venerdì, Novembre 22, 2024
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“Campo Sud Quotidiano” intervista Il Professor Guido Trombetti – (I parte)

Con questa intervista esclusiva al Professore Guido Trombetti, Rettore Emerito dell’Università “Federico II”, Accademico, Saggista e autore di numerosi testi scientifici, con una notevole  esperienza politico-amministrativa nel ruolo di Vice Presidente della Giunta Regionale della Campania, nonchè Assessore alla Ricerca Scientifica e all’Università dal 2010 al 2015, il Quotidiano Campo Sud da vita al suo “Forum per il nuovo futuro della città” aperto ai nostri lettori e al contributo di idee e progetti di quanti hanno a cuore  il rilancio o, piuttosto, il riscatto non più differibile della cosiddetta Capitale del Mezzogiorno.

Un sentito ringraziamento al Professor Trombetti per aver aderito all’invito di Campo Sud.

 

Attualmente Napoli, dopo molti anni di assenza, può nuovamente contare su numerosi suoi cittadini che ricoprono incarichi ministeriali ed istituzionali. Cosa ne pensa?

Certamente la contingenza di avere numerosi napoletani in posizione di alta responsabilità politica è una grande opportunità. Una opportunità che si riaccendano i riflettori su una città per certi versi trascurata. Per fare un solo esempio si pensi alla fuga da Napoli dei giovani. Essa è legata ovviamente alla scarsità di prospettive di lavoro che offre il territorio. Ed alla mancanza assoluta di centri decisionali con sede a Napoli. Neppure più una autority ha la sua sede in città. Nessuna grande impresa ha qui da noi il suo centro direzionale. I giovani più brillanti sono così costretti ad emigrare verso altri lidi per soddisfare le proprie legittime aspirazioni. Ecco più che risolvere i problemi, che è cosa sempre complessa ed articolata, io mi auguro che le prestigiose figure in posizione di alta responsabilità facciano inserire nell’agenda di governo il “problema Napoli” e poi vigilino e spingano perché si attivino azioni efficaci. Nel caso della Whirpool questo purtroppo non si è verificato con le conseguenze drammatiche che tutti conosciamo.

Quindi, come combatterebbe quest’emergenza sociale, soprattutto nelle periferie?

Napoli è una città in grande difficoltà, certamente, e ancor più sono in difficoltà le periferie. Dove è netta la percezione che lo Stato, se c’è, si vede poco. La presenza dello Stato si manifesta attraverso simboli oltre che azioni concrete. I simboli dello Stato sono riconoscibili. Hanno divise o distintivi. La loro semplice presenza dà coraggio. Restituisce fiducia. Le azioni concrete da intraprendere si deducono da una semplice ricetta. Obbligare tutti al rispetto delle regole. Di tutte le regole. Partendo dalle più elementari.

E’ chiaro che ci sono varie tipologie di nemici da affrontare. La grande criminalità. Quella che costituisce e controlla holding immobiliari, economiche, finanziarie. Non ci facciamo illusioni. Senza investire risorse adeguate è dura contrastarla. Se le procure non hanno uomini e spazi a sufficienza, mezzi informatici adeguati, se le ditte si rifiutano di far la manutenzione perché pagate con mesi e mesi di ritardo che speranza c’è di produrre azioni efficaci?

Vi è poi un secondo livello di problema; quello che rende in alcuni istanti asfissiante vivere a Napoli ed è la dimensione pulviscolare che ha assunto il comportamento illecito. Qui da noi non è chiaro a nessuno più dove finisce l’accettabile e comincia l’inaccettabile. L’atomizzazione dei comportamenti illeciti rischia di provocare la disgregazione del tessuto identitario della città. Dalle nostre parti si guarda spesso quasi con compiacente simpatia alla miriade di piccole violazioni della legalità, specie se da parte di minori. Quasi fossero estrosa espressione di napoletanità. Contribuendo a nutrire così il brodo di cultura della cultura dell’illegalità, scusate il bisticcio di parole!

Su questo versante occorre combattere una guerra speciale. Per combattere la quale bisognerebbe inviare non tanto eserciti di soldati a Napoli. Ma eserciti di maestri ed eserciti di imprenditori. Perché la scuola ed il lavoro sono le medicine di cui le periferie di Napoli hanno bisogno per guarire. E che segnano la presenza alta dello Stato. Le medicine che possono eliminare la trasmissione del virus della violenza dalle vecchie generazioni alle nuove. Che sviluppano la cultura della legalità.

Le forze dell’ordine sono indispensabili per isolare i focolai d’infezione. Ma non sono medicine. Di questo la politica deve prendere atto. Se tutto si riduce ad inviare a Napoli più truppe, che pure occorrono, è la resa della politica. E’ la politica che rinuncia alla sua capacità di intervenire in una dimensione strategica. Di respiro alto. Non prometta quindi solo soldati. Dopo un pò i soldati andranno via, e tutto sarà come prima. Napoli non è uno “scarto” dell’Italia. Napoli è lo specchio deformante dell’Italia. Dove i vizi e le virtù vi appaiono amplificati mille volte. Il luogo dove si intersecano piste malavitose che attraversano tutta l’Italia. Da dove vengono i rifiuti tossici che la camorra fa sparire nelle discariche illegali? Su quali mercati vanno le griffe di contrabbando che vengono prodotte nelle fabbriche clandestine dell’hinterland napoletano? Quale sistema finanziario lava, ricicla ed investe i soldi della camorra? Certo non le banche napoletane, visto che non ve ne sono. Dove comincia la filiera delle forniture in nero che alimenta gli affari della camorra e le tasche degli evasori?

Non voglio fare una noiosa difesa d’ufficio dei pregi di Napoli. Non posso, però, non ricordare che a Napoli sono presenti straordinarie energie vitali. In tantissimi lavorano sodo ,in silenzio, giorno per giorno producendo, in alcuni casi, eccellenze assolute. Certamente i tanti studiosi stranieri che ogni giorno frequentano biblioteche e laboratori delle nostre cinque Università e dei numerosi centri di ricerca non considerano Napoli uno “scarto del Paese”.

Sul tema dell’istruzione mi trattengo ancora un poco: Secondo il rapporto sul benessere equo e sostenibile 2018 (Bes), curato dall’Istat, in Campania il 19% degli iscritti a scuola lascia prematuramente gli studi. Si va dal 22% di Napoli, al 18% di Caserta, al 15% di Salerno, fino a realtà come Avellino dove i giovani con solo la licenza media sono meno dell’8% del totale. Solo il 52% arriva al diploma contro una media nazionale del 60%. Il 36% dei giovani campani non lavora e non studia.  

Il tema della dispersione scolastica, che vede l’Italia nel suo complesso non brillare in confronto ai dati europei, nel mezzogiorno ed, in particolare in Campania, assume contorni allarmanti.

Il problema purtroppo è antico. E qui da noi appare di complicatissima soluzione. Perché le cause del fenomeno sono di natura estremamente varia. Eppure, in Giappone in Corea in Norvegia si sono ottenuti risultati notevoli. Riducendo la dispersione notevolmente. E addirittura cancellandola per i quindicenni. Per carità, società più ricche e con storia e tradizioni diverse. Ma questi esempi servono a dimostrare che con una visione strategica di medio periodo, adattata alle caratteristiche socio-culturali ed economiche del territorio, si può intervenire sul fenomeno.

È interessante osservare che la dispersione è più alta in determinate aree del nostro territorio.

A Napoli, ad esempio, le Municipalità con la maggiore percentuale di abbandoni sia per la scuola primaria che per la secondaria sono S. Lorenzo-Vicaria-Poggioreale-Zona Industriale e Chaiano-Piscinola-Scampia.

Le cause individuate dagli assistenti sociali le più disparate: “malattia, difficoltà d’apprendimento, malattia psicologica, disagio sociale a scuola, I’alunno ritiene inutile la scuola”. E ancora in relazione alle famiglie “genitori disagiati, trasferito/emigrato, i genitori ritengono inutile la scuola, malattia genitori.”

Insomma come è ovvio, ma è bene comunque ricordarlo, la dispersione colpisce i più deboli da ogni punto di vista.

Francamente non sapremmo indicare la soluzione. Perché forse non esiste una soluzione semplice e immediata. La dispersione scolastica, direbbero gli scienziati, è un problema sistemico. È il risultato di un intreccio di cause lontane e prossime. Ma c’è un punto che  provoca un’autentica amarezza. La convinzione dei genitori che la scuola sia inutile. Convinzione che trasmettono ai figli. E ripensiamo al valore sociale della scuola negli anni ’50 e ‘60. Anche allora c’era disagio, migrazione, povertà diffusa, più di ora. Ma c’era una certezza: la scuola come occasione preziosa da dare ai figli per una vita migliore. Era un assioma indiscusso. Per cui valeva la pena fare ogni sacrificio. Tutto, diciamo tutto, passava in secondo piano in famiglia. Primo dovere del ragazzo era studiare. Poi tutto il resto, se c’erano soldi e tempo.

Siamo certi che occorrono una pluralità di interventi. Occorre che il governo e la politica nel suo complesso consideri il problema della scuola, in particolare nel mezzogiorno, come una vera e propria emergenza. Sul quale concordare un piano di interventi pluriennali e senza cadere nella tentazione di usare l’emergenza scuola come terreno di diatribe con finalità di acquisizione del consenso. Ma il primo passo consiste nel convincere le famiglie che la scuola è una opportunità per i figli, certamente la più importante che questa società è in grado di offrire a chi vive nel disagio economico e sociale. Non sarà un compito facile. Occorre che le famiglie tocchino con mano che la scuola è un ponte verso un lavoro dignitoso e qualificato, verso un cittadino consapevole e responsabile.

Quello che sarebbe un errore è pensare che la scuola, come istituzione possa farcela da sola.

Occorrerà  la partecipazione degli insegnanti, delle famiglie, degli enti pubblici, delle imprese, delle organizzazioni di volontariato….

Se frana la fiducia nella scuola franerà l’intero paese. Con danni incalcolabili per chi governa oggi. Ma anche per chi governerà domani.

 Alla luce delle sue riflessioni, come pensa di poter rilanciare e coordinare il ruolo della Città Metropolitana?

Ad oggi se provi a chiedere a un cittadino qualunque che cosa è la città metropolitana, di che cosa si occupa vedrai il suo volto atteggiato alla meraviglia. Perché in realtà la città metropolitana ad oggi non è riuscita ad incidere su nessuno dei problemi sul tappeto. In particolare non è intervenuta sul piano di disegnare una strategia di sviluppo urbano ed infrastrutturale. Eppure non ci vuol molto  a capire che il comune di Napoli da solo senza una collegamento organico a tutta la cinta metropolitana rischia di morire di asfissia. Il porto, l’aeroporto, le stazioni ferroviarie, gli assi stradali , i grandi asset commerciali non possono restare prigionieri delle mura della città. Insomma la città metropolitana più che rilanciata va creata innanzitutto nella cultura dei cittadini che devono coglierla, così come è,  per una grande opportunità. O cresce il ruolo e l’azione della città metropolitana o anche per Napoli-comune non ci sarà alcuna possibilità di sviluppo.

(L’intervista al Professor Trombetti continua sul Quotidiano di domani)

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