DE LUCA TER : ISS’ E’ PAPA, ISS’ E’ RE !!
3, 16 e 34: terno secco sulla ruota di Napoli e vittoria assicurata!
Sono questi i numeri del suc-cesso di Vincenzo De Luca: 34 i pareri favorevoli alla candidatura per il mandato numero 3 dello Sceriffo, 16 gli oppositori. 1 soltanto, l’astenuto che non conta come il suo voto.
Tradotto in politichese suona pressappoco così: è vero, c’è una legge dello Stato che pone il veto al terzo mandato consecutivo, ma il mandato si inizia a contare da quello attuale. Sembra la supercazzola del “mandato zero” dei (fu) 5 stelle, solo che è tutto vero anche questa volta. Quindi, silenzio tutti: parla De Luca! Ed è lui a decidere se vuole o non vuole ricandidarsi. Lui è Papa e lui è Re! È o non è un successo clamoroso per il Presidente col lanciafiamme? Contro il governo centrale, contro il PD, “nonostante il PD”, contro l’opposizione, contro tutti che contano zero.
A poco o nulla vale richiamarsi alle leggi nazionali – che De Luca ha sempre aborrito – per impedirgli di varcare il soglio di Santa Lucia per la terza volta di fila, se la stessa operazione nel Veneto (di governo) si chiama “Lodo Zaia”. A nulla valgono le filippiche della Schlein che, con e senza armocromista, ne manda a dire di tutti i colori a mastro Vicienzo perché il PD non appoggerà la sua candidatura, quando non si rende minimamente conto che il PD campano (perchè con lui campàno) ha fatto quadrato intorno al Governatore uscente (ma non tanto) e, in caso di un nuovo candidato PD, resta da trovare innanzitutto chi lo appoggi. Che era il modo migliore di De Luca per perdere.
Un’operazione altamente stellata se De Luca III riesce ad incassare persino il voto di fiducia della “chiattona” (® e cit. Vincenzo De Luca II) pasionaria five stars che dagli scranni della Regione ha dato ampiamente prova di un rapporto di odio/amore, “pisiell&ove” che permette a tutti quanti di continuare a mangiare. “A proposito di politica”, come diceva Totò.
Una vera e propria umiliazione per l’opposizione tutta – che sta al governo nazionale – che si “riserva di valutare la questione su cui non si è informati, ma crediamo che ci sia un caso di incidente con le leggi nazionali per cui, non da parlamentare ma da politico, ci affidiamo al Governo che, crediamo, interverrà”. Una supercazzola persino peggiore di quella del mandato zero del Mo-Vi-mento e del terzo mandato recepito ma che si inizia a contare da adesso di cui sopra.
Queste non sono altro che la rappresentazione plastica della furbizia e non dell’astuzia di De Luca che in Campania, però, continua a fare il bello e il cattivo tempo, grazie anche all’inefficienza – o all’inesistenza – di una qualsiasi persino blanda forma di opposizione. Nemmeno quella che la Magistratura, confidando nella giustizia, ha ribattezzato “Sistema Salerno”: De Luca è ancora là. E basta vedere in Consiglio regionale il modo in cui tiene legata a sé la gente che gli serve. Ciarambino compresa. Uno che con tutto ciò che ha combinato col COVID, dalla proroga dell’obbligo della mascherina quando anche “i periti” (o pìret’) avevano allentato la morsa sino all’inaugurazione plurime degli stessi reparti COVID mai entrati in funzione, passando per i giochetti di parole che portavano i posti letto in terapia intensiva a decuplicarsi ogni giorno (da utilizzabili a disponibili a creabili e idiozie simili) quando questo, in piena pandemia, era solo un modo per nascondere lo sfacelo cui Vincenzino ha condotto la Sanità pubblica da commissario straordinario quale sempre è stato, carica che non ha mai voluto cedere, non solo è a piede libero, ma rischia di diventare il rappresentante campano in Italia e nel mondo e senza nemmeno che tutto ciò sia considerata aggravante della recidiva!
Oggi, però, è il giorno dei commenti a caldo, o meglio, degli accaldati, di quelli che sul pallottoliere stasera dovranno segnare un altro punto per l’avversario contro cui è ormai persino inutile candidarsi. Inutile in vista del lavoro zero che è stato fatto per fare emergere le condizioni in cui, grande a De Luca, versa la Campania. Ah, già, la Campania: problemi, progetti, idee, ritardi, valorizzazioni, amministrazione, governo, politica.
Vabbè, ma adesso c’è ancora De Luca di cui (s)parlare. Che è già campagna elettorale. Per il terzo mandato.
RITORNA LA RICERCA UNIVERSITARIA NELLA MOSTRA D’OLTREMARE ??
UN CENTRO DI ECCELLENZA PER TECNOLOGIA E FORMAZIONE NEGLI EX PADIGLIONI DI FISICA DELLA MOSTRA D’OLTREMARE DI NAPOLI (PADIGLIONE DI RODI):
L’Associazione “All’Ombra del Cervo di Rodi,” in collaborazione con il Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini” dell’Università di Napoli Federico II, la Mostra d’Oltremare, la Sezione INFN di Napoli e i direttori degli istituti napoletani del CNR: INO, ISASI e SPIN, organizza il workshop “Il Futuro degli ex Padiglioni di Fisica della Mostra d’Oltremare.” L’evento, in programma il 6 novembre presso l’aula Caianiello del Dipartimento di Fisica, esplorerà le potenzialità per la creazione di un Centro di eccellenza per la ricerca, le tecnologie innovative e la formazione negli ex Padiglioni di Fisica della Mostra d’Oltremare di Napoli.
Gli ex padiglioni, in disuso dal 2000 – anno del trasferimento dei fisici al Complesso universitario di Monte S. Angelo – rappresentano un importante patrimonio storico e scientifico: furono infatti sede delle prime Scuole partenopee di Fisica alla fine degli anni ’50. Da questo nucleo pionieristico si sono sviluppate le attività di ricerca e formazione portate avanti oggi dal Dipartimento di Fisica ‘Ettore Pancini’ in sinergia con gli Enti convenzionati.
Partecipano al workshop gli Istituti di ricerca coinvolti, con i rispettivi direttori, e la Mostra d’Oltremare, rappresentata dall’Architetto Pio Nicola Perfetto, in delega dal Presidente Remo Minopoli. La Regione Campania partecipa con l’Assessore alla Ricerca, Innovazione e Startup, Valeria Fascione, e il Comune di Napoli con l’Assessore all’Istruzione e alle Famiglie, Maura Striano. Durante la giornata saranno presentati e discussi diversi ambiti di interesse, tra cui l’innovazione tecnologica, la valorizzazione della ricerca e della formazione, nonché il rafforzamento delle collaborazioni accademiche e industriali.
In particolare, le aree tematiche trattate includeranno:
* Tecnologie Avanzate e Innovazione Quantistica
* Biofisica e Applicazioni Mediche
* Intelligenza Artificiale e Machine Learning
* Patrimonio Storico, Culturale e Scientifico
* Outreach e Formazione
L’evento rappresenta un’importante occasione per promuovere sinergie e progettare insieme il futuro di uno spazio che ha ospitato fondamentali momenti di crescita per la scienza a Napoli.
‘O MORTICIELLO, OVVERO LA DOLCE CONNESSIONE NAPOLETANA TRA I VIVI E I MORTI.
Dopo giorni in cui tutti nel social-salotto si sono riscoperti (o reinventati?) teologi per pontificare circa la nuova crociata contro Halloween, mentre la fazione opposta difendeva l’americanata che nata in America non è, io guardo a Napoli e a quella filosofia napoletana che dà – è proprio il caso di dirlo – gusto e sapore alla vita. E anche alla morte.
In realtà, Halloween non è che una “contaminazione di ritorno” per Napoli, dove è millenaria consuetudine offrire dolci ai morti. In una città che vanta piatti e tradizioni per ogni cosa, già prima del secondo dopoguerra, a fine ottobre, i bambini mettevano qualche lira in una scatola – ‘o tautiello, appunto – e, agitandola, facevano impaurire passanti e vecchietti al grido di “ccà dindo ce sta ‘o morticiell'” cui seguiva la richiesta di qualche ficosecco, biscotto o leccornia varia, l’antesignano di “dolcetto o scherzetto” insomma; in una città dove c’è una connessione continua tra vivi e morti, laddove ogni altra città rifugge il contatto con l’oltretomba, a Napoli, dove si chiede protezione a chi sta nell’oltretomba senza disdegnare qualche richiesta di qualche numero da giocare al lotto con la promessa di qualche “refrisko a l’anema d’o priatorio”, addirittura si sono create succulenti pietanze ad hoc, in loro onore: il torrone dei morti.
Non è difficile in questi giorni vedere spuntare bancarelle, finanche nei pressi dei cimiteri, dove poter acquistare quello che è un dolce tipico e topico e che non è certo il torrone di Natale. Tutt’altro! Tutto il contrario. Il torrone dei morti è un composto dolce, morbido, prodotto per allietare il trapasso e il viaggio nell’aldilà. Un composto tenero di cioccolato con un cuore di mandorle e nocciole abbrustolite, destinate al trapassato che si presume avesse una dentatura carente. Dal latino torreo (io abbrustolisco), persino la sua forma era trapezoidale, proprio per ricordare la forma di una bara. Napoli, però, è anche la città della scaramanzia e, forse, presi dal dubbio che questo torrone “avessa purtà male”, i mastri pasticcieri iniziarono ad arrotondare la parte superiore della “dolce bara” dando così una forma semicircolare alla creazione.
Anche un omaggio da parte dei defunti a vantaggio dei vivi che bisognava allietare per la triste mancanza.
Non era difficile che in questi giorni “di festa”, infatti, si facesse visita ad amici e parenti portando in dono proprio questo specialissimo dolce il cui uso veniva, poi, allargato al “libero” consumo, al punto che era consuetudine fino a qualche decennio fa omaggiare la fidanzata (e la madre di lei, ma non vogliamo malignare!) proprio con il torrone dei morti. Altra particolarissima qualità è l’acquisto che non veniva fatto dell’intero pezzo, ma a fette perché, essendo poi farcito dei gusti più disparati – fragola, pistacchio, frutta mista – si poteva gustare di tutto un po’. Accanto al torrone dei morti faceva bella vista anche ‘o franfallicco, una caramella ormai scomparsa, prodotta là per là dal franfalliccaro, di zucchero filato – anticamente anche col miele – il cui nome deriva dal francese fanfaluche “ninnolo, cosa di poco conto” che, quindi, poteva essere acquistata da tutti. E dopo questa Napoli avanguardista e popolare, contro i tuttologi del “webbe”, diretti o indiretti detrattori di Partenope, da ‘o munno d’ ‘a verità, si alza il napoletanissimo invito a “zucarsi ‘o franfallicco” e “skiattare (requiescat) in pace”.
RIGA, CAPITALE DELLA LETTONIA: UN VIAGGIO AFFASCINANTE NELL’ART NOUVEAU.
LIGURIA AL CENTRO DESTRA, MALGRADO “L’IMPEGNO” DEI GIUDICI, L’AZIONE VELENOSA DELLA SINISTRA E IL MALTEMPO!
E così si é conclusa l’ennesima “battaglia elettorale” tra centro destra e centro sinistra per eleggere il Presidente di una Regione. Questa volta non si trattava di un normale rinnovo del Consiglio Regionale dopo i 5 anni canonici di una legislatura regionale, ma elezioni anticipate in Regione Liguria per via del coinvolgimento di Giovanni Toti, il Presidente uscente, in una indagine della Magistratura durata ben 4 anni di fila e arrivata, guarda caso, a conclusione solo poche settimane prima del voto per le elezioni Europee di Giugno.
I maligni, ma non solo i maligni, sottolinearono immediatamente la stranissima e sospetta concomitanza delle elezioni europee con l’epilogo improvviso e non atteso di quell’indagine su Giovanni Toti. Una indagine lunga ed estenuante che dal primo momento non presentava aspetti di preoccupante reiterazione dei reati, ne fuga dei soggetti incriminati, ne pericolo di inquinamento delle prove. Niente! Neanche i soggetti coinvolti in quest’inchiesta (a partire da Toti, passando per l’imprenditore ed ex Presidente del Genoa Calcio, Aldo Spinelli) avevano il minimo sentore del ciclone giudiziario che stava per abbattersi su di loro, sulla città di Genova e le Istituzioni Liguri, malgrado 4 anni di pedinamenti, intercettazioni, foto degli indagati “rubate” dagli inquirenti in ogni luogo e quant’altro possibile in una indagine del genere.
Una sorta di giustizia ad orologeria, ben nota ed abusata nel nostro Paese almeno dai primi anni 90, era stata riesumata, rivitalizzata e riproposta nel momento giusto. Cioè ad un mese da importanti appuntamenti elettorali, con lo scopo tutt’altro che recondito di “impallinare” il Centro Destra attraverso l’arresto improvviso del rubicondo Presidente Toti e dei suoi “pericolosi” amici imprenditori.
Vi risparmiamo le polemiche delle forze politiche di Centro Destra che gridarono immediatamente al “colpo di stato” della magistratura (se non altro per il tempismo dei Giudici nelle modalità utilizzate nell’indagine) e le contrapposte invettive velenose delle sinistre che urlavano agli avversari di essere una banda di corrotti e malfattori. Accuse mai riposte neanche in campagna elettorale dove lo schieramento di Centro Destra presentava nel ruolo di candidato alla carica di Presidente della Regione Liguria, il Sindaco di Genova Marco Bucci, distintosi per il suo illuminato buon governo e per la felice conclusione delle complesse attività connesse alla ricostruzione del Ponte Morandi. Attività cui il Sindaco aveva adempiuto, con zelo e competenza, nel ruolo conferitogli dal Governo, di “Commissario Straordinario per la ricostruzione del Ponte Morandi” che, ricorderete, si sbriciolò in pieno giorno portandosi dietro oltre 43 vittime innocenti.
Il Centro Sinistra, a sua volta, contrapponeva in questa competizione elettorale, l’ex Ministro del Lavoro Andrea Orlando del PD, Nativo di La Spezia, con diverse esperienze nei governi di Centro Sinistra, da Letta (Ambiente) a Renzi e Gentiloni (Giustizia) per finire con Mario Draghi che gli affidava il Ministero del Lavoro. Un buon candidato, non c’é dubbio, che é stato a nostro avviso condizionato e penalizzato fortemente dalla violenza verbale e dai toni accesi utilizzati dalla Sinistra, per tutta la durata della campagna elettorale e ancora prima, all’indomani dell’arresto di Toti. Una campagna elettorale aspra, quella condotta dai rappresentanti del PD e dai suoi alleati, ove non si é avuto alcun interesse o sentita la necessità di discutere di programmi o progetti per la cittadinanza ligure. Puntando piuttosto la propria strategia di penetrazione dell’elettorato sulla grande opportunità concessa dalla magistratura genovese di demolire facilmente l’avversario, in ragione delle vicende giudiziarie dell’ex Presidente di Centro Destra.
Una campagna elettorale monocorde condotta dalla sinistra esclusivamente in questi termini velenosi e con questo unico tema di forte contrapposizione con l’avversario, anche per motivi interni alla coalizione capeggiata dalla Schlein. Come sappiamo, per il veto dei 5 Stelle, veniva tenuta fuori dalla coalizione la compagine politica di Matteo Renzi, giudicata incompatibile con le politiche del partito di Conte e con la stessa maggioranza all’interno del PD, largamente orientata verso una sinistra fortemente radicale. Maggioranza interna al PD che non ha mai fatto mistero della necessità di una sempre maggiore collaborazione politica con i 5 Stelle, in contrasto con le dichiarazioni continue ed ossessive della Schlein di perseguire fortemente l’abusato e inclusivo progetto del “Campo Largo”.
Una contraddizione molto forte e sin troppo “Visibile” agli occhi degli elettori liguri che hanno interpretato il messaggio della sinistra come esclusivo intendimento di battere l’avversario politico. Senza uno straccio di progetto politico dichiarato che non fosse quello della “pulizia etnica” della classe dirigente dei partiti della coalizione di Centro Destra in Liguria.
Una classe Dirigente, quest’ultima, che al contrario aveva un suo progetto politico forte e riconoscibile che stava già realizzando concretamente con la giunta regionale di Toti e i cui risultati positivi si vedevano rappresentati efficacemente in termini di nuova occupazione; rilancio delle attività portuali del capoluogo e della portualità ligure; attivazione degli interventi di ingegneria naturalistica per il contenimento dei ripetuti fenomeni franosi del fragile territorio ligure e quant’altro di urgente in tema di risanamento ambientale; efficientamento del sistema sanitario pubblico ligure e nuove assunzioni di personale medico e infermieristico negli ospedali della regione. Programma politico-amministrativo bloccato dalle indagini giudiziarie, ma riproposto con maggior vigore ed efficacia nella tornata elettorale appena conclusa dalle forze politiche di centro destra che sostenevano il nuovo candidato alla Presidenza della Regione Liguria.
Un programma politico collaudato che veniva messo nelle mani e nella caparbia volontà di un capace amministratore pubblico, quel Marco Bucci che aveva dato innumerevoli prove della sua efficienza amministrativa, politica e gestionale. Questi elementi, a nostro avviso, han prodotto il risultato tutt’altro che scontato della elezione dell’ex Sindaco di Genova. Un risultato insperato raggiunto in un clima fortemente condizionato da fattori ed “elementi” esterni, ove é stato oltremodo duro chiamare al voto i cittadini liguri anche per le avverse condizioni metereologiche.
Un risultato che si é provato a condizionare sino alle ultime ore di campagna elettorale attraverso un programma televisivo della RAI che, in pieno “silenzio elettorale”, nella serata di domenica scorsa ha distribuito al pubblico televisivo ore di autentico veleno “sfuso e a pacchetti” contro Bucci e la sua coalizione politica. Partendo proprio da Toti e rammentando sino alla noia le disavventure giudiziarie di quest’ultimo, lanciando poi un monito o, se volete, un avvertimento in “stile mafioso” rivolto agli elettori liguri in procinto di esprimere liberamente il proprio voto per le elezioni regionali. Come altro si potrebbe interpretare l’uso politico di una trasmissione televisiva di una rete pubblica andata in onda tra il primo e il secondo giorno previsti per il voto, cioè a dire in pieno svolgimento della competizione elettorale? Questa é la domanda che ci piacerebbe rivolgere ai magistrati di Genova per sapere da loro se questi accadimenti palesino eventuali reati penali a carico di chi ha deciso di mettere in onda quei servizi televisivi in quel giorno preciso di apertura dei seggi elettorali. Tanto in contrasto con le più elementari e conosciute norme di legge in materia. Domanda che ci piacerebbe rivolgere anche al Signor Ministro degli Interni per i possibili adempimenti di Sua specifica competenza.
Nel frattempo andiamo avanti così, sperando che la politica sappia e voglia esprimere contenuti autentici, dibattiti e confronto aperti e leali, rispetto reciproco tra i leader dei partiti e non soltanto, qualità della proposta politica e della classe dirigente calata nelle competizioni elettorali dai singoli partiti.
26 OTTOBRE 1954. 70 ANNI ORSONO TRIESTE VENIVA RESTITUITA ALL’ITALIA!
Ventisei Ottobre 2024 : un anniversario passato sotto silenzio.
Eppure settanta anni fa Trieste veniva finalmente abbandonata dalle forze di
occupazione alleate e tornava all’Italia.
Per quel sogno finalmente realizzato migliaia di giovani e meno giovani determinati ed
entusiasti avevano manifestato ripetutamente a Trieste e centinaia di migliaia di altri giovani nelle tante città d’Italia.
Cortei, scioperi, manifestazioni: la migliore gioventù studentesca scese in
piazza in quegli anni terribili.
Mi si consenta un ricordo personale: il preside del Liceo Sannazaro, a noi,
ragazzi che ci accingevamo a sfilare per la città, venne personalmente a
consegnarci la bandiera dell’Istituto.
In occasione delle tante manifestazioni contro l’occupante, sei giovani
triestini persero la vita sotto il piombo della polizia.
Ritengo doveroso ricordare, a futura memoria, i loro nomi: Francesco
Paglia, Leonardo Manzi, Saverio Montano, Erminio Bassa, Pierino
Addobbati.
E sembra opportuno ricordare anche il nome del comandante del
cosiddetto territorio Libero di Trieste, il generale inglese Thomas
Winterton, alle cui dipendenze era la polizia Civile che reprimeva con la
forza e con i proiettili le manifestazioni di popolo degli Italiani.
Trieste tornò finalmente all’Italia, quella Trieste per la quale si era
aspramente combattuto nella prima guerra del ’15-‘18 e che era stata
strappata all’Impero Austro Ungarico dopo le battaglie sul Piave,
sull’Isonzo e sul Tagliamento.
Una nazione e un popolo degni della propria Storia e della propria Civiltà Millenaria dovrebbero sempre portare nel cuore la propria Patria. E con essa la città di Trieste.
Quella Patria nel cui nome si sacrificarono tanti giovani Italiani e il cui ricordo deve rimanere indelebile nei cuori e nelle coscienze degli Italiani degni di questo nome.
PREVENZIONE, PROTEZIONE E CURE PER LE INFEZIONI DA HCV e HIV: AL FATEBENEFRATELLI IL CONVEGNO DI STUDI CON IL CONTRIBUTO DEL PENITENZIARIO MINORILE DI NISIDA:
Prevenzione, protezione e cure per le infezioni da HCV e HIV:
a Nisida parte il progetto “Noi Ci siamo”
L’Epatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli e l’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida – con il contributo non condizionato di Abbvie – lanciano la campagna informativa.
L’iniziativa sarà presentata martedì 29 ottobre alle ore 11:30 presso l’aula conferenze ospedale Fatebenefratelli di Napoli (Via Alessandro Manzoni 199).
La consapevolezza sui rischi delle infezioni virali a trasmissione ematica registra standard molto bassi tra le nuove generazioni.
È per questa principale ragione che l’Epatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli di Napoli e Istituto Penitenziario Minorile di Nisida lanciano la campagna informativa “Prevenzione a Nisida: Noi Ci siamo”.
L’iniziativa – resa possibile grazie al contributo non condizionato di Abbvie – si pone l’obiettivo di sensibilizzare e informare i giovani detenuti sulle modalità di trasmissione e prevenzione delle infezioni ematiche come HIV e HCV (epatite C).
Parlare oggi di queste patologie non significa limitarsi alle infezioni trasmesse tramite trasfusioni di sangue infetto.
La diffusione di questi virus avviene infatti, principalmente, attraverso l’uso di strumenti non sterilizzati (come aghi, piercing, forbicine e lamette) e tramite contatti sessuali non protetti.
Seppure il numero di infezioni sia diminuito rispetto al picco raggiunto negli anni ’80 e ’90, molti giovani sono ancora inconsapevoli dei rischi legati a queste malattie.
«Richiamare l’attenzione degli adolescenti è fondamentale. Soprattutto riguardo l’epatite C la percezione dei rischi legati a questa grave patologia è ancora molto limitata», afferma il dott. Vincenzo Iovinella, Responsabile Epatologia e Malattie Infettive Ospedale Madonna del Buon Consiglio Fatebenefratelli, che aggiunge: «grazie ai recenti progressi della medicina, oggi abbiamo a disposizione trattamenti in compresse che possono eradicare il virus in sole 8-12 settimane».
Tuttavia, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia avviato un programma per l’eradicazione del virus HCV entro il 2030, i programmi di prevenzione, che dovrebbero partire dalla conoscenza delle modalità di contagio, spesso non raggiungono le fasce più vulnerabili della popolazione.
La campagna “Prevenzione a Nisida: Noi Ci siamo” mira a colmare questo divario informativo, portando tra i giovani detenuti dell’Istituto di Nisida conoscenze chiare sulle modalità di contagio e informazioni cruciali sulle possibilità di cura grazie ai farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs).
Questi farmaci rappresentano oggi una delle più efficaci soluzioni terapeutiche contro il virus HCV, con una percentuale di guarigione che sfiora il 97%.
Un’iniziativa unica nel suo genere in Italia, che ha subito trovato l’entusiasta adesione della Direzione Sanitaria del P.O. Fatebenefratelli, rappresentato dalla dott.ssa Mariateresa Iannuzzo, che sottolinea come sia fondamentale «portare la prevenzione e l’informazione direttamente nei luoghi in cui si trovano i giovani più a rischio».
La stessa convinzione è stata espressa dal dott. Gianluca Guida, Direttore dell’Istituto Penale per Minorenni di Nisida che sottolinea quanto «educare alla prevenzione sia un aspetto chiave per favorire una buona salute e ridurre il rischio di malattie nel lungo termine. Coltivare precocemente la prevenzione permette di identificare e gestire i fattori di rischio prima che diventino problemi gravi»
RITROVATA IN UN APPARTAMENTO DI POMPEI UNA TELA SIN ORA SCONOSCIUTA DI PABLO PICASSO.
Una storia affascinante si è svelata a Pompei, dove una famiglia italiana ha recentemente
scoperto di possedere un opera di Pablo Picasso, rimasta per decenni sospesa
nell’anonimato nel salotto della loro dimora. Il dipinto, intitolato “Buste de Femme Dora
Maar”, potrebbe avere un valore stimato di ben 6 milioni di euro.
La vicenda affonda le radici negli anni Sessanta, quando Luigi Lo Russo, un rigattiere che
operava sull’isola di Capri, acquistò il dipinto ritrovato in una cantina di una villa sull’isola.
Nel corso della sua vita, Picasso ha ritratto Dora Maar, la sua musa e compagna, in
numerosi lavori, rendendo il legame tra i due iconico e complesso.
Per quasi cinquant’anni, l’opera è rimasta appesa senza destare attenzione, fino a quando
la famiglia Lo Russo ha intrapreso un lungo percorso per verificarne l’autenticità. Solo
recentemente, dopo un’accurata perizia richiesta dal Tribunale di Milano, è emerso che il
dipinto è effettivamente un Picasso originale, dando conferma alle intuizioni dei proprietari
e arricchendo in modo significativo la loro collezione.
Andrea Lo Russo ha dichiarato con forte convinzione che il quadro non è in vendita, in
rispetto della volontà del padre. Attualmente custodito in un caveau di Milano, il dipinto non
rappresenta solo un patrimonio artistico ma è anche un simbolo del legame intrinseco con
la storia familiare.
Negli anni, i proprietari hanno interpellato una serie di esperti del mondo dell’arte senza
ottenere conferme definitive. Uno dei sostenitori della famiglia è stato il noto critico d’arte
Vittorio Sgarbi, che ha incoraggiato Andrea a perseverare nella ricerca di autenticità.
La scoperta del dipinto non solo riaccende l’interesse su Picasso e sulle sue muse, ma offre
anche una riflessione profonda sull’eredità artistica e sui legami familiari che trascendono il
tempo e il valore economico.
LA “PASSIONE POLITICA” ESASPERATA DI TALUNI MAGISTRATI RISCHIA DI PENALIZZARE IL PAESE!
Solo il mese scorso (27 Settembre con l’editoriale dal titolo “La giustizia in Italia, un sistema sgangherato….”) Campo Sud si era soffermato sulle forti contraddizioni e sull’eccesso di discrezionalità di taluni magistrati che, in presenza di analoghe ipotesi di reato per un medesimo soggetto inquisito, agivano in maniera assai diversa e contraria, arrivando a confezionare, in un caso, una richiesta di condanna a 6 anni di carcere, in luogo di un precedente proscioglimento disposto da altro Tribunale o addirittura dal voto del Senato della Repubblica che sanciva il non luogo a procedere per i medesimi presunti reati, per lo stesso soggetto inquisito. E’ il caso del Ministro Salvini accusato di sequestro di persona (i migranti in attesa di conoscere il luogo e il Paese di sbarco) dal Tribunale di Palermo e in attesa della definitiva sentenza prevista per il prossimo mese di Dicembre. Una decisione tutta “personale” di questi giudici palermitani e in controtendenza rispetto alle decisioni del Tribunale di Catania e alla valutazione del Senato della Repubblica che, come abbiamo detto, piuttosto che rinviare a giudizio per “sequestro di persona” come nel caso di Palermo, si soffermavano sulle scelte oltre modo positive e lodevoli dell’inquisito (Salvini) per aver difeso i confini dell’Italia dallo sbarco di clandestini sul territorio nazionale.
Posizioni diametralmente opposte e assolutamente schizofreniche di diverse Procure della medesima regione (oltre alle decisioni del Senato) che denotano quanto meno un inquietante scenario di confusione e contraddittorietà tra magistrati che regna nei tribunali della Repubblica. Facendo crescere in maniera esponenziale la sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia e dei suoi intraducibili e controversi percorsi.
E’ trascorso meno di un mese e questa presunta volontà di taluni magistrati di “far saltare il tavolo” del reciproco rispetto e della collaborazione istituzionale con il Governo é riemersa in tutta la sua drammatica realtà in occasione della bocciatura del Decreto di trasferimento dei clandestini nel nuovo centro di identificazione degli immigrati realizzato sul territorio della Repubblica d’Albania. Questa bocciatura veniva giustificata dalla mancata sicurezza dei Paesi di origine dei migranti. Paesi che non avrebbero garantito le indispensabili tutele e protezioni in caso di rimpatrio per espulsione, pur se i protocolli venivano assunti e condivisi con l’Italia attraverso procedure istituzionali concordate tra gli Stati. Il risultato di questa decisione dei Magistrati romani si é tradotto nel conseguente rimpatrio degli immigrati in Italia che, al momento, sono liberi di circolare indisturbati sul nostro territorio nazionale, con la speranza molto flebile che non si dileguino tra città e campagne pugliesi incrementando il numero già rilevante di clandestini senza documenti in giro per strade, piazze e stazioni ferroviarie di tutta Italia.
Ma mentre l’irritazione dell’Esecutivo per la decisione unilaterale e sconcertante dei magistrati romani cresceva; anche e soprattutto perché ampiamente anticipata nell’estate scorsa, addirittura nel corso di un convegno sui temi della Giustizia tenuto dalla Dott.sa Luciana Sangiovanni, Presidente della Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma, oltre che Presidente nazionale della corrente di Magistratura Democratica; quest’ultima candidamente annunciava il proposito di contrapporre un percorso giudiziario in contrasto con l’iniziativa governativa, al fine di vanificare il progetto del centro di identificazione dei migranti (hotspot) in terra d’Albania e mettere in seria difficoltà l’intero governo. E proprio per supportare l’iniziativa della sua collega romana, ecco spuntare l’ennesimo magistrato, il dott. Marco Patarnello, Giudice di Cassazione, che faceva circolare contemporaneamente una mail scritta di suo pugno e indirizzata ai colleghi della corrente di Magistratura Democratica, con lo scopo di sostenere “l’azione temeraria” della Sangiovanni contro il Governo in tema di immigrazione.
A tal proposito il Magistrato scriveva: “Indubbiamente l’attacco alla Giurisdizione non é mai stato così forte. Forse neppure ai tempi di Berlusconi. In ogni caso oggi é un attacco molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni. Innanzitutto perché Meloni non ha indagini giudiziarie a suo carico, quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte. E rende anche più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto”. E poi il Giudice Patarnello aggiungeva: “In secondo luogo perché la magistratura é molto più divisa e debole rispetto ad allora (al tempo di Berlusconi Premier) e isolata nella società civile. A questo punto dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo. Quanto meno dobbiamo provarci”.……..Il Giudice poi concludeva con altre amenità del genere e con un invito finale al Presidente del CSM e al Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati affinché predisponessero una reazione chiara e netta contro lo “strapotere” dell’Esecutivo.
Fin qui le riflessioni e l’invito completamente inusuale e fuor di luogo rivolto dal giudice Patarnello ai magistrati di ogni parte d’Italia, con lo scopo dichiarato di lanciare una sorta di “chiamata alle armi” della magistratura contro il Governo Meloni. Lo stesso stile e i toni autoritari del Giudice Palamara, (l’ex potente Presidente dell’ANM che sceglieva a tavolino i giudici da promuovere per esclusivi meriti correntizi!) allorquando, intercettate le sue chat dalla Procura di Perugia, indicava il percorso da seguire al Procuratore della Repubblica di Viterbo in merito all’atteggiamento dei magistrati nei confronti di Salvini. Ammonendolo sulla necessità di dover necessariamente attaccare Salvini, perché quello era e doveva essere “l’orientamento politico” dei magistrati sulle scelte adottate dall’allora Ministro degli Interni e Segretario Nazionale della Lega.
Come volevasi dimostrare. Tutto torna. Tutto ormai é alla luce del sole. Compreso la consapevolezza dei cittadini italiani che hanno ormai le prove tangibili che non si può parlare della Meloni come persona ossessionata da presunti complotti orditi ai suoi danni o a danno di esponenti politici della sua maggioranza. Ma, piuttosto, é lecito affermare che trappole e complotti, campagne di stampa aggressive e troppo spesso costruite a tavolino nelle redazioni dei soliti giornali o trasmissioni televisive, diffamazioni e stravolgimento sistematico della realtà, rappresentano il pane quotidiano della sinistra nostrana fin dall’insediamento del Governo Meloni. “Attività” fortemente incrementatasi negli ultimi mesi con il “robusto” contributo di parte dei sindacati, centri sociali, antagonisti e chi più ne ha, più ne metta. Attività di delegittimazione strisciante che taluni ambienti della magistratura italiana supportano e rendono viva ed attuale e che si traduce in meschina “demolizione” dell’avversario politico o di una compagine politica, fornendo sovente alla politica stessa, elementi di polemica strumentale e violenta.
Poi c’é qualcuno che si lamenta e che ci racconta, stupito, che la magistratura sia molto più divisa e debole dai tempi di Berlusconi e completamente isolata nella società civile!