E’ un fulmine a ciel sereno: Roberto Cenati, Presidente della storica Sezione Milanese dell’Associazione Nazionale Partigiani, si dimette irrevocabilmente dalla guida dell’Associazione meneghina, in aperta contrapposizione con i vertici nazionali che avevano anticipato l’adesione alle manifestazioni di protesta in diverse città italiane contro il “genocidio” perpetrato dagli Israeliani sulla popolazione palestinese della striscia di Gaza.
Cenati non é certo un “moderato”. Ne si può affermare che sia allineato con le posizioni governative in ordine a quanto é accaduto a Gaza a seguito degli attacchi terroristici del 7 Ottobre, che hanno causato oltre 1.400 morti israeliani e il rapimento di circa 250 cittadini di religione ebraica prelevati con violenza micidiale dai Kibbuz al confine con il territorio della cosiddetta striscia di Gaza. Molti di questi ostaggi israeliani, al netto di coloro che sono stati assassinati nel corso del Raid omicida, com’é noto, risultano, ancora detenuti nei tunnel sotterranei fatti costruire in anni precedenti anni da Hamas e che dovevano servire proprio per consentire alle milizie combattenti palestinesi di sfuggire o di nascondersi efficacemente all’esercito israeliano in caso di conflitto armato. Cosa poi verificatasi puntualmente il 7 Ottobre, con folle e criminale premeditazione di Hamas.
Ma il Presidente dell’Anpi milanese non é sembrato neppure minimamente orientato a giustificare il Governo e l’Esercito Israeliano nella loro reazione fin troppo veemente contro Hamas e le sue bande terroristiche, pur se nascosti o, per meglio dire, confusi tra la popolazione civile di Gaza per farsi scudo e proteggersi dalla indiscutibile e prevedibile reazione armata posta in essere prontamente da israele. Comunque sia e fermo restante l’assurdo e proditorio attacco terroristico alla popolazione d’Israele e le responsabilità fin troppo evidenti di Hamas, per questo terribile fatto di sangue il buon rappresentante Milanese dell’Anpi, ha sempre condannato senza esitazioni la reazione israeliana che ha prodotto, sino a queste ultime ore, diverse migliaia di morti tra civili e terroristi palestinesi.
E allora, dov’é il motivo della divaricazione e della contestazione che Roberto Cenati rivolge all’Anpi Nazionale? Quali le ragioni reali delle sue dimissioni dalla guida della più autorevole Sezione Provinciale dell’Anpi? Guarda caso, il motivo sta proprio nella partecipazione dell’Associazione dei Partigiani alle manifestazioni in sostegno della Palestina, con il ricorso al falso e fuorviante slogan del presunto GENOCIDIO perpetrato da Israele sulle popolazioni Palestinesi di Gaza.
Roberto Cenati contesta proprio questo assioma, e cioè a dire che non esiste alcun tipo di genocidio in Palestina e che le ritorsioni israeliane su Gaza sono purtroppo determinate dalla iniziativa folle di Hamas. L’Esercito di Tel Aviv , infatti, in questa fase, sta conducendo una azione militare di autodifesa, pur se cruenta e massiccia sulla striscia di Gaza. Intervento armato che dovrà certamente essere concluso al più presto per evitare ulteriori spargimenti di sangue, così come richiesto a viva voce e in maniera molto forte dalle Organizzazioni Internazionali, dall’ONU con tutti gli Stati membri, a partire dagli USA, all’Unione Europea, alla stessa Santa Sede, con gli appelli ripetuti di Papa Bergoglio.
Cenati insiste, dunque, sul significato autentico della parola Genocidio che è un termine molto preciso e discende dagli esempi drammatici che la storia ci ha purtroppo insegnato: dal genocidio degli Armeni dell’inizio del secolo scorso (con circa 1.500.000 vittime trucidate dagli Ottomani del Governo dei “Giovani Turchi”) per passare al genocidio degli Ebrei d’Europa voluto da Hitler negli anni della seconda Guerra Mondiale con oltre 6 milioni di vittime perseguitate e assassinate nei campi di concentramento, al genocidio del popolo Tutsi in Ruanda con oltre 1 milione e centomila vittime prodotte da una guerra civile scoppiata agli inizi degli anni 90 tra varie etnie originarie del Ruanda (Gli Hutu e i Tutsi) nel continente africano. E poi ancora lo sterminio di massa per fame imposto da Stalin negli anni 32 e 33 del secolo scorso nei territori occupati dell’Ucraina, contro le popolazioni rurali, con l’accusa di boicottare l’approvvigionamento di viveri e prodotti agricoli per le truppe dell’Armata Rossa. In realtà si trattò di una operazione di pulizia etnica compiuta sul popolo ucraino, notoriamente contrario alla occupazione sovietica del proprio territorio nazionale. Agli agricoltori e agli abitanti delle aree agricole fu vietato di alimentarsi con i prodotti della terra, animali da allevamento e quant’altro prodotto in quelle aree agricole particolarmente estese e rigogliose (le regioni di Kharkif, Poltava, Sumy, Cherkasy, Zhytomir e la stessa regione dell’attuale capitale Kyiv) procurando una spaventosa carestia con milioni di morti lasciati dai sovietici volutamente senza sepoltura in segno di punizione per il popolo ucraino. La grande carestia o “Holomodor”, ( in lingua ucraina si traduce in “infliggere la morte mediante la fame”) determinò lo sterminio di oltre 6 milioni di cittadini ucraini (donne, uomini, bambini, agricoltori, semplici residenti di quei territori, e poi religiosi, élite culturali e tutte le categorie considerate “nemiche del Socialismo” e del regime sovietico.
Nulla di quanto accaduto nel corso della storia nei numerosi e purtroppo assolutamente deplorevoli (per usare un eufemismo) episodi di violenza bestiale su minoranze o specifiche etnie, si sono riscontrati nel conflitto in corso in terra di Palestina. Nessuna iniziativa pre-ordinata, premeditata o studiata a tavolino, come accaduto nei casi riconosciuti di genocidio di intere popolazioni su cui ci siamo soffermati e che sono stati ufficialmente derubricati come Genocidio (o crimini contro l’umanità) dai tribunali penali internazionali, si sono concretizzati o sono stati posti in essere dallo Stato di Israele. Nessun assoggettamento intenzionale della minoranza o gruppo etnico a condizioni di esistenza intese a provocare la distruzione fisica di una comunità in forma totale o parziale. Nessun provvedimento mirante ad impedire le nascite nell’ambito di un gruppo etnico quali la sterilizzazione, l’aborto terapeutico o impedimento ai matrimoni tra componenti dello stesso gruppo. Nessun trasferimento forzato di bambini ed adolescenti da un gruppo ad un altro gruppo di popolazione o territorio diverso da quello di residenza. Nessuna pianificazione di eliminazione di un gruppo umano da parte di un altro Stato o di milizie armate. Nulla di tutto questo si é verificato nel conflitto in corso nella striscia di Gaza che possa essere riconducibile allo Stato Ebraico. Nessuna condizione di quelle enunciate, che costituiscono i presupposti per la definizione ufficiale di GENOCIDIO, si sono per fortuna minimamente palesati o, peggio ancora, determinati in questo maledetto conflitto.
Pertanto, parlare con eccessiva leggerezza di genocidio, o parlarne impropriamente, può provocare tensioni ancor più devastanti, anche per l’eco mediatico che viene offerto alle manifestazioni politiche sempre crescenti di sostegno ad una sola delle parti belligeranti. In tal modo rischiando di irrigidire lo scenario esistente e i tentativi innumerevoli di mediazione internazionale poste in essere da varie parti, che mirano ad un definitivo “cessate il fuoco” e a percorsi di distensione, sino alla creazione di due diversi Stati sia pure in un territorio molto ristretto.
Questa ci sembra la scelta più logica e di buon senso da portare avanti in questa fase. Rafforzando e stimolando ogni tentativo di mediazione diplomatica ancora necessaria. Senza dimenticare che la reazione di Israele, dopo gli attacchi del 7 Ottobre, é stata universalmente ritenuta legittima per autodifesa. E che senza gli attacchi di Hamas al popolo israeliano non ci sarebbe una guerra così cruenta a Gaza e nei territori palestinesi. Al punto in cui siamo, un minimo di prudenza e riflessione sulle iniziative da intraprendere anche nel nostro Paese, per salvaguardare la popolazione di Gaza non possono prescindere dalla esclusiva richiesta di moltiplicare le azioni di dissuasione in direzione della auspicata pace tra i contendenti. Non servono, a nostro avviso, manifestazioni di protesta ne scontri cruenti nelle nostre città che possono solo esacerbare gli animi delle parti in conflitto. Oltre a sviluppare solo polemiche senza fine e nessun risultato concreto anche tra forze politiche con diverse angolature o posizioni in ordine ad una guerra che, per parte nostra, possiamo contrastare solo con iniziative politiche e diplomatiche degne di questo nome, scevre da qualsivoglia tentativo di strumentalizzazione a fini politici nostrani.
E’ questa, probabilmente, la visione e valutazione dei fatti di Roberto Cenati. E’ questa, con tutta evidenza, la posizione che ha assunto il Presidente dell’Anpi di Milano, cui va tutta intera la nostra solidarietà per la coraggiosa iniziativa dichiarata pubblicamente e che lo ha portato alle irrevocabili dimissioni dalla Organizzazione combattentistica milanese.
“A Gaza non c’é genocidio. Le parole sono importanti, e rischiano di acuire ancor più la tragedia umanitaria in quei territori. Ma ribadisco che quel termine genocidio é improprio e vuol dire ben altro. Non mi riconosco nell’uso del termine genocidio adoperata per la partecipazione alle manifestazioni pro-palestina dell’ANPI Nazionale e, pertanto, non sono più d’accordo con la linea politica della mia Associazione. Lascio per una questione di coerenza.”
Queste le parole dure espresse da Cenati in ordine alle iniziative strumentali e fuor di luogo annunciate da un organismo così importante come l’Anpi. Un associazione combattentistica che, se pur legittimamente e ideologicamente schierata, ha sempre combattuto battaglie di libertà e di legalità in questi quasi 80 di vita Repubblicana. Una Organizzazione che, anche per motivi di contrapposizione politica evidenti, ha probabilmente abbandonato la sua prerogativa di severa e attenta osservatrice critica della politica, per scivolare nella ipocrita doppiezza della sinistra, che mira esclusivamente ad avvelenare i pozzi della politica e della convivenza civile. A partire proprio da un tema particolarmente sensibile come la crisi palestinese.