Napoli è un mondo che contiene in sé un mondo e San Gregorio Armeno è una stradina che non ha certo bisogno di presentazioni. Un luogo magico, unico, speciale, dove è Natale 365 giorni all’anno. Un’esperienza senza eguali che ti porta a ritornare nel mondo “normale” con le statuine del presepe in mano, anche se ci sono 40 gradi all’ombra. Statuine anch’esse uniche al mondo: dalla porcellana di Capodimonte alla più “popolare” creta magistralmente lavorata a mano per i volti, busto in fil di ferro, abiti delle preziose stoffe di San Leucio. Solo qualche anno fa, dalle colonne di questo giornale, si alzava forte il grido di indignazione e di difesa delle secolari botteghe artistiche che, ormai “chiuse” per assenza di turisti rinchiusi nelle proprie case dal lockdown, furono tentate da materialissimi ottantamila euro cinesi. Ottantamila euro può valere un locale, l’attrezzatura, l’ubicazione nella celebre stradina, ma non può essere il prezzo di un’arte che non ha costo, né prezzo, ma solo un valore. Non è la giusta ricompensa, né ce ne sarà mai una per la custodia e la trasmissione di qualità e tradizioni uniche al mondo.
Passata questa bufera e abbattuta la tentazione che rischiava di trasformarsi in vera necessità per più di qualche “partita iva”, un altro ciclone in questi giorni si è abbattuto sul caratteristico presepe napoletano: con il forte auspicio che non diventi un contagio, sarà per colpa della globalizzazione, del mondialismo del consumismo che è una miles del commercio, anche nella storica stradina di Spaccanapoli hanno fatto comparsa (per fortuna, solo) in una bottega dei mastri presepiari le statuine con i due segni rossi sul viso. Non è Jorit, non c’entra nulla il writer napoletano; stavolta è tutta “inclusione” e voglia di cavalcare, seppur commercialmente, il momento e il momento propina quale must “in tendenza” : la violenza sulle donne!
Le caratteristiche “puteche” non sono anonimi opifici che sfornano prodotti in serie e senz’anima, buoni solo a fare da suppellettile come si fa con le calamite da applicare al frigorifero, ma veri e propri laboratori che creano arte, prodotti artigianali di un valore unico. Coloro che li animano sono fortunati custodi di un’arte che è cultura, tradizione, religiosità e folklore messe insieme come in nessun’altra parte del mondo avviene. Meandri che sono il baluardo della trasmissione di capolavori unici che si tramandano di generazione in generazione, di padre in figlio, orgogliosamente, scevri da ogni rigurgito di patriarcato; sono creazioni che non trovano la loro giusta completezza nelle parole. Invece, le novelle statuette del genere “pittato” e pittoresco andrebbero indirizzate ad un pubblico altrettanto “conformato” che, però, non mostra chissà quali sensibilità verso il messaggio che il presepe incarna. Anzi, tutt’altro, probabilmente lo rifiuta in pieno. Non ne riconosce la simbologia che, però, vuole sostituire. Con la festa della luce, quella del sole, quella di qualsiasi cosa. E non è un cancellare la cultura del presepe e di San Gregorio Armeno questo? Con due strisce rosse sul viso? Altro che presebbio con l’enteroclisema da dietro di “cupielliana” memoria. Qua tocca dare ragione a Nennillo: “A noi ‘sto presebbio non ce piace!”.