sabato, Dicembre 28, 2024
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Il piano di edilizia sanitaria di De Luca è un atto dovuto. Altro che rivoluzione

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Fatta passare per una grande, unica ed innovativa iniziativa politica dell’attuale governo regionale, quella del Piano di Edilizia Sanitaria annunciata dal Presidente De Luca, non  è altro che un atto dovuto. Per giunta fortemente tardivo, per molti versi poco comprensibile e contraddittorio in talune scelte e piuttosto “sbilanciato” su determinate aree geografiche della nostra regione. Ma è  un provvedimento  certamente necessario, se si tiene conto che il precedente Piano di Edilizia Ospedaliero fu approvato dal Consiglio Regionale “soltanto” nel Dicembre del 2000.

Predisposto nel corso della Legislatura regionale (1995-2000) a guida Centro Destra, il cosiddetto Piano Rastrelli fu elaborato e curato nei minimi dettagli dall’indimenticabile e competente Presidente della 5° Commissione Permanente “Sanità e Sicurezza Sociale” del Consiglio Regionale della Campania, On. Antonio Cantalamessa. “Tonino”, come lo chiamavano affettuosamente gli amici, volle predisporre ed attivare un’ampia e qualificata “concertazione istituzionale” che vide confrontarsi per alcuni mesi Associazioni di categoria, Ordine dei Medici, dei Veterinari e dei Biologi, dei Sindacati, i vertici amministrativi e sanitari delle Asl della regione, della Sanità privata e convenzionata, La Croce Rossa Italiana e le Associazioni di Volontariato. Tutti insieme, in un clima collaborativo e partecipativo, per individuare e razionalizzare la spesa necessaria per quegli Ospedali e strutture sanitarie territoriali che necessitavano interventi edilizi urgenti di manutenzione straordinaria/ripristino funzionale/riqualificazione strutturale, oltre ai necessari lavori di adeguamento antisismico e per la sicurezza dei luoghi di cura in Campania. Lavori ormai datati, ma portati a termine per tempo e con evidenti risultati di rinnovata efficienza e funzionalità delle strutture sanitarie individuate.

Nessun trionfalismo è giustificato, dunque. Tanto per il colpevole ritardo cui si procede all’approvazione del Piano e quanto perché l’adozione di un Piano di Edilizia Sanitaria rientra nella Ordinaria Amministrazione di un Ente Programmatorio (la Regione) che avrebbe piuttosto dovuto, tempestivamente  ed efficacemente, porre in essere una robusta e puntuale  programmazione degli interventi edilizi necessari e urgenti. In tal modo monitorando le “situazioni di crisi” ed evitando, come al contrario è avvenuto,  di rimanere inerti ad assistere al progressivo depauperamento delle strutture sanitarie o, peggio ancora, al disfacimento di un patrimonio pubblico essenziale.

Cosa è accaduto nel frattempo? Perché si è atteso tanti anni per programmare un nuovo Piano di Edilizia Sanitaria che tenga conto delle attuali necessità di intervento  di riqualificazione o sostituzione  edilizia? Perché si è lasciato marcire il patrimonio immobiliare della Sanità campana che da Napoli alle altre Province versa in condizioni davvero scandalose e molto spesso pericolose per la sicurezza e la salute dei pazienti?

In prima battuta ci verrebbe da dire: per mera strafottenza ed incapacità degli addetti ai lavori. Elementi questi non trascurabili nella individuazione dei motivi di tale sfascio. Ma il principale responsabile di questa vergognosa situazione, a nostro avviso, è riconducibile alla gestione personalistica e clientelare posta in essere dalle Giunte di Centro Sinistra che hanno governato la Regione e  quindi la Sanità campana negli ultimi 10 anni. Il fatidico “decennio d’oro” di Bassolino e Montemarano ha visto i Bilanci della Sanità pubblica  “ingoiare” debiti spropositati e scelte politiche imbarazzanti:

  • nessun provvedimento di rilievo a favore della Sanità pubblica;
  • chiusura di Ospedali e conseguente taglio di posti letto;
  • forte sbilanciamento delle politiche di assistenza a favore della Sanità convenzionata;
  • interesse esclusivo finalizzato alla individuazione di reparti ospedalieri fantasma (esistenti solo sulla carta) per il conferimento di primariati o Responsabili di “moduli” di dubbia utilità;
  • costituzione di una “nomenclatura” asservita e consenziente nelle Asl come negli Ospedali della regione, con Dirigenti Medici e Amministrativi spesso inadeguati e carenti dei titoli professionali richiesti dalle normative vigenti.

Questo scenario di “trasparenza ed efficienza” ha gestito per troppo tempo il Servizio Sanitario Nazionale in Campania, lasciando sul campo una moltitudine di episodi di Malasanità e disastri finanziari inenarrabili. Quei disastri finanziari che hanno impedito per ben 15 anni di programmare adeguatamente il futuro della Sanità pubblica in questa parte cospicua del nostro Mezzogiorno. Buchi di bilancio spaventosi che hanno prodotto, tra l’altro, il blocco dei finanziamenti statali per eccesso di debito. In tal modo azzerando le risorse per  l’edilizia sanitaria destinate alla Campania, a partire  dai primi anni 2000 e vanificando anche l’opportunità di procedere a nuovi investimenti in attrezzature e nuove tecnologie diagnostiche per i nostri istituti di cura.

Una situazione paradossale che ha impedito, tra l’altro,  che si bandissero nuovi concorsi pubblici nel Servizio Sanitario campano, a scapito della qualità dell’assistenza ai cittadini e con la fuga in altre regioni o all’estero dei giovani studenti delle professioni sanitarie sfornati dalle nostre Università.

Un disastro annunciato che ha inciso anche e soprattutto sulle famiglie campane per l’odiosa imposizione dei Ticket sulle prestazioni diagnostiche, visite specialistiche e acquisto dei farmaci.

Potremmo continuare ancora a lungo nella elencazione delle nefandezze e degli arbìtri perpetrati a danno dei cittadini napoletani e campani. Ma quel che riteniamo sia di tutta evidenza, è la responsabilità innegabile di una parte politica che ha governato questa regione in spregio ad ogni regola di buon senso e di corretta gestione della cosa pubblica. Una parte politica a cui, volente o nolente, il Presidente De Luca appartiene a pieno titolo.

Salute a rischio per carenza di medici specialisti

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In Italia finalmente si prende atto che tra i vari problemi che affliggono la sanità uno dei più impellenti è la mancanza di medici specialisti, negli ospedali circa ottomila in meno e almeno duemila nei pronto soccorso. Carenze si riscontrano anche nell’assistenza del 118 in tutte le regioni, con organici insufficienti per medici, rianimatori ed infermieri.

Le cause di questo collasso vengono da lontano e sono frutto delle politiche sanitarie scellerate iniziate negli anni ottanta con l’introduzione del numero chiuso a medicina, dei pochi posti messi a disposizione degli specializzandi, cause che sommate a assenza di turnover, crisi economica, blocco dei finanziamenti al sistema sanitario nazionale hanno determinato, particolarmente nel periodo estivo, una vera emergenza.

Altri due fattori poco conosciuti ed approfonditi contribuiscono all’emergenza di oggi e sono la fuga dei laureati all’estero, esodo oramai continuo, con perdite economiche notevoli per il Paese, tenuto conto che ogni laureato in medicina costa alla Nazione circa 250mila euro e l’applicazione, in particolare dei chirurghi, di una medicina difensiva per i troppi ricorsi e processi a cui sono sottoposti senza adeguata protezione da parte dell’Ordine Professionale.

In alcune regioni si stanno richiamando in servizio medici in pensione, altri pensano di utilizzare in ospedale i medici militari, chiaramente soluzioni tampone che non risolvono il problema.

Basterebbe invece ampliare la platea degli specializzandi, favorire il turnover, incentivare il ritorno di chi ha scelto di esercitare, spesso costretto, all’estero la professione, tutelare i professionisti nei contenziosi giudiziari ponendo fine al clima da caccia alle streghe nei riguardi di chi, pur esercitando la professione con perizia e diligenza, si vede infangato e accomunato a pochi cialtroni che dileggiano l’arte di Ippocrate con grave danno per i cittadini.

Per garantire dei livelli minimi di assistenza bisogna intervenire subito, con la salute e la pazienza dei cittadini non si deve scherzare.

Nomine dei Direttori Generali: De Luca in continuità con Bassolino

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Le 14 nomine dei DG di ASL ed Aziende Ospedaliere effettuate nei giorni scorsi dal Presidente De Luca rispondono esclusivamente alla loro appartenenza e fedeltà politica nel segno del più avvilente “continuismo”. Molti di essi rivestono tale ruolo dai tempi della giunta Bassolino e, nonostante siano tra i responsabili dello sfascio della sanità campana, sono sempre pronti a cambiare bandiera pur di gestire il loro potere. Gli incarichi assegnati, a cui seguiranno quelli dei Direttori Sanitari ed direttori Amministrativi, sono ritagliati su misura per la nuova campagna elettorale regionale  de De Luca.
La politica deluchiana controlla la sanità come fosse un proprio feudo ed è questa, insieme alla marea di soldi per la ristrutturazione degli ospedali – e tanto pubblicizzati dal governatore – pari a più di un miliardo di euro, sono una delle ragioni più forti per cui il sistema sanitario regionale è ammalato al di la’ dei proclami.
La giunta regionale ha carta bianca nel nominare i direttori generali delle Asl, i quali a loro volta scelgono i direttori sanitari e amministrativi, nonché le commissioni che selezionano i primari.
Il meccanismo procede a valanga, dall’alto fino agli ultimi ranghi, per occuparsi persino delle di “collocare” infermieri, oss ed autisti.
Le ultime nomine dimostrano che la discrezionalità è stata usata per effettuare scelte basate sulla fedeltà politica più che sulla competenza.  La partita è importante perciò nessun mezzo è risparmiato, dagli incarichi assegnati ad interim, alle selezioni effettuate su criteri fantasma, alle commissioni incredibilmente attratte dai predestinati. Così le reti di fedeltà politica si trasformano in sistemi di corruzione che decidono carriere e destinazione delle risorse pubbliche.
Campania Sanità attiverà tutti i suoi sensori sui territori per cogliere e denunziare, a tutti i livelli, criticità ed illegalità che una classe di dirigenti organici alla politica porrà inevitabilmente in essere per restituire alla politica stessa i cospicui vantaggi ottenuti con lo status di manager apicali
La salute dei cittadini va tutelata a tutti i costi .
Noi saremo dalla loro parte, in attesa del cambiamento che, ci auguriamo , gli elettori vorranno determinare.

Decreto sicurezza bis: cosa prevede

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Il 5 agosto scorso, finalmente, il “Decreto sicurezza bis” (approvato l’11 giugno dal Consiglio dei ministri) ha ricevuto via libera da parte del Senato per la conversione in legge, con 160 voti favorevoli, 57 contrari e 21 astenuti. Sulla votazione, il Governo aveva posto la questione di fiducia.

Un successo per il leader della Lega soprattutto sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina ed al traffico di esseri umani.

I senatori di Forza Italia, pur presenti in aula, non hanno partecipato al voto, mentre i senatori di Fratelli d’Italia hanno deciso di astenersi, determinando, secondo il nuovo regolamento del Senato, un abbassamento del quorum. Quanto al Movimento 5 stelle, alla fine, i dissidenti sono stati solo 5.

Il Prossimo passo sarà la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

Il decreto, che si compone di 18 articoli ( di cui i primi 5 dedicati al soccorso in mare), prevede non solo un inasprimento delle misure per contrastare il traffico di esseri umani e l’immigrazione clandestina, ma anche maggiori tutele e risorse per gli operatori delle Forze dell’Ordine, nonchè misure più severe in materia di gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni pubbliche e quelle sportive.

Vediamo quali sono, in sintesi, le principali novità:

Porti chiusi

L’art. 2 del Decreto attribuisce in particolare al Ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca (escluse, dunque, quelle militari e governative) nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica” e, comunque, quando si ritiene sia stato violato il testo unico sull’immigrazione o sia stato compiuto il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

In caso di violazione del suddetto divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali,  il Decreto prevede, per il capitano della nave, sanzioni pesantissime che vanno da un minimo di  150mila euro sino ad un milione di euro,  nonchè il sequestro della nave stessa.

Per il capitano della nave è previsto, poi, anche l’arresto in flagranza nel caso in cui incorra nel “delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra”.

Vengono stanziati, inoltre, nuovi fondi per il contrasto all’immigrazione clandestina:  500mila euro per il 2019, un milione di euro per il 2020 e un milione e mezzo per il 2021.

Prima conseguenza dell’approvazione del decreto sicurezza bis è stata la notifica alla nave ONG Open arms del decreto di divieto di ingresso in acque italiane firmato dai ministri Salvini, Trenta e Toninelli.

Maggiore tutela e risorse  per gli operatori delle Forze dell’Ordine

L’articolo 6 del Decreto sicurezza bis introduce nuove fattispecie delittuose, trasformando alcune condotte che sino ad ora integravano contravvenzione in delitti ed inasprendo le relative pene.

Ad esempio sarà punito con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque nel corso di manifestazioni, per opporsi a pubblico ufficiale utilizzi scudi o materiali imbrattanti, inoltre  “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.

Vengono rese più severe anche le pene per chi compie “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, “resistenza a un pubblico ufficiale”, “violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti”, “devastazione e saccheggio”, “interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità”.

Pene più severe anche in caso di oltraggio a pubblico ufficiale e oltraggio a un magistrato in udienza, di resistenza a pubblico ufficiale e di oltraggio a pubblico ufficiale commessi nell’esercizio delle loro funzioni.

Il Decreto stanzia, inoltre, maggiori risorse per Forze di Polizia, Forze armate e Vigili del fuoco, anche per il ricambio delle divise e l’aumento dell’importo dei buoni pasto.

All’articolo 4 è previsto, poi, anche uno stanziamento di 2 milioni di euro, per il triennio 2019-2021, per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Infine, viene avviata la sperimentazione del “taser” anche per la polizia locale.

Misure più severe in tema di gestione dell’ordine pubblico

Negli articoli da 6 a 18, vengono introdotte nuove fattispecie delittuose in tema di gestione dell’ordine pubblico durante le pubbliche  manifestazioni e cortei, nonchè durante le manifestazioni sportive.

Vengono inasprite le pene per chi durante manifestazioni e/o cortei utilizzi caschi o altri accessori che impediscano l’identificazione della persona: l’arresto viene elevato da 2 a 3 anni e l’ammenda da 2 a 6mila euro.

Il Decreto introduce, inoltre, una nuova fattispecie delittuosa per punire con la reclusione da 1 a 4 anni chi durante pubbliche manifestazioni o cortei utilizzi razzi, petardi, fuochi d’artifico o altro che possa costituire pericolo  per l’incolumità dei partecipanti o faccia utilizzo di mazze bastoni bastoni o altri oggetti contundenti o comunque atti ad offendere.

Vengono inasprite, infine, le sanzioni relative ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico: coloro che causino un concreto pericolo per l’integrità delle cose sono puniti con reclusione da sei mesi a due anni, mentre viene prevista la reclusione da 1 a 5 anni per la nuova fattispecie di “danneggiamento compiuto durante le manifestazioni”.

Manifestazioni sportive

Il Decreto opera un giro di vite anche contro la violenza negli stadi ed in genere durante le manifestazioni sportive.

Viene introdotto un Daspo più severo per gli ultras recidivi : il divieto di accesso alle manifestazioni sportive è esteso anche alle manifestazioni sportive che si svolgono all’estero e non sarà inferiore a 5 anni; viene poi prevista la reclusione da 6 mesi a 5 anni per chi commette atti di violenza o minaccia gli arbitri e gli altri soggetti chiamati ad assicurare la regolarità delle competizioni sportive.

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La prescrizione. Un modo di intendere il mondo

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Conosciamo due modi di interpretare il processo.
Con il primo, l’imputato nel processo è ormai solo un colpevole in attesa di conoscere quale pena dovrà scontare.
Con il secondo, l’imputato è, invece, un normale cittadino assistito dalla garanzia costituzionale della presunzione di innocenza con la consapevolezza che solo al termine del processo, sarà lo Stato a dover dimostrare che egli deve essere punito perché oltre ogni ragionevole dubbio, è colpevole dei fatti contestatigli.
Due modi, quindi, totalmente diversi di interpretare la giustizia dello Stato ed il mondo in cui scegliamo di vivere.
Due modi completamente agli antipodi di intendere la vita ed i suoi valori di civiltà.
Da una parte, i giustizialisti assetati di vendetta, dall’altro, la gente semplice che, parafrasando Kafka, non vuole difendersi da un processo con stanze infinite ma desidera essere sottoposto ad un processo giusto con una sola stanza e regole ben precise.
La prescrizione rappresenta, pertanto, un indizio fondamentale per comprendere in quale Stato si decide di vivere.
Per chi propugna la giustizia punitiva ad ogni costo, tutti i cittadini coinvolti in una potenziale indagine, anche se “intercettati a strascico”, nel tentativo di smascherare un possibile disegno criminoso, anche lieve, sono tutti già colpevoli e lo Stato, con i suoi tempi, anche infiniti, dovrebbe scoprire quale reato abbiano commesso.
Non importa se essi hanno un lavoro, una professione, una famiglia, amici o genitori anziani.
Devono attendere che lo Stato li giudichi colpevoli e li condanni.
Senza tempo.
 E senza poter contare sulla ragionevole durata del loro processo.
Un pensiero abominevole che ha trovato nel dottor Davigo, magistrato conosciuto per aver fatto parte del pool di mani pulite e che oggi siede al CSM, un serio sostenitore, dopo aver trovato una importante sponda nei neo giustizialisti pentastellati, ammesso e non concesso che sia proprio lui il vero ispiratore.
Per questi, la prescrizione dovrà trovare la sua naturale  interruzione già alla fine del primo grado del giudizio con il paradosso, tutto frutto di un dilettantismo populista, che una tale stortura andrebbe applicata sia quando il cittadino è stato dichiarato colpevole ma anche quando sia stato giudicato non colpevole.
Niente, in questi casi, egli dovrà attendere i comodi della giustizia italiana per vedere (forse)  nuovamente immacolata la sua posizione di buon contribuente.
Nelle more, ricevendo il pessimo trattamento (ad esempio per l’iscrizione in albi, concorsi pubblici, rilascio documenti ) che lo Stato riserva giustamente al cittadino che ha pendenti dei carichi giudiziari ma, e qui sta l’ingiustizia, non é ancora colpevole.
Il dubbio che ci assale, ma si tratta di un’ipotesi molto vicino alla verità sostanziale,  è che buona parte di chi propugna la svolta giustizialista dell’interruzione della prescrizione ignori completamente di cosa stia discutendo.
D’altro canto, dai trascorsi lavorativi di un DJ e di un bibitaro che nemmeno è riuscito a laurearsi in giurisprudenza, non potevamo attenderci che essi conoscessero i principi fondanti la civiltà giuridica che nessuno mai al mondo aveva ancora messo in dubbio.
E se oltre venti anni sono ancora pochi per giudicare un imputato, a tanto possono arrivare i termini di prescrizione, l’augurio è che non ci finiate voi nelle maglie della giustizia ingiusta.
Fa male, molto male.
E lascia il segno, un segno indelebile e costoso, soprattutto se sei estraneo al reato di cui ti si accusa e sei stato costretto a trascorrere un terzo della tua vita a difenderti e vergognarti di essere nato.
La riforma andrà in vigore nel 2020 con la riforma del processo penale.
Sarebbe sufficiente questo solo dato per chiedere alla Lega di lasciare che il governo affoghi da solo in questa inciviltà populista e retrograda.
Un innocente lo è sempre.
Fino a sentenza definitiva di colpevolezza.

Bibbiano e Corinaldo sono frutto dello sfascio della famiglia

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Due gravissime vicende di cronaca nera hanno, sia pure per motivi ed origini diverse, profondamente turbato  gli italiani per il malessere profondo che hanno fatto emergere: la strage di Corinaldo e gli “affidi” di Bibbiano.
In un caso abbiamo scoperto che alcuni i giovanissimi squallidissimi delinquenti (ma quanti ve ne sono in tutto il Paese?) “sparavano” degli spray al peperoncino per scatenare il panico fra i giovani frequentatori di discoteche ed approfittare della situazione per rubare tutto quanto la situazione di estremo pericolo da loro creata metteva a disposizione.
Viene da chiedersi in quali famiglie abbiano vissuto, in quali scuole abbiano studiato, chi siano i loro “educatori” forse solo i vari “Sfera Ebbasta” con i loro rap e trap (che è un orrore definire generi musicali) con i loro testi che veicolano messaggi di squallore morale assoluto, violenza e degrado che finiscono per diventare punti di riferimento per i giovani ai quali nessuno più fornisce un vero progetto di vita. In questo stesso contesto s’inserisce la droga che, “leggera” o “pesante” che sia, esalta ed amplifica ogni possibile deviazione.
A Bibbiano (punta di un iceberg che riguarda tutta l’Italia) le ricostruzioni degli inquirenti sottolineano come un’associazione “per delinquere” formata da politici, funzionari  pubblici, psicologi, psichiatri ed assistenti sociali sottraeva, approfittando di situazioni di disagio familiari, rubava, sequestrava, di fatto rapinava i bambini ai genitori per darli in affido ( a pagamento ?) a famiglie che li avevano “commissionati”, giungendo a creare “prove” di abusi sessuali, costringendo in qualche caso i bambini a dichiarare il falso contro i propri genitori, anche con l’impiego di torture con stimolazioni elettriche.
Un’Italia di mostri dunque, un’Italia che si è formata, giorno dopo giorno grazie alla subcultura veicolata da una sinistra che, abbandonando il campo della difesa dei più deboli, si è schierata a difesa dei “vizi” della borghesia a favore delle droghe, a favore dei “diritti” degli omosessuali, del loro presunto diritto di adottare figli, addirittura di costruirli in provetta con mostruosità come gli uteri in affitto ecc., con il relativismo morale ad ogni livello teso a distruggere la famiglia vista come un ostacolo da abbattere per creare una società globalizzata senza identità, culture, differenze, di cui le teorie Lgbt costituiscono la piattaforma culturale delle nuove generazioni.
Dallo sfascio della famiglia nascono i mostri di Corinaldo, ma anche i giovani che si annoiano nelle discoteche e si “sballano” con alcol e droga; dallo sfascio dei valori e dalla asserita “superiorità antropologica” di una élite criptocomunista nascono i Mostri di Bibbiano.
Un’altra Italia davvero c’è stata e noi dobbiamo ricostruirla insieme a quanti operano per restituire alla famiglia il suo ruolo centrale nella Comunità nazionale, per la tutela della cultura e delle identità, la difesa delle frontiere, insieme a chi vuole ricostruire una scuola che fornisca valori alle giovani generazioni.
Bisogna ricostruire l’Italia dopo decenni di devastazioni.
Noi ci siamo.

In Friuli sulle tracce degli eroi che hanno reso possibile l’Italia

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Erano anni che ci pensavo, devo andare a visitare i luoghi dove si svolsero le battaglie della I guerra mondiale, quelle battaglie che tanti anni fa il nonno paterno mi faceva rivivere nei suoi racconti di Cavaliere di Vittorio Veneto.
Sotto un albero nel cortile della sua casa in campagna con il bastone tracciava nel terreno trincee, capisaldi direttrici d’attacco, ma sempre tutti i giorni accennava ad una trincea particolare sul Monte San Michele dove lui resto’ ferito da una granata austriaca e il cagnolino portafortuna della sua squadra sventrato. Ci sono posti che nella vita almeno una volta devi visitare se ti emozioni quando senti l’inno di Mameli e se la tua bandiera e’ il tricolore.
Uno di questi posti e’ sicuramente il Friuli Venezia Giulia dove nello spazio di pochi chilometri sono racchiusi i ricordi di una memoria li ancora fortemente presente e radicata. Il mio viaggio inizia a Redipuglia dove ai piedi del mausoleo ho la sensazione di vedere sotto ai Presente scritti su tutte le tombe i volti di quei soldati che sorridono ai visitatori, l’imponenza della struttura determina uno stato di commozione che si scioglie in un breve pianto liberatorio allorché all’interno del museo annesso il custode mi chiede da dove venissi ed io di rimando rispondo “vengo da Napoli e sono qui per rendere onore a chi è caduto per la grandezza della Patria”; lui mi sorride e annuisce.
Il giorno dopo mi sono recato a Basovizza la cittadina vicino Trieste tristemente nota per la sua foiba; la sensazione che provo nel surreale silenzio che caratterizza quel luogo e’ indignazione profonda per i crimini li perpetrati, ma soprattutto per il negazionismo durato fino a pochi anni fa.
Dopo Basovizza, tornando verso Gorizia attraverso il fiume Isonzo che più del Piave si bagno’ del sangue dei nostri soldati nella innumerevoli battaglie che si svolsero sulle sue sponde. Attraversato l’Isonzo mi reco nel paesino di Oslavia dove visito un altro mausoleo che contiene i resti di circa sessantamila soldati caduti su quelle montagne e scopro con stupore e commozione i tanti nomi di giovani meridionali li caduti per la Patria, ma sorpresa delle sorprese una monumentale tomba in cui si custodiscono le spoglie di un eroico generale, Achille Papa medaglia d’oro e d’argento al valor militare.
Il giorno dopo, nonostante le proteste di mia moglie, la trascino letteralmente su quello che era il vero luogo che volevo visitare: il monte San Michele.
Salgo lungo le pendici del monte e mi imbatto in un cartello che recita itinerario storico: Trincea delle Frasche. Mi iniziano a tremare le gambe dall’emozione e inizio il percorso,mi ritornano alla mente i racconti del nonno e vedo nel mio immaginario: soldati, cannoni, feriti, scoppi,morti… ed allora mi viene da pensare che un’altra Italia e’ esistita veramente.

Un miliardo e ottantatre milioni per l’edilizia sanitaria nel segno del Vicerè

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Un miliardo e ottentatre milioni di finanziamento per l’edilizia sanitaria regionale, tanti soldi, santi e attesi da oltre un decennio. Puro ossigeno per la nostra sanità con le sue strutture collassate per vetustà, scarsa manutenzione e mancato adeguamento tecnologico e strutturale. Basti pensare che dal 1980, anno di costruzione del Ruggi di Salerno, ad oggi ( 40 anni!) l’unica struttura ospedaliera costruita e degna di essere definita tale è l’Ospedale del Mare, finito ed aperto all’utenza durante la presidenza Caldoro ed entrato a regime a dicembre 2018.  Ma a guardare le opere previste ed i relativi costi ed impegni di spesa appare evidente che la provincia di Salerno col 18% della popolazione (1.080.000 abitanti su 5.800.000 della regione Campania) beneficerà del 33% di tutto il finanziamento per 364 milioni complessivi, di cui 330 destinati solo alla città di Salerno per il rifacimento del Ruggi, a cui devono aggiungersi i 18 milioni per l’ospedale di Pagani e i 16 milioni per quello di Eboli. Uno sbilanciamento frutto del metodo “Cicero pro domo sua” senza supporto di alcuna analisi dei fabbisogni e che trova similare impostazione anche per quanto riguarda la richiesta relativa alla deroga per i punti nascita di Sapri e Polla (ancora la provincia di Salerno, guarda caso) che è stata bocciata dal ministero della Salute per il semplice fatto che la richiesta manca ( ci risiamo!) del necessario sostegno dello specifico documento di programmazione formulato a cura della regione Campania

Una strage dimenticata

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La mattina del 29 luglio 1983 i palermitani cominciarono la loro giornata con la solita carica di ottimismo con cui affrontano le difficoltà della vita, mai immaginando che alle 8 e 35 di quella caldissima giornata sarebbe accaduto in via Pipitone un fatto sconvolgente.
Il Procuratore Capo della Repubblica di Palermo Rocco Chinnici venne dilaniato dall’esplosione dell’autobomba imbottita di tritolo  e la stessa orrenda fine fecero i due agenti della scorta ed il portiere dello stabile dove abitava il magistrato.
Una esplosione assordante e una fiammata accecante, simile a una eruzione vulcanica, straziarono i loro corpi. Saltarono in aria altre auto e il palazzo subì gravi lesioni.
Dietro l’autobomba, che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico e anche una giustizia sonnolenta.
Quando divenne Procuratore di Palermo ideò il pool antimafia nel quale chiamò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e istruì il primo maxi processo alla mafia che terminò dopo la sua morte con pesanti condanne a centinaia di mafiosi.
Aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia.
E la mafia lo fermò.
Lo voglio ricordare con le parole che pronunciò un giorno nell’aula magna di un  liceo di Palermo:
 “Sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare contro lo spaccio della droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e di guadagno più importante. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani. Il rifiuto della droga costituisce l’arma più potente dei giovani contro la mafia”.
Un tema di drammatica attualità.

Il “mini Pdl” che porterà Fratelli d’Italia al centro

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L’operazione “mini PDL” annunciata dalla Meloni in occasione dell’ultima assise nazionale del suo partito è in pieno svolgimento.
Le voci dello sfaldamento definitivo di Forza Italia, con l’ennesimo azzeramento da parte del padre padrone del vertice da egli stesso nominato appena pochi giorni fa, hanno determinato un vero e sembra definitivo terremoto.
Toti annuncia la sua uscita per dar vita ad un non meglio precisato partito di centro, mentre l’altra “vice” Mara Carfagna per la prima volta manifesta la sua insofferenza e convoca, secondo notizie di stampa, una ventina di deputati in un ristorante romano per un progetto autonomo.
Altre indiscrezioni di stampa informano delle operazioni di Crosetto che, per conto della Meloni, starebbe trattando l’ingresso, a vele spiegate, della stessa deputata salernitana, oggi vice presidente della Camera, in FDI insieme ad un folto gruppo di deputati, senatori, consiglieri comunali e regionali, Sindaci.
Al momento non è dato di sapere se le indiscrezioni troveranno o meno conferma in decisioni formali, ciò che va sottolineato è che FDI, rinnovando il tragico errore di Fini, tenta di abbandonare la sua area politica e culturale di nascita e che ha fin qui (ma sempre meno) ha giustificato la sua stessa nascita ed esistenza, per collocarsi verso il centro, visto che non ha avuto la forza e la coerenza di restare fedele alle sue sempre più compromesse radici.
Non v’è dubbio che le nuove eventuali “acquisizioni” di origini democristiane, socialiste e forziste dopo breve tempo pretenderebbero “correzioni” di linea politica costringendo i meloniani a rinunciare definitivamente ad ogni riferimento alla storia ed ai valori di riferimento, per collocarsi definitivamente nel perimetro del politicamente corretto, come peraltro è già accaduto in Europa dove Fdi è con i conservatori, distinto e distante dalle destre populiste e sovraniste europee.
Noi da tempo abbiamo deciso di seguire le idee, contenitori di valori  e non i partiti, ormai meri contenitori di interessi .
Chi come molti di noi è di formazione evoliana afferma, con il grande filosofo, che la “nostra Patria è laddove si combatte per le nostre idee”.
Altri hanno deciso un percorso per molti versi tanto simile a quello di Fini.
Carlo Marx scrisse che la Storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.