giovedì, Gennaio 9, 2025
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Crisi produttiva 2020

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Nei mesi scorsi, su queste pagine, avevamo ampiamente affrontato la incredibile vicenda della crisi aziendale della Whirpool di Ponticelli, evidenziando come, maldestramente, l’allora Ministro dello Sviluppo Economico (?) Luigi di Maio, si fosse fatto gabbare dai vertici della multinazionale americana, leader del settore degli elettrodomestici per la casa. Quest’ultima, infatti, senza colpo ferire e approfittando della debolezza e della impreparazione dell’interlocutore governativo, in poco meno di un anno, ricusava un accordo già sottoscritto con il Ministro pentastellato, mandando all’aria un progetto di riconversione e rilancio produttivo della fabbrica napoletana, siglato con eccessiva improvvisazione e assolutamente privo di garanzie di salvaguardia per lavoratori e sito produttivo.
Dopo aver registrato la cocente sconfitta e la clamorosa figuraccia planetaria, il “nostro” Ministro Di Maio “riparava” agli Esteri, lasciando il nuovo Ministro Grillino, Stefano Patuanelli, alle prese con una crisi industriale e occupazionale ormai divenuta incandescente.
Riprendevano, dunque, a Settembre dello scorso anno le trattative con i managers della Whirpool, riportando la complessa vertenza al “Tavolo di Crisi” del Ministero dello Sviluppo Economico. In quella sede Istituzionale si cercava, invano, di proporre iniziative e soluzioni puntualmente respinte al mittente. Tanto per la inadeguatezza delle proposte avanzate dal MI.SE, quanto per la consapevolezza che l’interlocutore pubblico manifestava scarsa autorevolezza ed evidenti carenze sul fronte complessivo delle strategie di politica industriale per il Mezzogiorno e non soltanto.
Prova ne sia e senza timore di smentite, se andiamo ad analizzare l’elenco interminabile (circa 160 aziende in crisi su tutto il territorio nazionale con altrettanti “tavoli” attivi al MI.SE) di crisi aziendali ancora aperte o, per meglio dire, irrisolte e tutt’ora al vaglio del Ministero dello Sviluppo Economico:
– BLUTEC (Termini Imerese);
– FERROSUD (Matera);
– JABIL ITALY (Marcianise CE);
– NATUZZI (Puglia e Basilicata);
– HEINZ PLASMON (Latina);
– PORTO INDUSTRIALE DI CAGLIARI (Sardegna);
– AUCHAN /SMA Grande Distribuzione (stabilimenti in Campania e altre regioni meridionali);
– POLI PETROLCHIMICI SICILIANI (Augusta e Gela) ;
– HONEYWELL (Atessa);
– ELETTROLUX (Stabilimenti in Lombardia e Nord Est);
– INVATEC (Brescia);
– PIAGGIO AEREO (Genova);
– FERRIERA DI SERVOLA (Trieste);
– C. M. C. (Ravenna);
– BEKAERT (Figline val d’Arno);
– MAHLE MOTORI TENOLOGIE DIESEL ( Saluzzo, Piemonte);
– BOSCH (Modugno BA);
– F. C. A. ex Gruppo FIAT (Stabilimento di Pratola Serra AV);
– VISMARA / FERRARINI (Castel Nuovo Monti RE);
– GRUPPO ARVEDI SIDERURGIA TRIESTINA (Trieste);
– STEFANEL (Treviso);
– CANDY/ HOOVER ELETTRODOMESTICI (Brugherio, Monza);
– LA PERLA GRUPPO TESSILE (Bologna);
– MERCATONE UNO (Tutti i punti vendita in Italia);
– UNILEVER GRUPPO ALIMENTARE (Sanguinetto VR e altri stabilimenti in Italia);
Tanto per citare i casi più recenti e alcune tra le più note aziende italiane in difficoltà che attendono un intervento risolutivo del Governo per uscire definitivamente dall’incubo della cessazione delle attività produttive e dallo stillicidio dei gravosi ammortizzatori sociali (per le finanze del Paese) e la conseguente perdita di posti di lavoro, a macchia d’olio, su tutto il territorio nazionale.
Naturalmente non va sottaciuta la annosa vertenza ALITALIA e la ancor più disastrosa vicenda di ALCELOR MITTAL (ex ILVA) che rappresentano, già da sole, la ciliegina sulla torta dell’incompetenza colpevole e dell’improvvisazione più manifesta del governo giallo-rosso.
Ma torniamo alla crisi Whirpool e al suo epilogo disastroso, tanto per l’economia meridionale e Campana in particolare, quanto per i malcapitati lavoratori dell’azienda napoletana che vedono allontanarsi, forse definitivamente, la speranza di un lavoro sicuro nell’azienda cui avevano tanto dato e tanto sperato in questi lunghi anni di attività, al riparo da crisi di settore e crisi di sistema. E già………perché la Whirpool non è una azienda decotta o non costruisce prodotti fuori mercato o tecnologicamente superati. Tutt’altro. La fabbrica di Ponticelli, passata per una recente ristrutturazione aziendale, produce attualmente lavatrici tecnologicamente avanzate e opera con maestranze professionalmente preparate e pronte a qualsivoglia introduzione di ancor più innovative tecnologie di produzione. Laddove fosse necessario per adeguarsi alle regole ferree del mercato.
Ma le logiche del mercato sono altra cosa rispetto alla logica del profitto. E la multinazionale americana, con cinismo disarmante, potendo sfruttare la situazione di assoluta inerzia, di “vuoto cosmico” e di palese inconcludenza dell’Esecutivo, ha puntato alla chiusura di uno stabilimento nel napoletano, per trasferire queste produzioni di eccellenza negli altri poli produttivi esistenti in Italia settentrionale o forse all’estero. Con buona pace dei lavoratori, delle conseguenze economiche e sociali in un’area particolarmente depressa del nostro paese, della crisi economica e occupazionale più feroce e perniciosa che si ricordi.
In questa tragica e inaccettabile situazione suona davvero stridente e inopportuno ogni altro appello delle forze di governo al corpo elettorale. Ogni altro proclama o impegno da disattendere nel prossimo futuro: dalla riforma della giustizia alla riduzione del cuneo fiscale; dal contrasto al fenomeno dell’evasione fiscale alla rescissione dei contratti per i concessionari delle linee autostradali italiane, passando per la crescita economica e l’occupazione. Possono riuscire nell’impresa coloro che non garantiscono neanche il mantenimento dell’occupazione nelle fabbriche in crisi? Possono avere credibilità forze politiche che conoscono un solo metodo per mettere una “toppa” alla crisi finanziaria del Paese? Pensiamo alla soluzione antica e abusata, delle sinistre, di applicare nuove tasse e nuove gabelle ai propri cittadini. Nuove tasse proprio come quelle programmate per il prossimo Luglio (SUGAR TAX e PLASTIC TAX) con la manovra di Bilancio 2020, che vedrà, senza ombra di dubbio, decine di aziende del settore in difficoltà con venti di crisi che già soffiano sulla nostra economia e che sono già stati annunciati dalle forze sindacali e imprenditoriali, pronte a dare battaglia ad un governo ormai “suonato”.
Ma su questo tema davvero allucinante, avremo modo di soffermarci prossimamente.

C A R L O L A M U R A

Giovani e politica: recuperare il senso della collettività

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Oggi parlare di politica con i ragazzi è diventato complesso, negli ultimi anni cresce sempre più un senso di sfiducia nei confronti di quest’importante istituzione, capita spesso infatti di ascoltare giovani adolescenti dire: “I politici sono tutti ladri”, oppure “la politica è una cosa sporca”. A causa di questa sfiducia diffusa nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una progressiva crisi di partecipazione alle strutture politiche tradizionali con conseguente impoverimento culturale e sociale delle generazioni più giovani, perché la politica è in primis conoscenza, competenza, dialettica, confronto, senza i quali è difficile sviluppare un pensiero critico e costruttivo sui problemi e sui processi storici e culturali nei quali siamo immersi.

Le promesse non mantenute, gli scandali, l’opportunismo, i giochi di potere, queste sono le ragioni per le quali regna lo scetticismo tra le nuove generazioni che sono diventate l’oggetto escluso da una politica e una cultura nate e cresciute in un mondo parallelo all’universo giovanile.

Le generazioni passate nel bene o nel male si sono trovate in contesti in cui l’indifferenza non era contemplata e hanno dovuto compiere scelte di campo, generazioni che hanno sognato, hanno sofferto, hanno lottato superando talvolta anche dei limiti ma sempre avendo a cuore un ideale, una meta, un obiettivo collettivo ancor prima che personale.

 Oggi è diffusa la percezione che la politica sia un qualcosa di inutile, superfluo, talvolta noioso e dannoso, senza capire che senza di essa sono proprio gli stessi giovani ad essere più danneggiati, e se si vuole coltivare una reale speranza di crescita, progresso e sviluppo sociale è soltanto mediante le leve della politica che si può ottenere qualcosa di buono per la collettività.

Se da un lato i giovani spesso non irrompono nello scenario politico e non si conquistano il giusto spazio, sono anche i vecchi detentori di potere e privilegi a fare di tutto per arroccarsi sulle proprie posizioni e non favorire il ricambio generazionale, in una sorta di complesso di Edipo che tanto male fa alla politica stessa. Spesso si sente dire da politici consumati che i giovani sono il futuro che bisogna lavorare per loro, come a dire “per ora ci siamo noi, poi quando non ci saremo più si vedrà” e da questi che bisogna diffidare ancor di più perché i giovani non sono il futuro lontano ma sono già il presente e devono iniziare a scuotersi da questo torpore e a prendere scelte, fare, agire, talvolta sbagliare ma di certo assumersi delle responsabilità e per fare ciò devono sentire la concreta e tangibile fiducia nei loro confronti.

Cosa si potrebbe fare per invertire la rotta? La strada da percorrere non è facile, ma questo non vuol dire che si debba gettare la spugna. Gli strumenti per offrire iniezioni di fiducia alle nuove generazioni ci sono, basta utilizzarli.

Il primo argomento da proporre ai giovani è quello del recupero del senso della collettività. Se si comprende l’importanza del proprio rapporto con gli altri e del proprio contributo all’interno della società, si può trovare ottimismo anche nell’approccio con il mondo della politica, considerandola uno strumento di aiuto alla società. Qualche realtà politica, culturale e sociale che ha come protagonisti i giovani esiste, c’è e si impegna senza tregua nello squarciare questo velo di indifferenza, talvolta anche con dei buoni risultati, ed è per questo che non bisogna essere pessimisti, l’attività giovanile va però supportata, spronata, incentivata affinchè tanta energia, e tanta genuina passione siano la base per una rinascita del paese, ai meno giovani dico: aiutateci a portare a compimento le vostre battaglie, quando queste sono ancora attuabili e funzionali, o quantomeno dateci la possibilità di costruirci il nostro avvenire, ai giovani invece : scendete in campo, riprendiamoci l’orgoglio, la sfrontatezza e l’audacia dei nostri anni migliori, non moriamo di indifferenza, non chiudiamoci nel pessimismo, possiamo cambiare se ci impegniamo. Miglioriamo il nostro mondo a partire dalle nostre case, dai nostri quartieri, dalle nostre città, perché nessun’altro lo farà al posto nostro e prendiamoci la responsabilità di essere artefici del nostro destino, non basta dare la colpa a chi ci ha preceduto, non serve abbandonare la speranza, cerchiamo di consegnare a chi verrà una società più giusta, più equa, più umana.

 

 

 

 

L’idea di autonomia differenziata per le grandi città Milano, Roma E Napoli

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Tra le tante notizie, prevalentemente polemiche, circolate negli ultimi giorni e che hanno riguardato le iniziative del primo cittadino partenopeo, una ha fatto capolino tra quelle diffuse dai media e che meritava una riflessione critica seria.

Si tratta di un progetto di autonomia differenziata per le grandi città Milano, Roma e Napoli che il sindaco Luigi de Magistris si è dato con i due colleghi Beppe Sala e Virginia Raggi, per avviare l’iter per una mini-riforma da concludere entro poco tempo.

In realtà l’idea ha un suo fondamento, infatti, sebbene la problematica delle città metropolitane (enti che dovrebbero essere preposti al governo di funzioni sovraccomunali e alla gestione di un territorio urbanizzato che vada oltre i confini del capoluogo), sia antica, la soluzione cui si è giunti con la Legge Delrio del 2014 – emanata “In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione” (sic), riforma costituzionale che avrebbe abolito le province dall’ordinamento – è stata la peggiore che si potesse trovare.

L’approvazione della Legge Delrio fu praticamente imposta da Renzi nell’aprile del 2014 per poter esibire lo scalpo delle province, individuate come enti inutili e fonti di sprechi, prima delle successive elezioni europee. La legge quindi è stata scritta frettolosamente e male. Si è sovrapposta ad altre leggi riguardanti gli enti locali, senza una coerenza, e ha generato confusioni.

L’esito pertanto è stato rovinoso: la riforma costituzionale è stata bocciata dal referendum e sono rimasti degli enti, le province e le città metropolitane, vittime di una riforma incompiuta, con funzioni e compiti ancora importanti (scuole, strade, ambiente), ma senza risorse finanziarie e personale.

In particolare le città metropolitane, previste dalla legge in numero di ben quattordici ( in realtà potrebbero definirsi tali, secondo criteri diffusi a livello internazionale, solo tre o quattro di esse), oggi non hanno un loro ruolo preciso all’interno dell’ordinamento e si distinguono dalle province soprattutto per un maggiore difetto di democrazia, non solo perché i consiglieri, al pari delle province, non sono eletti direttamente dal popolo, ma addirittura perché hanno come capo dell’ente il Sindaco del capoluogo.

Nel caso napoletano, dunque, il Sindaco metropolitano è eletto da meno di un terzo dei cittadini della città metropolitana. Questa situazione genera un’anomalia anche nella gestione “politica” dell’ente, nel senso che il Sindaco non può mai essere sfiduciato, o meglio, se lo fosse, l’alternativa ipotizzabile nel caso di uno stallo del consiglio metropolitano, è che si andrebbe a nuove elezioni per il rinnovo del solo consiglio, mentre il sindaco resterebbe sempre lo stesso.

Questa situazione ha fatto sì che nell’ente metropolitano partenopeo si raggiungesse un cosiddetto accordo istituzionale che coinvolgesse tutte le forze politiche presenti in consiglio (ad eccezione del M5S). Tutti quindi con il sindaco de Magistris che ha distribuito deleghe a quasi tutti i consiglieri. Un “papocchio” politico, criticato da una parte della dirigenza del PD; ignorato, o favorito, da quelli di Forza Italia.

La Città metropolitana di Napoli, in un primo tempo, ha vegetato come gli altri enti coinvolti nella riforma, senza avere risorse disponibili per assolvere alle sue funzioni, poi, a differenza delle altre, ha avuto la possibilità di disporre di ben quattrocento milioni di avanzo che, in virtù di una sentenza della Corte Costituzionale, sono stati resi liberi e non più bloccati da vincoli di spesa.

Il Consiglio metropolitano ha quindi deciso di spendere questo tesoretto finanziando per una parte le funzioni fondamentali dell’Ente, ma per la gran parte finanziando dei progetti presentati dai comuni dell’area che fossero in linea con un “piano strategico” in realtà mai definito ed approvato.

Senza entrare nel merito dell’utilizzo del tesoretto, c’è da evidenziare che con risorse importanti l’ente metropolitano ha, nel bene o nel male, avuto un ruolo importante sul territorio e ciò ha fatto avere apprezzamenti all’amministrazione de Magistris da parte dei sindaci dell’area.

Il tesoretto quest’anno non vi sarà, o perlomeno non nella dimensione di quello distribuito, e ciò confermerà che senza una riforma che dia anche risorse, l’ente sarà destinato a ritornare a vegetare.

Occorre quindi un ripensamento complessivo del ruolo degli enti locali, anche in chiave di una maggiore autonomia degli stessi, discorso che si era avviato con il precedente governo, ma che ora sembra essersi arenato. Ruolo che non potrà certo essere quello di distribuire a pioggia risorse, ma che impegni efficacemente l’ente ad una corretta gestione di funzioni che per loro natura, possono essere svolte solo da un ente sovracomunale.

Purtroppo vi sono segnali di una mancanza di volontà da parte dell’attuale Governo di affrontare seriamente la tematica. Infatti, recentemente, è stata impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale una legge regionale della Sardegna in quanto “La previsione dell’elezione diretta dei consigli e presidenti provinciali cozza con la cosiddetta legge Delrio, che ha introdotto l’elezione di secondo grado degli organi provinciali e “le cui disposizioni, ai sensi della giurisprudenza costituzionale, valgono come principi di grande riforma economica e sociale”.

L’ipocrisia, dopo la riduzione dei parlamentari, continua. Speriamo che, nonostante le giuste rivendicazioni,  non siano i sindaci delle tre città a peggiorare la situazione.

“Segui i soldi: troverai la mafia e la mala politica “

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Appunti per le liste pulite
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“Segui i soldi” disse Falcone che , utilizzando questa strategia, che suggerì anche ai suoi colleghi americani, inflisse colpi mortali alla Mafia colpi dai quali non si è più ripresa, almeno al livello di un tempo.
Segui i soldi dunque, segui le attività finanziarie, imprenditoriali, commerciali, di servizi e avrai la mappa completa della cappa che soffoca la nostra realtà sociale, economica, politica.
“Si sa“ che il tale ristorante, albergo, garage, negozio, centro commerciale ecc. è di proprietà di capitali sporchi, mafiosi, ma pochi si chiedono chi sono gli avvocati, i ragionieri , i commercialisti, i gestori e così via di quelle attività che rappresentano la forza anche “politica” oltre che economica della criminalità organizzata.
Un reticolo fittissimo di professionalità, di competenze e di complicità agli ordini della mafia.
Ciò a non voler parlare degli addetti, nell’ordine delle decine di migliaia, contabili, commesse , venditori, operai ed in pratica di tutte le categorie che devono al “sistema” il proprio reddito , spesso l’unico che consente loro di sbarcare il lunario .
Nel tentativo di far tornare il nostro territorio “normale” bisogna dunque “seguire i soldi” secondo la stella polare indicataci da GIOVANNI FALCONE, sdradicare cioè l’economia mafiosa anche tenendo lontani dalla politica tutto l’esercito dei suoi “colletti bianchi che ne gestiscono le attività e non mi riferisco certo, per capirci , alla povera cassiera del bar o alla commessa della boutique che , comunque e suo malgrado, rientra nell’area di consenso del “sistema “essendo interessate, per motivi di sopravvivenza, allo status quo.
Quando parliamo dunque di liste pulite ci riferiamo non solo ai certificati penali che possono essere anche immacolati, ma anche e direi soprattutto alla “reputazione” delle persone , di “come” vivono e grazie a quali redditi.
Mi riferisco a scelte illuminate dalla volontà di cambiare la nostra realtà , volte ad eliminare del tutto l’ampia zona grigia dei “professionisti” apparentemente perbene che costituisce l’indispensabile supporto alle mafie ovunque operanti.
Segui i soldi … troverai la mafia e la malapolitica!

Liste pulite e rinnovate per la nuova Campania: consensi non sommatorie di preferenze

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Sembra un luogo comune associare l’anno che verrà ad una svolta, ad un cambiamento positivo in grado di modificare in meglio la nostra vita e quella dei nostri concittadini, un semplice auspicio che ciascuno esprime rispetto al futuro.
Eppure questa volta non è solo un auspicio ma una possibilità reale. A breve infatti si tornerà alle urne per rinnovare il Consiglio Regionale della Campania: un ‘occasione imperdibile per mandare a casa un leader piccino ed arrogante , clientelare che, al di là dei suoi ridicoli proclami, resi particolarmente comici dal suo grande imitatore (Crozza), non è riuscito a governare il territorio, lasciando insoluti ed aggravati tutti i problemi.
È anno di riscatto il 2020, anno di possibile svolta , a patto che ai cittadini , a tutti i cittadini, anche e direi soprattutto agli elettori del pentastellati giunga un segnale alto e forte di cambiamento, di liste pulite e rinnovate che puntino al consenso e non a sommatorie di preferenze, nel contesto di un progetto, di una visione , di ruolo e di prospettiva, della Campania e della macroregione meridionale. Un progetto che punti al pieno utilizzo dei fondi europei per la infrastrutturazione del territorio,che consenta alle Imprese di ritenere attrattiva la Campania, che contrasti le cosiddette diseconomie esterne, soprattutto la criminalità organizzata.
Noi ci saremo , mettendo a disposizione uomini e donne, una visione di sviluppo autonomo della Campania il cui stratega fu Antonio Rastrelli e quindi idee , progetti, esperienze, ferrea volontà di lotta.
Auguri alla nostra Comunità militante ed alla nostra Comunità nazionale e campana.

Perché i “friarielli”?

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Lo sviluppo sociale, culturale e di conseguenza economico di un territorio non può prescindere dalla valorizzazione delle sue identità, specificità e tradizioni.

Questa non è più una teorica convinzione ma, come dimostrano i fatti, grazie ai tanti piccoli produttori che sono riusciti a conservare e valorizzare i prodotti che identificano il nostro territorio, è diventata una realtà.

Agricoltura di qualità significa ambiente e territorio di qualità.

E non è un caso che le maggiori produzioni agricole e vitivinicole di qualità si praticano nelle aree protette che oggi, in italia, costituiscono un vero e proprio sistema: 4 parchi nazionali, 26 aree marine protette, più di 120 parchi regionali, oltre 360 riserve statali e regionali, senza contare le zone di protezione speciali(zps) e le zone di conservazione speciale( zcs exsic) che concorrono alla rete natura 2000 europea , tanto che più del 15% del territorio nazionale è sotto tutela ambientale, un vero e proprio primato europeo.
E la regione campania, tristemente nota come la regione della “terra dei fuochi”, ha più del 30% di territorio protetto, grazie ai 2 parchi nazionali, 1 geoparco, 6 aree marine protette, 10 parchi regionali, alle diverse oasi e riserve e prima di tutto alle riserve di biosfera(2) ed ai patrimomi dell’umanità sanciti dall’unesco.

Ed è proprio in queste aree protette della nostra regione, e non solo, che si coltivano, nel rispetto delle tradizioni e delle vocazioni del territorio, prodotti di eccelsa qualità tali da fregiarsi dei marchi dop (14 a denominazione di origine protetta),igp (10 ad indicazionegeografica protetta), presidi slow food(39), e tanti altri innunerevoli “frutti” di una terra fertile e vulcanica che raccontano nel mondo la identità di questo territorio che può essere sintetizzata nella dieta mediterranea che, il 16 novembre del 2010, a nairobi, su proposta delle quattro comunità emblematiche (cilento per l italia, chefchaouen per il marocco, koroni per la grecia, soria per la spagna) venne dichiarata dall unesco patrimonio culturale ed immateriale dell umanità.

La dieta mediterranea, non è solo un modello nutrizionale rimasto costante ed inalterato nel tempo, ma è soprattutto uno stile di vita che promuove le interazioni sociali e culturali , che tutela i mestieri legati alla pesca ed alla agricoltura che si svolgono nel rispetto dell ambiente , della natura e della biodiversità, come avviene tutt oggi in tante piccole realtà del mediterraneo.

Durante la mia esperienza da presidente del parco nazionale del vesuvio, tra le innumerevoli iniziative, costituimmo “la strada del vino e dei prodotti tipici del vesuvio”.
Ricordo che con il compianto prof. Amodio pesce, noto enologo campano, che mi sollecitava in tal senso, ebbi una indimenticabile e simpatica discussione perchè, a differenza delle tutte le altre stade del vino sorte in italia, volli aggiungere al logo anche ” e dei prodotti tipici del vesuvio”.
Amodio, quando capì che ero irremovibile su questa definizione entrò nel mio ufficio e sarcastico mi disse: “ma che ci azzeccano “e’ friariell” con il vino?”
Ed invece anche i “friarielli”, una cultivar esclusiva delle campagne della provincia di napoli, insieme agli altri prodotti tipici, rappresentano un unicum ineguagliabile del nostro territorio che, con la sua bellezza, è, senza alcun dubbio, un inteccio inestimabile di storia, natura e cultura da tutelare e valorizzare.

Ed è per questo che sono stato entusiasta di aderire, anche nella mia recente qualità di responsabile nazionale dei parchi e delle aree protette dei gruppi di ricerca ecologica(gre), all appello che l amica brunella cimadomo , con la sua bc comunication, ha voluto lanciare al fine di valorizzare un altro prodotto di eccellenza della nostra terra e che, grazie al lavoro che d ora in poi si dovrà svolgere insieme agli imprenditori ed alle istituzioni che ci crederanno, anche i “friarielli” avranno il loro marchio di qualità e di identità di questo meraviglioso territorio.

Caro Bonito, ti ricordi del compianto concittadino on. Prof. Alfredo Covelli?

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Quanto sei bello, Bonito, ameno paesino dall’aria salubre che, dall’alto della tua collina e con l’Ufita in sottofondo, sovrasti l’intera Baronia, la lontana Alta Irpinia e, fiero, offri le tue meraviglie sino alla Bella Dormiente nel Sannio.

Quanto sei bravo, Bonito a non farti dimenticare da chi ti ha appena conosciuto e a farti apprezzare anche da chi non ti ha ancora scoperto dal vivo, bravo ad abbigliarti di ogni genere di ornamento fino a diventare il detentore del terzo murales addirittura più bello del mondo.

Quanto sei ingrato, Bonito che tra mille orpelli murari sei incapace di affiggere una targa a perenne memoria dei tuoi compianti concittadini, di Bonitesi, parti, colonne di Bonito come l’on. prof. Alfredo Covelli.

Di un Bonitese, tuo figlio e concittadino approdato alla Camera dei Deputati per otto legislature consecutive, Padre Costituente, decorato di guerra, plurilaureato, professore, giornalista ed eurodeputato a Bruxelles, grande oratore e protagonista di innumerevoli appuntamenti di Tribuna Politica, capace di guadagnarsi il rispetto di personaggi come Pamiro Togliatti, antiteci avversari, ma mai nemici, fondatore del Partito “Stella e Corona” fino a farne la quarta forza politica nel 1953 esprimendo ben 40 deputati e 18 senatori monarchici in un parlamento repubblicano, saggio Patriota, fine oratore, grande comunicatore, riformatore e aguzzo politico ante litteram, capace di immaginare quel futuro “partito degl’Italiani, il partito della libertà” già in un discorso del 1948 a Firenze che lo portò ad entrare nel direttivo del Movimento Sociale Italiano di Almirante che divenne Msi-Dn, di cui fu anche presidente dal 1973 al 1977, anno in cui​ guidò la scissione di​ Democrazia Nazionale​ di cui fu ancora presidente e due anni dopo, con la scomparsa di “DN”, preferì ritirarsi dalla​ politica vivendo da spettatore gli anni di Tangentopoli.

Se questo è l’Alfredo Covelli “pubblico ed istituzionale”, per Bonito e i Bonitesi era semplicemente l’Onorevole, la porta di casa sempre aperta, il sostentamento di numerosissime famiglie – e non solo del paese natio – a prescindere dal colore politico, esponente di quella Politica lontana anni luce da quella clientelare e “di scambio” di oggi, di un disonorevole do ut des.

E proprio a Bonito, centro seppur sconosciuto, portato con fierezza in ogni livello di Istituzione senza mai glissare in un generico (quanto indegno) “sono di Napoli” come altri “(il)lustrissimi” concittadini, paese da cui è partito e dove egli è sempre ritornato, per l’ultima volta nel Natale un quarto di secolo fa, vive l’onta peggiore: quella dell’ingratitudine umana.

In ben più di 4 lustri, non si è riuscito a dedicargli una strada, il corso principale che passa davanti alla casa dove tanti concittadini, ancora viventi, si sono recati per chiedere pane e lavoro e, perché no, la piazza principale oggi dedicata a tale Mario Gemma, personaggio talmente importante per il paese di Bonito e per i Bonitesi da non farne menzione nemmeno sul sito istituzionale del Comune.

Poco lontano da Largo (così cita la toponomastica ufficiale) Mario Gemma, abbiamo la via intitolata ai fratelli Cairoli di Pavia, una dedicata a Giuseppe Mazzini di Genova, una strada in nome di Francesco Tedesco di Andretta (AV), una che ricorda Arnaldo da Brescia, un’altra a memoria di Amerigo Vespucci di Firenze, una che ci rammenta Giordano Bruno da Nola, un vico dedicato a Masaniello da Napoli, un altro per il veneziano Daniele Manin, un vico in onore dei Gracchi, romani ed un Vico Elena, forse di Troia!

Una strada all’onorevole Covelli, però, nel Paese natale, nel suo paese non si riesce proprio a dedicargliela!

Eppure molteplici sono state le richieste in questi (troppo) lunghi ventuno anni dalla data della sua morte: in primis dai concittadini che mai lo hanno dimenticato, anche grazie ai comizi dei tanti candidati locali che, benché lontani anni luce dal suo pensiero politico, non hanno mancato di riempirsi la bocca col suo nome per chiedere di “votare per il paesano”, dalle colonne del periodico “Terra Boneti”, dalle numerose associazioni sul territorio non ultima dall’Unione Monarchica Italiana al cui appello, in nome del suo vicesegretario avv. Augusto Genovese, il Sindaco pro tempore, avvocato anch’egli, non si degnò nemmeno di rispondere; alle numerose richieste portate in Consiglio Comunale, invece, fu detto che per l’intitolazione di una strada debbono necessariamente trascorrere 10 anni dalla morte. Quest’anno ne sono trascorsi più del doppio.

Malgrado ciò a Roma, l’allora Sindaco Veltroni, che non proviene certo dallo stesso percorso politico ed ideologico di Covelli, e su interessamento dell’on. Antonio Tajani, dedicò al nostro compianto compaesano una strada dalle parti del Gianicolo. Anche ad Avellino esiste una piazzetta in onore all’on. Alfredo Covelli, ma non a Bonito! Che, però, non manca di dedicare una strada delle botteghe (artigianali!) a dei generici artigiani, la maggior parte ancora vivente.

C’è da registrare, però, che negli anni una targa è stata apposta. Bianca su bianco, in un posto che con Covelli poco, se non nulla, ha a che fare e che niente significa, ma è stata messa. Alla memoria. E da lì bisogna partire, dalla volontà politica di fare, dalla maturità dei tempi e dall’imperdonabile ritardo. Cui, siamo certi, non ci si voglia ulteriormente inutilmente sottrarre e l’onestà intellettuale, prima che politica, l’orgogliosa, e riconosciuta gratitudine e anche del sano campanilismo propri dei bonitesi veraci faranno sì che questo Sindaco, non il prossimo, possa affacciarsi dal balcone del Municipio che dà (finalmente!) su Piazza Alfredo Covelli!

Domani a Napoli convegno “Terra Nostra, la Campania da costruire”

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“Le associazioni politiche che interagiscono con il centrodestra in Campania mettono al centro dell’attenzione gli obiettivi della futura azione di governo.

Lo faranno venerdì 13 alle 10,30 all’hotel Mediterraneo in via Ponte di Tappia in un incontro promosso da “CAMPO SUD” sui temi dello sviluppo della Campania”.

Così una nota gli organizzatori del convegno che si terrà a Napoli domattina.

Sono previsti interventi di:

Stefano CALDORO

Edoardo COSENZA

Valentino GRANT

Costanzo IANNOTTI PECCI

Claudio LAMBERTI

Giovanni PELUSO

Marcello TAGLIALATELA

Da un lato i “bella ciao” dall’altro chi vuole realmente cambiare in meglio Napoli

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Sabato trenta novembre Napoli è stata protagonista di una giornata politicamente intensa che ha visto due mondi affrontarsi seppur a debita distanza, ciascuno ribadendo con orgoglio il proprio modo di fare, le proprie idee, la propria dignità e che marca ancora una volta una enorme differenza di approccio e di visione della città partenopea.

Da un lato a piazza Dante scende in strada il movimento delle “sardine”, non protestano per chiedere di risolvere le annose problematiche che da decenni affogano la nostra città, non una parola contro la camorra, contro la crisi dei rifiuti o per chiedere risposte alla problematica della mancanza di lavoro nonostante la disoccupazione giovanile abbia raggiunto il picco del 60%. Si manifesta contro la lega, il partito che è all’opposizione nel governo centrale e che non ha mai gestito alcun potere a livello territoriale. Fin da subito è chiaro che come a Bologna e nelle altre città dove si è svolta tipologia di manifestazione di spontaneo, genuino, apolitico ed apartitico c’è poco o nulla visto che proprio tra gli organizzatori c’è chi ha un legame diretto, ed un passato di vicinanza, se non attiva militanza, a partiti di sinistra come il pd, articolo uno, e ad associazioni universitarie e centri sociali di chiara matrice rossa. Sulla falsa riga quindi delle sardine emiliane, che già hanno sposato apertamente la causa del candidato presidente Bonaccini, rinunciando di fatto in partenza alla volontà di essere un movimento inclusivo e trasversale, la pizza partenopea ha ricevuto il plauso del sindaco De Magistris ed ha visto in piazza personaggi  noti della politica come Antonio Bassolino  ex deputato, ex sindaco di Napoli, ex Ministro del lavoro e della previdenza sociale, ex presidente della Regione Campania, insomma di certo non un neofita della politica, e che sicuramente ha maggiori responsabilità nei confronti dei manifestanti rispetto a Matteo Salvini.

Per stessa definizione dei proprio fondatori, il movimento non ha un programma politico definito, non c’è un idea reale di politica o di sviluppo territoriale, l’unico collante dei circa seimila manifestanti che si sono radunati a piazza Dante è l’odio contro quelle che definiscono le destre razziste, xenofobe, populiste , quelle stesse destre che da  più di un anno vincono democraticamente qualsiasi competizione elettorali dimostrando credibilità e affidabilità per milioni di elettori, che secondo i sedicenti manifestanti evidentemente sono vittime di un raggiro, masochisti o nel migliore dei casi troppo ignoranti o stupidi per prendere una scelta giusta. Il bersaglio principale è sicuramente il segretario federale della lega Matteo Salvini, e dei suoi tanti seguaci, che crescono giorno dopo giorno nel numero e nella convinzione che un’altra Italia sia possibile, e per questo la piazza è teatro di pernacchie, offese personali, minacce ed epiteti di certo non lusinghieri e non consoni al dibattito politico che per quanto acceso deve mantenere una sua dignità. Il successo e l’entusiasmo sbandierato sui social da parte dei partecipanti è incontenibile, anche se a riflettere bene ci si poteva aspettare una maggiore affluenza, Napoli e provincia contano più di tre milioni di abitanti e se si dovesse fare un paragone con le piazze che ultimamente ha riempito il centro-destra sarebbe impietoso per il movimento di protesta, basti pensare che a piazza San Giovanni più di centomila persone chiedevano pacificamente che venissero indette elezioni e si riconsegnasse lo scettro del potere al suo unico vero e legittimo detentore: il popolo. Questo movimento che fa della pars destruens improduttiva il proprio collante, che bolla chiunque   la pensi diversamente come fascista, che rappresenta sotto nomi, slogan e simboli diversi nient’altro che il solito vecchio mondo della sinistra, intransigente ed intellettualmente arrogante che si rivede ancora in “bella ciao” cantata con i pugni chiusi orgogliosamente rivolti al cielo. Fa da controparte l’evento organizzato dalla lega giovani Napoli all’Hotel Mediterraneo intitolato: Tax young come influisce l’oppressione fiscale sull’occupazione giovanile. In un clima di proficuo e libero scambio di opinioni si è discusso con politici come l’onorevole Gianluca Cantalamessa, membri della società civile ed imprenditori come Pasquale della Pia giuristi come Paolo Lista e tanti altri su come far decollare il mezzogiorno proprio partendo dai giovani, i quali devono essere messi in condizione di fare impresa, di trovare impiego e di contribuire allo sviluppo della propria terra senza essere costretti a fuggire all’estero. L’idea che esce chiara è granitica, l’unica soluzione possibile a questa crisi è l’abbassamento delle tasse, magari con una tassa unica e piatta che possa incentivare la crescita delle aziende e le nuove assunzioni, creare lavoro, distribuire ricchezza e rimettere in marcia un intero paese. Ecco quindi che, ancora una volta, si denota una distanza incolmabile, da un lato chi fa della protesta, del contrasto sterile e dell’odio per l’avversario politico la propria forza ed il proprio collante, e chi mosso dall’amore incondizionato per la sua terra e dalla speranza di poter risollevare il proprio territorio mette in gioco idee, cuore, passione e competenza cercando di trovare delle soluzioni concrete ed applicabili per costruire un futuro dignitoso, stabile e sicuro.

Da Garibaldi alle sardine… ma sono sempre gli stessi

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Dalle fotografie è abbastanza evidente che al di là dei numeri, ieri sera piazza Dante, era popolata quasi esclusivamente da sardine ammuffite over 50/60 e che fatto un rapido conto, null’altro sono che non i soliti post-sessantottini di sinistra che in tempi diversi hanno sempre popolato in questa città tutte le piazze del dissenso formale e strumentale ritenendosi unica (pseudo) intellighenzia in grado di stabilire ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
E’ la stessa borghesia perbenista che negli anni 70 protestava in piazza strumentalizzando gli operai contro i “padroni capitalisti”, bloccando le fabbriche e costringendoli nel tempo a delocalizzare le loro produzioni.
Sono sempre gli stessi che nelle scuole e nelle università minavano l’insegnamento e l’autorità dei “maestri”, chiedendo a gran voce il 18 politico oppure che con la scusa del rischio protestavano contro il nucleare, costringendoci oggi a compralo a caro prezzo dalla Francia e senza per questo averne diminuito gli stessi rischi.
Sono sempre gli stessi che urlando “l’utero è mio e lo gestico io” ferivano ed indebolivano la dignità della donna aprendo così la strada alla violenza di genere.
Sono sempre ancora gli stessi che per più di vent’anni brigando con il potere di palazzo, seduti alla tavola imbandita di incarichi e consuleze, hanno accumulato deficit mostruosi per le generazioni future, lasciando la città in una condizione di arretratezza culturale e di sviluppo, destinandola così agli ultimi posti (troppo spesso anche all’ultimo) in tutte le classifiche.
Ma se ci pensate bene, non sono sempre gli stessi che nel 1861 alla guida di Giuseppe Garibaldi indossando guarda caso camice rosse, vollero fare credere di avere attuato l’unità d’Italia (nei fatti e non nella sostanza), aumentandone invece il divario depredando tutto il sud delle sue ricchezze?
Tutta questa bella gente ieri sera era però nuovamente in piazza, questa volta senza le solite bandiere rosse con falce e martello ma parafrasando il cantautore Venditti, sotto il segno della “sardina” null’altro che un pesce e solo uno stupido a Napoli potrebbe farsi chiamare… “pesce”.
Le sardine, versione ittica del solito “bigottismo progressista borghese italiano”, erano a piazza Dante per protestare… ma contro cosa? Contro il livello più basso di vivibilità mai registrato a Napoli, contro la mancanza di lavoro e di opportunità che costringe i nostri figli ad andare via, contro la dilagante microdelinquenza che ci rende insicuri ed indifesi nelle nostre strade oppure contro il ritorno di enormi cumuli di immondizia di antica memoria bassoliniana? No, nulla di tutto questo, erano semplicemente lì per protestare contro la Lega e contro Salvini, un paradosso tutto italiano che vede le maggioranze combattere le opposizioni… e quando lo farebbero se non terrorizzate da esse?
Loro che rappresentano il contrario e poi ancora il contrario di tutto ciò che dicono, sono il vero pericolo. Loro… antifascisti, odiatori seriali, istigatori di violenza, tomba della meritocrazia e se vogliamo considerare il metodo Bibbiano anche “mangiatori di bambini”, rappresentano l’ultimo strenuo, quanto inutile, tentativo di imbalsamare società e politica, in un passato molto poco fruttifero con il solito refrain ripetitivo di combattere il potere precostituito per sovvertirlo e sostituirsi ad esso.
Loro, figli di Giuseppe Garibaldi, impazziscono perché stanno prendendo coscienza di essere malati terminali in via di rapida estinzione. E’ oramai sotto gli occhi di tutti i meridionali che “l’eroe dei due mondi” era solo un mercenario al soldo dei potenti (nè più nè meno dei rapporti di forza odierni fra la sinistra italiana e e la tecno-Europa dei potentati economici) e che la vera unità d’Italia non la fece lui ma la sta attuando oggi Matteo Salvini riunendo tutto il popolo italiano sotto un vero vessillo di unità, rappresentato dagli interessi della nazione, dall’economia nazionale ed internazionale fino alla difesa dei confini territoriali, perché non è più il sud ad essere il meridione d’Italia ma è l’Italia ad essere oggi divenuta meridione dell’Europa.
Senza progetti e senza programmi politici si va poco lontano ragione per cui le sardine chiarissero agli italiani cosa vogliono fare in futuro perchè noi di movimenti che hanno distrutto l’Italia ne abbiamo già uno!

* Paolo Santanelli, dirigente della Lega Napoli