cosa potrebbero e dovrebbero investire i partners privati individuati nella Delibera di De Luca, in luogo degli Enti pubblici, per rendere efficiente ed efficace la distribuzione idrica sul territorio della Regione?

NULLA!! Almeno nulla si dice degli impegni e degli (eventuali) investimenti diretti della Società privata designata dal nostro Sceriffo. Anzi c’é di più: in una relazione allegata alla Delibera di Giunta si parla di non ben identificati investimenti per oltre 2 milioni di Euro. Ma si chiarisce anche (e soprattutto) che questi interventi finanziari di circa 2 milioni di Euro saranno coperti al 50% da ricavi provenienti dalle tariffe dell’acqua (quindi i costi a carico dei clienti e contribuenti campani) e l’altro 50% da finanziamenti e contributi pubblici. Quali contributi pubblici ed erogati da chi, ci viene di domandarci, se é vero (come afferma la Delibera dello Sceriffo) che Regione ed Enti territoriali soldi non ne hanno da spendere per gli acquedotti?

La scelta di De Luca appare a questo punto oltremodo contraddittoria con la motivazione primaria e fondamentale alla base della privatizzazione decisa dalla Regione. Vale a dire la carenza assoluta di finanziamenti pubblici (in primis della Regione) dedicati alla gestione e manutenzione delle reti idriche in Campania. Allora é vero come é vero che De Luca e la sua Giunta si aspettano che lo Stato, oltre ai fruitori del servizio di erogazione dell’acqua (cioè noi cittadini) finanzino gli investimenti necessari. Ma non certo il privato individuato dallo Sceriffo. Nel frattempo diventato proprietario del 49% degli impianti (come prevede la Delibera di privatizzazione). Una marchetta in piena regola, insomma. O per essere meno cattivi, una “bufala” esagerata lanciata così, in maniera leggera, come estate impone, e diremmo anche idiota, per giustificare questa decisione impopolare e politicamente truffaldina, che mira esclusivamente a “mungere” denaro allo Stato e ai cittadini contribuenti,  oltre a fare un robusto piacerino ai soliti noti.

Noi siamo certi che alla ripresa delle attività, dopo il periodo di vacanze estive, il buon De Luca sia letteralmente sommerso di critiche e contestazioni da parte delle forze politiche (auspicabilmente non solo i partiti di opposizione di Centro-Destra) e dalla gente comune con Associazioni e Comitati, perché sia ritirata questa folle e contraddittoria decisione della Giunta di Centro Sinistra che governa (?) la Campania.

Occorre una autentica mobilitazione di popolo a difesa del nostro territorio. Non fosse altro perché la Regione Campania é notoriamente quella con le maggiori risorse idriche che provengono prevalentemente dalle zone montuose dell’Irpinia e del Sannio. Acque di una qualità e una purezza assolute e riconosciute. E che se esistono criticità, esse vanno attribuite solo e soltanto alla cattiva gestione di un comparto fondamentale quale la gestione pubblica degli acquedotti; alla mancata realizzazione negli anni di reti idriche nuove, adeguate e funzionanti; all’assenza di una seria politica di tutela delle risorse idriche, ora più che mai, patrimonio della collettività. Senza trascurare il “piccolo particolare” che in Italia si é celebrato un Referendum Popolare per ribadire che la gestione delle acque e delle reti idriche nel nostro Paese dovesse essere esclusivamente pubblica. Era il 2011 e al quesito referendario proposto risposero ben 27 milioni di Italiani, con il 94% dei SI.

Basta dunque con i regali ai privati. L’acqua della Campania é un tesoro pubblico inestimabile. E se la Giunta Regionale capitanata dallo sceriffo De Luca non sa come gestire questo patrimonio unico ed eccezionale, passi la mano. Evitando un ulteriore impoverimento del nostro territorio e degli Enti Pubblici Locali.

IL CROLLO NELLE VELE DI SCAMPIA: TRAGICO EPILOGO DI UNA BRUTTA STORIA DI STRAFOTTENZA DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE.

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Abbiamo volutamente evitato, sin ora, di parlare del dramma di Scampia di fine Luglio. Vuoi per una sorta di dolente pudore, ma soprattutto per rispetto delle incolpevoli vittime.

L’ennesimo e raccapricciante epilogo di una vergognosa storia di strafottenza delle istituzioni locali e dei suoi rappresentanti (politici e tecnici) che provvedevano a predisporre gli atti tecnico-amministrativi conseguenziali (lo sgombero degli alloggi pericolanti) ad una perizia tecnica che imponeva, nella migliore delle ipotesi, lavori di manutenzione urgenti, per poi “dimenticare” di eseguire quei lavori di massima urgenza per oltre 8 anni. Ma, peggio ancora, omettevano di provvedere ad horas allo sgombero immediato degli occupanti di quegli appartamenti che si affacciavano su una loggia pericolante con tanto di scale in ferro fortemente arrugginite. Strutture che in 8 anni, spesi inutilmente, hanno avuto tutto il tempo di incancrenirsi e venir giù inesorabilmente.

Questi purtroppo sono i fatti, su cui la Procura della Repubblica di Napoli sta cercando di far piena luce, non senza difficoltà, perché é davvero complicato ricostruire la scala delle responsabilità e degli “insabbiamenti” anche delle ultime ore degli addetti ai lavori, dopo otto anni di assoluto silenzio su questa criminale omissione.

Una storia maledetta di degrado urbano, di occupazione selvaggia e tollerata (sempre dalle amministrazioni locali) di povertà e malessere sociale delle nostre periferie colpevolmente dimenticate.

E torniamo all’attualità: adesso da Scampia si chiama in causa la Premier Meloni per porre un freno al degrado. Per tornare a vivere decorosamente, sperando in condizioni più umane di abitabilità, servizi pubblici adeguati, tolleranza zero verso i fenomeni criminali con i quali la popolazione del quartiere a nord di Napoli ha convissuto, suo malgrado, per troppo tempo. Come accaduto a Caivano. E noi siamo certi che Meloni risponderà. Trasferendo quelle competenze necessarie di uomini, mezzi,  operatori delle forze dell’Ordine ed Assistenti sociali, oltre che le necessarie risorse finanziarie, per ristabilire legalità e dignità ad un territorio sofferente. Ma soprattutto per cancellare per sempre quelle condizioni di degrado abitativo e sociale nel quale crescono e si diffondono facilmente i fenomeni criminosi.

E allora se c’é da decidere si decida! Abbattiamo definitivamente queste vele maledette ancora in piedi, senza infingimenti o ulteriori perdite di tempo. Esistono, infatti, deliberazioni dell’Amministrazione comunale attuale e delle precedenti amministrazioni civiche che sanciscono e poi ribadiscono questa necessità ormai non più differibile. E poi il nulla!

Sono anche state individuate risorse ad hoc nell’ambito dei finanziamenti del PNRR per abbattere le vele e costruire nuovi alloggi per la popolazione di Scampia. I tempi sono maturi e non si può rischiare di perdere questa ennesima ed importante opportunità per i residenti e per l’intera città. Si progettino case adeguate e non alveari, dotate di aree a verde e servizi sociali indispensabili. In primis scuole, nidi ed asili. Si crei una struttura sanitaria territoriale con consultori e servizi per l’infanzia, la terza età, i disabili. Se non bastano le risorse si provveda al recupero e la riconversione dei fabbricati di proprietà comunale in disuso. Si tratta, per la maggior parte, di edifici scolastici o centri sociali mai utilizzati o comunque dismessi, a suo tempo realizzati con i fondi statali della Legge 219 per la ricostruzione nel dopoterremoto del 1980. In questi edifici pubblici potrebbero trovare spazio quei servizi sociali indispensabili per la popolazione del territorio, eliminando il degrado e l’abbandono in cui versano attualmente questi complessi edilizi dimenticati.

Occorre buon senso e tanta buona volontà degli attuali amministratori comunali. Il resto lo farà certamente il Governo nazionale che ha già dimostrato come si fa e in che tempi e modalità intervenire. Tanto per evitare ritardi della pubblica amministrazione, conflitti di competenze, sovrapposizioni e lentezze burocratiche. In una parola, la solita manfrina paralizzante. E, purtroppo, in città casi del genere si moltiplicano ogni giorno. Anche di recente. Basti pensare al caso del dissesto della volta di Port’Alba con pericoli di crollo continui e calcinacci che cadono oltre le reti protettive installate dai Vigili del Fuoco più di vent’anni or sono. E da vent’anni nessun Sindaco della città é riuscito a dipanare il contenzioso tra proprietari privati e l’Amministrazione Comunale, che pure avrebbe tutto il diritto e soprattutto il dovere di intervenire tempestivamente “in danno” anticipando i necessari lavori di ripristino, per tutelare l’incolumità pubblica. Oltre a garantire l’indispensabile decoro della città, trovandoci in zona turistica molto frequentata del Centro Storico. E della stessa natura é pure la situazione dei cancelli da installare agli accessi della Galleria Umberto I°, tra via Toledo e il Teatro San Carlo, oltre a necessari lavori di consolidamento dei cornicioni del fabbricato storico. Ebbene, anche in questo caso si discute da anni. Ci si rinfaccia le responsabilità tra privati (condomini) e Pubblica Amministrazione ma nessuno interviene. E la notte, sotto quella galleria storica accade di tutto. Compreso partite di calcio di ragazzi che non si preoccupano certo dei danni che arrecano alla struttura artistica. E vogliamo concludere con un altro esempio “luminoso” della efficacia e tempestività del Comune di Napoli. La Galleria Principe di Napoli, al Museo. Nelle prime ore del mattino dello scorso 26 Luglio, é pericolosamente caduta al suolo una vasta parte della volta della Galleria, portandosi dietro calcinacci, vetri e intonaci ottocenteschi decorati. Il tutto in un fragore assordante che ha messo letteralmente in fuga i tanti turisti che già affollavano la galleria.

La cosa inquietante é che la Galleria Principe di Napoli era oggetto di un intervento di restauro a cura del Comune di Napoli e di un gruppo di imprenditori privati che aveva visto già i primi interventi edilizi di restauro con l’installazione dei relativi ponteggi lungo le pareti e la volta. Ma, come spesso accade a Napoli, i lavori sono stati sospesi e le impalcature rimosse già da moltissimo tempo, allorquando si é registrato l’ennesimo crollo del 26 Luglio. E nel frattempo? La Galleria é chiusa al pubblico. Dei lavori di somma urgenza per l’eliminazione dei pericoli, dopo il crollo del luglio scorso, neanche l’ombra. Le notizie sulla eventuale ripresa dei lavori iniziali di restauro complessivo (quelli sospesi non si sa perché) latitano. Come i responsabili di questo intervento edilizio.

E’ sempre la solita storia sul versante comunale. Ecco perché abbiamo qualche preoccupazione e nutriamo riserve sulla risoluzione in tempi rapidi della tragedia delle vele di Scampia. Ma ci solleva e non poco la possibilità di un intervento diretto del Governo. Auspicando, nell’immediato, l’applicazione del “Modello Caivano” per questi concittadini che hanno tanto bisogno di sentire la vicinanza di uno Stato autenticamente amico.