venerdì, Dicembre 27, 2024
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Camilleri: fiera dell’ipocrisia e dell’esagerazione

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Tutti giornali e le TV quasi a reti unificate, si sono sprecate in un profluvio davvero insopportabile nel lutto per la morte di Camilleri.
Siamo i primi a voler parlare con il dovuto rispetto di quanti “vanno oltre” ma, riteniamo, anche a sostenere che la loro memoria vada difesa dalle esagerazioni ed in questo caso da una sorta di santificazione ovviamente “laica”, avendo tutte le reti tenuto a sottolineare che la salma verrà sepolta nel cimitero “non cattolico”, quasi come se questa fosse una scelta coraggiosa e trasgressiva cui fornire grande plauso.
“Andrea Camilleri -scrive Veneziani- era uno scrittore televisivo che vendeva libri, che intrigava con le sue trame e il suo linguaggio fantasiculo; che sapeva gigioneggiare dall’alto dei suoi novant’anni, recitando un ruolo ironico-profetico da oracolo televisivo che parodiava bene Fiorello. E poi, per compiacere la Ditta, Camilleri andava sul sicuro, faceva l’antifascista, seppure molto postumo, ieri antiberlusconiano, oggi antisalviniano ma sempre contro il Duce, a babbo morto. Una polizza per la gloria.
Era uno scrittore bravo, non un Grande Scrittore, come lo presentano. Non entra nella grande letteratura, non esagerate, ma rimane nella bestselleria corrente e nella personaggeria letterario-televisiva. Non rendetelo ridicolo, paragonandolo a Pirandello e Verga, e pure a Sciascia. Via, abbiate senso della misura. Non mettetegli pennacchi e aureole, abbiate rispetto di un morto”.
Appunto rispetto per il morto, rispetto per tutti i defunti qualsiasi cosa abbiano pensato, scritto, vissuto, purché lo abbiano fatto in buonafede e senza ledere le persone, senza commettere reati infamanti.
Giudizi invece si, anche severi, nei confronti di chi, attraversando un intero secolo, è stato sempre dalla parte dei vincitori e mai dei vinti, delle loro famiglie, dei loro sacrifici, dei loro lutti, delle loro sofferenze.
A Camilleri piaceva vincere sicuro.
Noi siamo di altra pasta, seguiamo le idee per vincere o perdere insieme ad esse.

Stoccaggio = Compostaggio?

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De Luca e De Magistris “giocano” alla guerra dei rifiuti

Con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali per Regione e Comune di Napoli il governatore De Luca ed il sindaco De Magistris fanno a gara per scansare le inevitabili polemiche che riguardano la oramai perenne emergenza rifiuti in Campania e Napoli in particolare.
In questi anni, dopo la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione di Acerra nulla è stato fatto .E proprio la temporanea chiusura programmata di quell’impianto ha creato panico nei due Palazzi e preoccupazione tra i cittadini.
Per De Luca e De Magistris il pericolo è grave. Entrambi rischiano di perdere la faccia scivolando su un cumulo di rifiuti.
Dopo anni di proclami e conferenze stampa intrise di pura demagogia De Magistris deve rendere conto del clamoroso fallimento della raccolta differenziata. Dieci anni di promesse e di bugie inchiodano il “primo” cittadino alle sue responsabilità che si sommano a quelle nel suo ruolo di presidente della Città Metropolitana.
Zero impianti e rifiuti inviati esclusivamente all’impianto di Acerra oppure all’estero con costi proibitivi.
In questi giorni parlano di ulteriori programmi da realizzare, ma nel frattempo apriranno nuove discariche a cielo aperto che chiamano eufemisticamente Siti di Stoccaggio. Contemporaneamente De Luca parla di Siti di Compostaggio da realizzare in pochi mesi. Bugie che si sommano ad altre bugie.
Per fortuna sono scesi in campo i parroci delle zone dove si ipotizzano le nuove discariche e le bugie di De Magistris insieme a quelle di De Luca avranno le gambe corte.
Per la sinistra ideologica del Sindaco e quella pratica del Governatore si annunciano tempi bui e puzzolenti.

Russiagate: stanno giocando con il fuoco e rischiano di rimanere inceneriti

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La sinistra anche quando afferma di essere liberal e democratica, anzi direi soprattutto quando lo sostiene con forza ed orgoglio, resta pervicacemente leninista.
Si muove con la logica e la prassi dell’occupazione di tutti gli spazi di potere, nessuno escluso.
Non ammette che l’avversario possa vincere le elezioni e se questo avviene denuncia brogli, si rivolge ai Tribunali, chiede l’intervento della Suprema Corte e, se non basta, promuove massicce campagne di stampa scandalistiche per attivare il suo braccio armato e cioè la magistratura, naturalmente anch’essa “democratica” che, sulla base delle inchieste giornalistiche, apre fascicoli, attiva discutibili strumenti d’indagine, emana provvedimenti giudiziari, priva della libertà un certo numero di malcapitati, terrorizza i funzionari pubblici, determina dimissioni e quindi la caduta di Istituzioni democraticamente elette e nuove elezioni che inevitabilmente saranno vinte dalle “forze democratiche “ e naturaliter, antifasciste.
Lo schema e la prassi ideologica neoleninista viene applicato ormai sistematicamente in Italia dall’avvento al potere di Berlusconi, con l’abbattimento di due suoi governi ricorrendo ad ogni più ignobile strumento, andando a cercare “prove” persino nell’intimità delle camere da letto ed è stato poi applicato nei confronti delle giunte regionali di centro destra e di innumerevoli Comuni e di altre realtà istituzionali, ancorché supportate dal voto popolare, determinandone la caduta .
Il metodo neoleninista è stato ormai stabilmente adottato dalle “democrazie globaliste” al punto da costituirne ormai un dato strutturale.
Viene applicato con estrema violenza nei confronti del presidente USA Donald Trump persino con l’impiego di organi dello Stato, CIA e FBI, ampiamente politicizzati ed infiltrati negli anni delle presidenze democratiche, sino a giungere a richieste di impeachment che si scontrano con un uomo forte, dotato di un fortissimo consenso, che ha fatto finora argine ad attacchi di una virulenza inusitata, ma non è detto che sia finita. Con lo stesso metodo: campagne di stampa. criminalizzazione politica con il marchio di “estrema” destra”, impiego di agenti provocatori e di servizi spionistici è stato il sistema per scacciare la destra sovranista di Strache dal governo austriaco .
I politici globalisti ed i loro danti causa , Banche, Istituti finanziari , poteri forti, spaventati dalla rivolta dei popoli che serpeggia contro di loro in tutta Europa ed oltre, hanno individuato nella Lega e nel suo indiscusso leader Matteo Salvini, il partito e l’uomo da abbattere con ogni mezzo, lecito ed illecito.
Ritengono che la Lega sia un elemento di forte squilibrio per il ferreo sistema che domina l’Europa.
Da mesi e mesi, con l’ausilio di servizi segreti di vari Paesi (sembra in primis quelli di Macron) hanno steso numerose reti a strascico per catturare Salvini e costringerlo a lasciare per ripristinare il loro “ordine”.
In una di queste reti è finito per incappare Gianluca Savoini per un’improbabile trattativa, con improbabili interlocutori, in un contesto davvero poco credibile, nel luogo più frequentato di Mosca per un affare mai concluso.
Giocano con il fuoco, giocano alla guerra civile.
Fu facile abbattere Berlusconi: in qualche modo lo tenevano col cappio al collo e con un coltello alla schiena minacciandolo con sopravvivenza delle sue Aziende con migliaia di dipendenti e con le azioni quotate sul mercato.
La forza e la posizione di Salvini sono ben diverse, profondamente diverse.
La Lega dispone di un consenso molto ampio e strutturato che è frutto dell’appassionata partecipazione della stragrande maggioranza degli italiani, fatta da milioni di persone che condividono, con grande entusiasmo, i valori per i quali Salvini si batte.
Non sarà la solita Procura di Milano ed una ridicola spy story frutto di un’operazione di misteriosi servizi segreti e di giornali specializzati in fake news, al soldo dell’usurocrazia di Bruxelles, a sconfiggere la rivoluzione populista e sovranista che per via democratica vuole restituire il potere al popolo, salvaguardarne i diritti essenziali, i suoi valori tradizionali , la sua identità, i suoi sacrosanti confini.
Un atto scellerato, un nuovo colpo di Stato, come quello a suo tempo attuato contro il cavaliere, avrebbe come risposta una reazione popolare fortissima ed incontrollabile.
Stanno giocando con il fuoco e rischiano di rimanerne inceneriti.

Dal Governo altri 100 milioni per il Centro Storico

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Ma De Magistris ha già sprecato altre occasioni di interventi per la città.

Proprio oggi, mentre prende vita il nostro strumento di approfondimento e di commento sulle vicende più significative che riguardano il nostro territorio, arriva la notizia di nuovi finanziamenti in favore del Centro Storico di Napoli destinati al recupero di edifici e complessi monumentali che da decenni vivono in uno stato di abbandono.

Quasi 100 milioni di euro stanziati dal governo nazionale e destinati al comune di Napoli.

Certamente una buona notizia, sopratutto in ragione della capacità e della potenzialità di sviluppo turistico per la nostra città. Tanti soldi che si aggiungono ai tanti altri finanziamenti che sono già arrivati a Palazzo San Giacomo nel corso degli ultimi dieci anni.

Bagnoli, la metropolitana, il porto, Napoli Est ed il precedente progetto Unesco per il Centro Storico sono state le opportunità che il sindaco di Napoli (quello attuale ed i suoi predecessori) ha avuto e che ha vergognosamente sprecato.

Siamo in presenza di una serie di clamorosi fallimenti che rendono amara la notizia di ulteriori finananziamenti a favore di Napoli.

Lavori infiniti, progettazioni incomplete, scelte strategiche prive di buon senso rappresentano la costante degli amministratori di Palazzo San Giacomo.

Una incapacità amministrativa che ha già condannato i napoletani a perdere decine di milioni di euro di finanziamenti europei a causa della sciatteria ed incompetenza di De Magistris e della sua amministrazione.

I lavori di via Marina, il completamento di piazza Garibaldi, il costante degrado delle periferie sono solo gli esempi più eclatanti di un fallimento totale.

 

Diamo voce al Sud migliore ed alle battaglie imprescindibili per migliorarlo

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Campo Sud 2.0 riparte con una nuova veste grafica e con rinnovato impegno politico e sociale a tutela della storia, delle identità, degli interessi delle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia.
Intendiamo farlo a sostegno di quanti in Italia ed in Europa si battono contro la globalizzazione, contro la distruzione delle identità, anche di genere, per esaltare la bellezza del Sud, del carattere fiero delle sue popolazioni, per contribuire allo sviluppo sociale ed economico.
Per far questo bisogna azzerare tutte le diseconomie del territorio, a partire dalla lotta senza quartiere alle mafie, mettendo in galera i delinquenti ed aggredendo i loro patrimoni, dotando le Pmi degli strumenti finanziari per assistere e promuovere lo sviluppo anche con forme di partecipazione attiva al capitale delle Imprese, rilanciando la formazione professionale legandola al mercato del lavoro, sollecitare un impegno dei governi locali e nazionale per un nuovo piano di infrastrutturazione volto a sostenere le politiche di espansione dell’Impresa meridionale, per finire ad un intervento strutturale sulla burocrazia che “deve” funzionare.
Campo Sud è qui a sostegno di politiche che spezzino una volta per tutte le vecchie catene del clientelismo affaristico, degli sprechi, delle ruberie.
Ben venga un’autonomia che responsabilizzi le classi dirigenti, non solo politiche, che faccia fare un balzo in avanti perché le giovani generazioni possano legittimamente sperare in un futuro migliore.

“Io sono Matteo Salvini” traccia il profilo dell’uomo politico del momento

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L’autrice Chiara Giannini, giornalista e inviata di guerra, attualmente scrive per Il Giornale. Negli anni ha lavorato per i quotidiani Libero, Il Tempo, Il Tirreno, e ha scritto per diverse riviste specializzate sui temi della Difesa.

Esperta in terrorismo e migrazioni, ha curato servizi e reportage da Afghanistan , dove è stata numerose volte ma anche da Libano, Tunisia e Libia. Si è occupata di casi internazionali, come quello della nave Enrica Lexie e dei fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Il libro, prima ancora che per i contenuti, è balzato agli onori della cronaca per essere stato escluso dal  Salone  internazionale del Libro di Torino, per essere stato edito con la casa editrice Altaforte vicina a Casapound movimento politico di estrema destra.  Immediata e puntuale è scattata la censura e l’esclusione arbitraria e antidemocratica di un testo che non ha nulla di eversivo o antidemocratico. Ma la risposta spontanea dei tanti liberi pensatori dalla Sicilia al Trentino-Alto Adige non è mancata: indignazione social, manifestazione di stima e rispetto per la Giannini e boom di vendita di copie hanno travolto e inondato l’opinione pubblica riaffermando ancora una volta che l’informazione non può e non deve essere faziosa e strumentalizzata, cosa che negli anni è divenuta prassi.

In questa ottica di libera informazione e di confronto,  è nata in tante città italiane la volontà da parte di alcuni giovani esponenti della Lega (ma non solo) di invitare la Giannini per parlare di politica, libertà, idee e persone, in una sola parola di Comunità.

Un capitale umano e ideale che in certi momenti mette da parte le micro-divergenze per difendere una visione del mondo comune ormai messa sotto costante attacco dal relativismo, dalla perdita di sovranità , e dal turbo-capitalismo ultra liberista che quotidianamente mira a smantellare pezzi della nostra identità e della nostra cultura, per recidere le radici della nostra storia e tagliare le ali al nostro futuro, ancorandoci ad un mondo globalizzato, assuefatto, amorfo.

Cento domande all’uomo più discusso d’Europa, cento risposte a chi lo ama, a chi lo critica, a chi ripone fiducia in lui e anche a chi lo vorrebbe vedere “penzolare a testa in giù”  e poi tante testimonianze; quelle della gente per strada, dei politici amici e quelli nemici, degli animatori dei salotti televisivi e della carta stampata.

Un confronto a distanza che ancora una volta, traccia il solco, sempre più invalicabile, tra popolo e le oligarchie imperanti

 Emanuele Papa

La Lega si ritrova in Irpinia dopo i buoni risultati delle recenti elezioni

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Si è tenuta lo scorso fine settimana la due giorni della Lega sui colli della verde Irpinia. Alla manifestazione che aveva aperto i battenti sabato mattina nell’incantevole scenario del bio-parco di Montella, hanno partecipato dirigenti ed amministratori locali del partito di Matteo Salvini provenienti da tutta la Campania. Il taglio del nastro è stato affidato all’on.Andrea  Crippa, vice di Matteo Salvini alla guida del partito nazionale. L’on.Crippa è stato positivamente colpito oltre che dal suggestivo paesaggio e dal calore dell’accoglienza degli irpini, soprattutto dall’entusiasmo dei tanti giovani presenti. È stata poi la volta del sen.Raffaele Volpi, fresco di nomina alla segreteria regionale della Lega campana, seguito dall’on.Gianluca Cantalamessa, pres.regionale del partito. Full-immersion nel territorio irpino anche per Nicolas Esposito,presidente regionale della Lega Giovani. Diversi anche gli stand delle associazioni d’area, fra i quali “Cultura ed Identità “con l’intervento del pres.Alessandro Sansoni, ”Primavera Irpina” e l’ASI – coordinamento zonale Avellino-Benevento-Caserta. Non è passata inosservata la presenza di una folta rappresentanza del MNS, guidata da Ettore de Conciliis che ha scelto, in opposizione con i vertici nazionali, di proseguire il percorso nella Lega. Soddisfatti per la riuscita della manifestazione i vertici provinciali del partito in Irpinia, da quello dei giovani leghisti, Giuseppe D’Alessio, a Sabino Morano leader provinciale della Lega. Proprio quest’ultimo ha fortemente voluto che la manifestazione si svolgesse in un luogo simbolo come l’Alta Irpinia, in quello che era il feudo dello strapotere democristiano, per ribadire che anche l’Irpinia vuole finalmente voltare pagina. Come è emerso anche dai dibattiti esistono risorse naturali, capacità e volontà per scrivere pagine nuove di questo territorio. Questa terra e questi giovani meritano classi dirigenti che sappiano valorizzarli al meglio. Un esempio di buona amministrazione e valorizzazione del territorio è senza dubbio il sindaco leghista di Cassano Irpino Salvatore Vecchia. La Lega ha raggiunto,alle ultime elezioni, nel piccolo comune altoirpino, una percentuale di consenso che ha superato il 60%. Da qui la scelta di chiudere la manifestazione leghista proprio a Cassano. Ormai la Lega è stata sdoganata anche al sud e la sua proposta politica raccoglie un consenso notevole anche a due passi da casa di Ciriaco De Mita. I leghisti irpini sono già in campo per l’imminente sfida delle prossime regionali convinti che un certo sistema di potere e certe logiche di gestione che hanno per decenni soffocato le migliori energie di questa terra possa essere finalmente travolto ed archiviato da una proposta politica seria e concreta.

Autonomia differenziata: avviata dal PD che ora grida alla “secessione mascherata”

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Si parla molto, da mesi, del regionalismo differenziato e se ne parla, da parte delle opposizioni, in modo intenzionalmente confuso e fuorviante, nell’intento palese di montare polemiche, spaventare i cittadini delle regioni del sud Italia e tentare, in tal modo, di arginare la crescita della Lega al sud.

Il tema del regionalismo differenziato è stato, da più parti, evidentemente strumentalizzato e distorto.

E’ doveroso, perciò, tentare di far chiarezza su alcuni punti: l’autonomia regionale differenziata non è affatto una secessione mascherata come alcuni vorrebbero far credere.

Per comprendere come nasce e si sviluppa ed inquadrare correttamente il tema, occorre fare un passo indietro e ricordarne anzitutto la genesi.

Ossessionati dal nazionalismo fascista (contrario alle autonomie locali, al punto di subordinare anche gli istituti comunali alla tutela dello Stato centrale), i Padri Costituenti vollero frazionare il potere centrale: di qui il Titolo V della Costituzione.

Per questa ragione, secondo lo storico Claudio Pavone, “la Resistenza è stata pressoché unanime nel rivendicare decentramento e autonomie locali”. Originariamente, dunque, il progetto politico federalista, sembra debba essere inquadrato nella cornice del tanto attualmente sbandierato “antifascismo”.

L’autonomia differenziata, per le regioni a statuto ordinario, nasce, però, dalla lettera dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione introdotto con la riforma del titolo V (che prevede la possibilità per le regioni con i bilanci in ordine di chiedere l’assegnazione di maggiori competenze rispetto a quelle previste normalmente per le ragioni a statuto ordinario), approvata da una maggioranza di centrosinistra nel 2001 e, fortemente, voluta da D’Alema.

Va detto, inoltre, che in materia il dossier da cui è partito il lavoro dell’attuale Governo è quello firmato dal Governo Gentiloni (PD) che, nel 2018, 4 giorni prima delle elezioni politiche, sottoscrisse con la Lombardia, il Veneto ed Emilia Romagna gli accordi preliminari dell’autonomia differenziata (che individuavano i principi generali, i metodi e un primo elenco delle materie oggetto dell’autonomia).

Dunque, se di “secessione mascherata” il PD vuole davvero parlare, abbia l’onestà intellettuale di riconoscere che tale misura è stata voluta e avviata da D’Alema prima e da Gentiloni poi.

In verità pregiudizi e timori in tema di autonomia regionale nascono da un equivoco di fondo, ovvero dalla proposta avanzata dalla regione Veneto, ma mai approvata, di trattenere il cosiddetto “residuo fiscale”. Di qui il timore che l’autonomia concessa alle regioni economicamente in salute e quindi con maggior gettito fiscale, possa ridurre le tasse normalmente redistribuite a livello nazionale, e, per l’effetto, ridurre le risorse a disposizione delle regioni economicamente più in difficoltà, cioè le regioni del Sud.

In merito, va chiarito, in primo luogo e una volta per tutte, che è stata esclusa l’opzione (chiesta da Lombardia e Veneto) di parametrare gli standard di finanziamento dello Stato alla “capacità fiscale” di ogni territorio. In tal caso le regioni più ricche avrebbero avuto margini di spesa più generosi e livelli di servizio maggiori a scapito delle meno ricche. Ma, sia chiaro, di tale meccanismo nel testo delle intese non c’è traccia!

Questo è lo spauracchio cavalcato da chi ha interesse a fomentare ansia e avversione verso una misura che, invece, punta a responsabilizzare gli amministratori regionali e, di conseguenza, anche gli stessi cittadini che sono chiamati ad eleggerli e comporta, unicamente, che la gestione delle risorse “ora spese” per le materie su cui le Regioni possono chiedere autonomia, sia affidata direttamente a quelle Regioni che ritengono di poter gestire tali risorse con maggiore efficacia e rapidità rispetto all’azione statale, con superamento di sprechi e inefficienze.

Per chiarire perchè l’autonomia differenziata non danneggerà le regioni del sud, è sufficiente fare luce sul criterio secondo il quale saranno assegnate le risorse che corrisponderanno alle nuove competenze trasferite a quelle regioni che ne faranno richiesta: nel programma dell’attuale Governo, il criterio in questione è quello della “spesa storica” o del “costo storico” (in base al quale lo Stato destinerebbe alla Regione richiedente lo stesso ammontare di risorse, senza variazioni, sia per il bilancio statale che regionale. Lo Stato, in altri termini, assegnerebbe alla regione quanto già spendeva in precedenza per quella determinata competenza, con un calcolo riferito all’anno di approvazione definitiva della richiesta inoltrata dalla Regione).

Ed infatti, nelle intese sottoscritte con le regioni, si fa riferimento, per i primi 5 anni, al trasferimento del “costo storico” da parte dello Stato e, per il secondo quinquennio, si prevede di passare al criterio del “costo standard dei servizi”: con dei decreti Palazzo Chigi, dopo un complesso lavoro tecnico, dovrà individuare il cosiddetto “costo efficiente” di quelle funzioni assegnate ad ogni Regione. Il finanziamento garantirà la copertura di quel costo.

Una volta definiti i fabbisogni standard, il criterio di assegnazione delle risorse diventerebbe, appunto, quello del costo standard, che potrebbe anche (attenzione) essere più elevato rispetto al “costo storico corrente”.

In ogni caso va detto che la definizione di questi parametri sarebbe affidata a un comitato cui parteciperebbero “tutte le regioni”.

Ne consegue che, chi nel primo quinquennio non sarà in grado di produrre risultati, ma sperpererà le risorse sarà penalizzato successivamente. E’ forse questo a spaventarci?

Il servizio pubblico “oscura” le Universiadi

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Il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio ,il presidente della Regione Campania , il sindaco di Napoli erano presenti ieri sera allo stadio San Paolo, assieme ai 9.300 atleti e delegati di 128 Paesi ( compresa la Corea del Nord) e ad un foltissimo numero  pubblico, alla cerimonia di chiusura delle Universiadi che si sono svolte nella città partenopea dal 3 al 14 luglio 2019.

Una cerimonia spettacolare con danzi e canti di alcuni paesi in una scenografia di grande suggestione con un Vesuvio fatto di effetti luminosi di vari colori.  E non poteva mancare “O sole mio” cantato da un tenore giapponese e da una soprano italiana.

C’era da aspettarsi la trasmissione in diretta su un canale della Rai, che lo ha fatto per le cerimonie di chiusura di tutte le Olimpiadi. In eurovisione.

Ma non ci sono state: Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rai 4, Rai 5, Rai Movie, Rai Premium, Rai Gulp, Rai Yoyo,Rai News 24 e Rai Storia trasmettevano i loro programmi di film, sceneggiati, talkshow, notizie, documentari e cartoni animati. Come  se alla stadio San Paolo di Napoli non si svolgesse una cerimonia di interesse mondiale.

Non fosse stato per la tv locale Canale 21 nessun telespettatore l’avrebbe vista.

Penso che i responsabili del servizio pubblico dovrebbero vergognarsi e chiedere scusa alla città di Napoli.

*premio internazionale di giornalismo civile