La pandemia in atto oltre a provocare disastrosi effetti sanitari, economici e psicologici, ha evidenziato in maniera chiara, netta ed inequivocabile, la spaccatura irriducibile della nostra società. Siamo sempre stati abituati a dividere la nostra società in due gruppi, due squadre, due categorie distinte o per appartenenza storico-politica, o geografica senza renderci conto che in realtà la divisione è ben diversa.
Destra e sinistra sono ormai categorie di pensiero vecchie, stanche, esauritesi da forse mezzo secolo, non perché abbiano esaurito la loro carica ideale, ma perché non più adatte agli uomini di oggi, superficiali, volubili, liquidi. Ancora peggio pensare che nel 2020 si possa parlare ancora di nordisti e sudisti, di separazioni e rotture, di colpe ed accuse lanciate da un estremo all’altro del paese per nascondere in realtà le proprie mancanze e le proprie inefficienze, tanto al sud quanto al nord. L’emergenza sociale che stiamo vivendo ha scardinato anche l’ultima divisione alla quale gli amanti della politica si erano ancorati. Anche le categorie di sovranisti e globalisti sono diventati un grande concetto ideologico appannaggio di pochi appassionati, lettori di Dugin, Fusaro, Novi nel quale però non si sente inclusa la gente comune, la gente che per la prima volta dopo decenni si è vista attaccata su tutti i fronti, soprattutto su quello che mai pensava di dover tornare a difendere, quello della libertà.
Allora l’uomo odierno, persi i punti di riferimento, i porti sicuri, i punti cardine intorno ai quali condurre la propria esistenza come può non sentirsi parte di una categoria più ampia? L’uomo ha bisogno di far parte di qualcosa, di sentirsi rappresentato da qualcuno, di condividere emotivamente e fattivamente i propri interessi ed i propri bisogni.
L’Italia reale, quella degli studenti, degli operai, dei commercianti, delle piccole e medie imprese non è affatto quella che capziosamente è rappresentata nei salotti TV, quella “dell’andrà tutto bene”, quella dei soloni che ci spiegano cosa fare e come farlo, salvo poi smentirsi e gettare ancor di più la popolazione in confusione. Non è quella di Alba Parietti, Jovanotti, Fabio Fazio o tanti altri ricchi uomini e donne che raramente si confrontano con i problemi del mondo reale, come la cassa integrazione che non arriva, le periferie abbandonate, i problemi causati dall’immigrazione incontrollata.
L’Italia oggi vede da un lato i lavoratori garantiti, gli statali, i dipendenti pubblici, i “posti fissi”, molto spesso tifosi dello smart working, della didattica a distanza, del lockdown; per intenderci quelli a cui il ministro della salute Roberto Speranza in un malcelato rigurgito di comunismo in stile sovietico si rivolge per invitare a segnalare gli assembramenti all’interno del sacro inviolabile domicilio del vicino. Probabilmente a qualcuno piace ancora il clima da guerra civile dove le famiglie erano dilaniate internamente e fratelli e sorelle morivano su fronti opposti. Evidentemente ci vogliono così, l’un contro l’altro armati, in una guerra civile che però non ha nessuna epica, né vincitori, né un briciolo di dignità.
Dall’altra arte invece ci sono i lavoratori autonomi, le partite Iva, i liberi professionisti, gli stagionali e tante altre categorie che hanno visto giorno dopo giorno minati i propri interessi, i propri diritti, e spesso sono stati anche costretti a dover interrompere le proprie attività dopo anni di sacrifici. Stiamo parlando di coloro i quali reggono questo paese, i più martoriati dalle tasse, quelli che realmente ci pagheranno le pensioni, quelli che contribuiscono a finanziare le forze dell’ordine, la sanità pubblica, l’istruzione. La spina dorsale del nostro paese, la colonna portante della nostra società, uomini e donne orgoglio e vanto di questo paese che ci rendono famosi e invidiati nel mondo, basti pensare al settore agro-alimentare o della moda nei quali nonostante le indicibili difficoltà riusciamo, grazie all’ingegno e alla nostra storia, un grande fascino e quindi una grande capacità attrattiva. Questo mondo è fatto di migliaia di lavoratori che però si sono visti non solo abbandonati, ma anche tacciati di irresponsabilità, di egoismo, di voler continuare a lavorare a tutti i costi, come se questo governo ci potesse permettere di restare a casa e allo stesso tempo non morire di fame. Ma i colpevoli non sono loro.
I partiti politici escano dall’ambiguità e si interroghino seriamente sul chi vogliono rappresentare, in quali forme, e se è possibile, come sanare questa frammentazione, perché non tener conto che oggi questa è davvero l’unica spaccatura sulla quale riflettere, nostalgici di epiche contrapposizioni del passato, o se si continua a perseguire ciecamente il tifosismo politico, superficiale e volatile, la politica perderà il suo significato, il suo valore, la sua utilità, abdicando al suo insostituibile ruolo con tutto ciò che, in maniera disastrosa ed irreparabile, ne consegue.