DALL’AMICO GIORNALISTA ROSARIO LAVORGNA, RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO.
1 maggio: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Se si, il lavoro di chi? di chi ce l’ha, o di chi lo cerca? di chi lo vuole? o di chi è percettore, più o meno indebitamente, del Reddito di Cittadinanza? Dei milioni di Neet che affollano la gioventù italiana? o di chi la politica riesce e non riesce a sistemare? Ma il 1 maggio è anche la festa di quella percentuale esagerata di disoccupati specialmente nel Meridione del Paese per i quali la politica, bipartisan, non trova una collocazione perché manca la spendibilità o convenienza politica dell’investimento? Uno degli errori comuni è quello di aver dimenticato che in Italia il lavoro è strettamente collegato alle tornate elettorali, tradotto, il lavoro, o meglio la dignità di un uomo, di una donna e di una famiglia si misurano come merce di scambio nel segreto dell’urna. Anche questa è l’Italia, vista fuori come una “repubblica delle banane” e che la Giorgia Meloni tenta in tutti i modi di cambiare nell’andazzo e nella forma. Ma ci riuscirà? e a che prezzo? “L’Italia non è un Paese per i giovani”, è un’espressione che abbiamo sentito tante volte, ma non solo: l’Italia non è un Paese per gli anziani, infatti scappano tutti dove le loro misere pensioni hanno ancora un valore; non è un Paese garante del Lavoro, subordinato ai ‘dictat’ dei sindacati, ai ‘niet’ di certa sinistra ormai completamente radical chic tanto da dotarsi di un armocromista per vestirsi, più che di un ideologo per continuare a capire; L’Italia è il Paese dove la politica è morta, dove il Popolo sovrano lo è solo per una carta costituzionale che tutti calpestano. Perché? è molto semplice: se tutti seguissero alla lettera i dettami e i suggerimenti di chi quella Costituzione l’ha pensata, scritta e istituita, allora l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo, non solo in Europa. I padri costituenti non erano imbecilli per niente e quella carta è stata scritta non solo per dare al Paese delle regole per uscire dall’impasse della guerra, ma anche e soprattutto per trasformare il Paese dal profondo iniziando dalla famiglia, la prima cellula della società. Ma poi quegli uomini si sono estinti e chi è venuto dopo ha pensato ad altro; il popolo da sovrano è divenuto un gregge di pecore, e dopo il boom degli anni ’60 del XX secolo assistiamo oggi all’involuzione della storia politica del nostro grande Paese, nonostante tutto. Ma ha ancora un senso festeggiare il primo maggio? No, non ne ha. E l’unico a ricordarcelo rimane il calendario!