Sembra una vera e propria crociata, una vandea istituzionale contro il mos maiorum partenopeo, usi e costumi della Neapolis di Partenope e di Pulecenella. Non bastavano i casi – montati ad arte? – sulle stese, fortunatamente non quelle di camorra, dei panni “dind’ ‘e viche”, prima vietati e poi riviste dall’inquilino di Palazzo San Giacomo. Piuttosto che sul divieto di tirare quattro calci ad un pallone in strada o peggio ancora sotto la Galleria Umberto, in una città dove il calcio è monopolio ma le strutture sportive pubbliche non esistono…….
Eppure, vi è una “guerra” ben più silenziosa e ad ampio raggio che dal palazzo della Regione Campania il presidente De Luca ha ingaggiato contro un’altra eccellenza campana. D.O.C., D.O.P. e I.G.P.
Insomma, Vincenzo De Luca già da tempo, tra il silenzio (complice?) del quarto potere, si è scagliato contro le bufale campane ordinandone l’eradicazione. Abbattere. Sopprimere. Cancellare, il diktat di Delucadonossor, per dirla con Terronia Felix della Salvadore. E con un’incidenza pari o superiore al 18% si abbatte un’intera stalla!
Questa è la ricetta di Vicienzo e, a suo dire, concordata in base a delle indicazioni ministeriali atta a combattere il fenomeno della brucellosi che è ritornato – a meno del 20% – nell’agro aversano e che, nel primo trimestre del 2022, ha visto l’ambito traguardo (istituzionale) raggiunto di oltre 1400 bufale sane abbattute e il fallimento di oltre 300 aziende, soprattutto in Terra di Lavoro.
Di parere contrario e certamente critica la posizione degli allevatori che, tra il disinteresse della stampa locale e nazionale, stanno inscenando proteste e blocchi stradali per sollevare il problema della mattanza delle bufale e del disastro dell’intero comparto produttivo il cui unico colpevole sembra essere individuabile nella sola persona di Vincenzo De Luca. Uno dei segnali che indicano che la situazione tra gli allevatori e nelle campagne casertane stia diventando sempre più critica, anzi degenerando.
De Luca, dal canto suo, forte dell’esperienza dei proclami, incurante di ciò che gli addetti ai lavori toccano con mano e che rischiano di non toccare più, annuncia tronfio un doppio obiettivo: la salvaguardia del comparto e quello della salute. Resta incomprensibile immaginare come ottenere questo risultato. Ma ciò non vieta al governatore col lanciafiamme di affermare la sua posizione e i suoi malcelati intendimenti: e cioé che la salvezza del comparto passa per la completa eradicazione dei capi di bestiame! Ammazziamo tutte le bufale e saremo salvi, dice Vicienzo. E non moriremo nemmeno di fame, chiude “orgoglioso”, mentre mostra il pugno di ferro e la ferrea volontà di non farsi intimorire da nessuno. Nemmeno da chi in quel settore ci è cresciuto, ci vive e… ci mangia. È il caso del portavoce del patrimonio bufalino Gianni Fabbris che da mesi fa notare che si sta andando in una direzione diametralmente opposta rispetto a quella della tanto sbandierata salvaguardia: fino al 2014 in Campania (dove pure già esisteva il problema che, chissà perché, come tutti i problemi da due anni a questa parte assumono i caratteri dell’emergenza) esisteva un piano che “funzionicchiava” (semicit.) e da circa un decennio. Il tutto era incentrato, manco a dirlo, sul vaccino. Che se non era la manna dal cielo, tuttavia, per dieci anni ha rappresentato uno dei capisaldi della strategia interventistica. De Luca, invece, questa volta è contrario al vaccino – e non è una (sua) macchietta! – anzi, pare sia del parere di fare “terra bruciata”. Come Attila, radere al suolo. Peggio di Attila. E non c’è fenice, né bufala che tenga!
Una vittoria, seppur di Pirro, però, è stata portata a casa dai comitati del settore che hanno ottenuto che la Regione Campania riconoscesse di non poter dare continuità al fallimento delle aziende trasformate in veri e propri bersagli dall’Amministrazione De Luca, ma piuttosto, mettendo in campo gli accorgimenti proposti dagli allevatori, ovvero insistendo sulla strategia delle vaccinazioni e del monitoraggio costante degli animali. Un successo importante che, però, non ha trovato seguito nelle aule sorde e grigie del Ministero della Salute, dove il piano proposto (e parzialmente accolto) è rimasto senza speranze. Infatti, agli occhi di chi ha letto il piano, pare proprio che il progetto sia stato scritto in maniera confusa e pasticciata con le norme emanate con il solo fine di vederle fallire.
Inspiegabile come la totale eradicazione di brucella e tbc significhi una insensata punizione per le aziende che vedrebbero così abbattuti migliaia di capi di bestiame perfettamente sani.
Tra proteste di piazza, assemblee cittadine e manifestazioni al suono di cortei funebri, c’è chi ci trova addirittura una costante: il sistema salernocentrico, diventato un’autentica epidemia che invade ogni campo dello scibile umano e animale. A dispetto del 4% dei fondi pubblici concessi agli operatori zootecnici dell’agro aversano, infatti, ben il 41% degli aiuti viene dirottato nel salernitano, che non vive la stessa drammaticità dell’altra zona di produzione di mozzarella di bufala campana, fa notare ancora Fabbris. Insomma, “ccà nisciuno è fesso” e, poiché la protesta degli allevatori il 16 luglio si sposterà a Roma, non resta che augurare: “Mamma d’ O’ Carmene”, aiutali tu !