Quale eredità pensa che De Magistris lascerà alla città dopo 10 anni di governo?
Il dibattito intorno alla successione a De Magistris è ormai entrato nel pieno della discussione. E francamente più che guardare alle spalle mi sembra utile guardare avanti. Penso da un lato che siano utili momenti di elaborazione teorica. Occorre studiare azioni strutturate che puntino alla modifica dei comportamenti. E ciò non si può ridurre alla applicazione di prassi quotidiane senza una visione coerente. Mi piacerebbe molto però, come ho già scritto , che si pervenisse anche ad un manifesto “delle cose”. In ordine: quali sono le cose da fare, chi le fa, come le fa. Quindi non enunciati astratti , ma elenco di “cose” che riguardino l’impegno di tutti: i politici, gli amministratori, gli imprenditori, i dirigenti di enti pubblici, i presidi di istituti scolastici, i vigili urbani, i rettori, i maestri elementari…Costruire insomma una sorta di catalogo di “cose” sulle quali si impegnino innanzitutto i promotori. Addirittura si potrebbe chiedere ad ognuno di indicare un’azione, piccola o grande che sia non ha importanza, sulla cui realizzazione si impegna. Classificare tali impegni. Creare una sorta di cronoprogramma. A distanza di un opportuno lasso di tempo, per esempio un anno, operare una specie di valutazione. Verificare, cioè, cosa è stato fatto, cosa è in itinere, quali sono le difficoltà, quali gli impedimenti. In embrione è il metodo che si usa nelle aziende per migliorare i processi di qualità. Ed è anche istruttivo impegnarsi a fare, avendo delle scadenze non burocratiche ma, in un certo senso, etiche. Sapendo che si sarà soggetti ad una valutazione. Tutto ciò potrebbe avere una valenza non solo pratica ma anche educativa. Spingere ad assumere un “atteggiamento straordinario” per affrontare tempi straordinari. Perché la pandemia non scomparirà dall’oggi al domani. E la sua eredità lascerà strascichi molto seri .
Una comunità vive innanzitutto di processi educativi. E poi di regole, autorità, sanzioni. Credo che prima di provvedimenti straordinari occorra un atteggiamento straordinario. Un atteggiamento straordinario da parte di politici e comuni cittadini, scuole, università ed associazioni di volontariato, intellettuali, professionisti, imprenditori. Che ponga il problema del progresso della città al di sopra della tristezza della polemica politica spicciola, a favore di un lavoro comune e di lungo termine. Nessuno si illuda di scaricare tutte le responsabilità sulla politica. In passato al fianco della politica (e delle sezioni dei partiti) lavoravano la scuola, le parrocchie, le associazioni sportive, i cineforum, la famiglia. Oggi…. Il primo obiettivo di un atteggiamento straordinario è che si faccia (meglio) l’ordinario. I vigili elevino le multe. I professori insegnino. Gli spazzini spazzino. Gli amministratori amministrino…….
Che idea ha dello sviluppo?
Su questo versante la prendo da lontano per poi fare un esempio locale. Ciò poiché il tema dello sviluppo non può essere ridotto ad una dimensione locale.
Ma deve avere innanzitutto una collocazione dentro una visione.
Sfogliando gli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini ho ultimamente riletto il saggio Sviluppo e Progresso. E mi è sembrato nei suoi elementi fondanti di straordinaria attualità.
“Ci sono due parole che ritornano frequentemente nei nostri discorsi: anzi, sono le parole chiave dei nostri discorsi. Queste due parole sono «sviluppo» e «progresso». Sono due sinonimi? …Bisogna assolutamente chiarire il senso di queste due parole e il loro rapporto, se vogliamo capirci in una discussione che riguarda molto da vicino la nostra vita anche quotidiana e fisica.“
Che cosa si intende per sviluppo? Si intende fondamentalmente crescita economica. Attraverso la produzione di beni anche superflui.
“I consumatori di beni superflui, sono da parte loro, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere lo «sviluppo» (questo «sviluppo»). Per essi significa promozione sociale e liberazione, con conseguente abiura dei valori culturali che avevano loro fornito i modelli di «poveri», di «lavoratori», di «risparmiatori», di «soldati», di «credenti». La «massa» è dunque per lo «sviluppo»: … è portatrice dei nuovi valori del consumo. Ciò non toglie che la sua scelta sia decisiva, trionfalistica e accanita.”
Il progresso si realizza invece quando vi è una crescita della qualità della vita sociale e interiore delle persone. Il progresso ha l’obiettivo di far crescere la qualità di vita degli uomini. Il loro tasso di felicità. Che é poi il fine nobile della politica. Chi vuole il progresso?
“Lo vogliono coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare, appunto, attraverso il «progresso»… Il «progresso» è dunque una nozione ideale (sociale e politica): là dove lo «sviluppo» è un fatto pragmatico ed economico. Ora è questa dissociazione che richiede una «sincronia» tra «sviluppo» e «progresso», visto che non è concepibile, a quanto pare, un vero progresso se non si creano le premesse economiche necessarie ad attuarlo.”
Il problema di sincronia è la principale sfida per la politica. Non considerare i cittadini semplici e puri consumatori affamati di sviluppo. Ma persone protese alla ricerca di un più alto tasso di qualità di vita. Non dico che la cosa sia facile. Tutt’altro. Ma non é nemmeno impossibile. E deve essere la direzione in cui operare. Senza abbozzare soluzioni utopistiche.
Per operare nell’ottica del progresso è sufficiente avere una semplice stella polare: l’equità. Nei tempi di crisi, quando lo sviluppo non c’è, equità significa garantire a tutti l’accesso alle risorse esistenti. Nei tempi di sviluppo equità significa investire il surplus nella promozione umana, come ad esempio nella formazione, nella cultura, nella ricerca, nella sicurezza, nella socialità.
Proviamo a fare un piccolo esempio. Oggi la risorsa che fa la differenza tra persone fortunate e sfortunate è l’accesso alla rete internet. Chi ha a disposizione una rete veloce ha più possibilità di sviluppare le proprie capacità. Ricordate la nazionalizzazione dell’energia elettrica? Il fenomeno è analogo. Navigare in rete consente di arrivare a conoscenze altrimenti irraggiungibili. Di intrecciare forme moderne di relazioni sociali altrimenti precluse. Insomma di vivere una socialità ricca e cosmopolita, che arricchisce la propria vita culturale e professionale.
Abolire il digital divide è una questione di equità. Purtroppo i grandi operatori privati non sono interessati a rimuovere questo ostacolo. Perciò la soluzione del problema tocca alla politica. Perciò l’azzeramento, dico azzeramento, del digital divide a Napoli come in Campania è un’operazione che va catalogata come progresso e non come semplice sviluppo. Così come portare la fibra per la banda ultralarga a 100 mega in 119 comuni, circa il 70% del territorio, non solo anticipa le tendenze nazionali ed europee, una volta tanto, ma è soprattutto una operazione di grande equità. E alla lunga, quando sarà popolata di servizi, sarà il volano di progresso e, ovviamente, di sviluppo.