Alla fine sono arrivati anche loro. Anche loro sono insorti. Quelli che erano stati lungamente assenti nelle proteste per il presente che è il loro futuro. I giovani. Sono scesi in piazza per protestare. O meglio, sono entrati a scuola, per protestare. Pro-testare, secondo le logiche sperimentali del ministero per la transizione ecologica e digitale, che mescia, alza i calici e brinda. Prima di blindare.
Nell’ottica della tradizione che è coniugazione del passato col futuro, è ancora Roma ad esser caput mundi. Galeotto fu il liceo capitolino Augusto Righi dove è successo il fatto: una giovane fanciulla sedicenne – e forse pure sedicente – colta in fallo mentre si faceva un tik tok, ovvero registrava un breve filmato nei locali della scuola per poi pubblicarlo in internet, alzandosi la maglia. Un poco troppo per un’insegnante che ha assistito alla scema/scena e ha chiesto alla fanciulla se credesse di trovarsi sulla Salaria, metonimia per il luogo di assembramento delle lucciole.
Immediata la replica dell’alunna che, consapevole di aver infranto il dress code, quello che prima del forzoso angliscismo di Schengen si chiamava italianamente “decoro”, gioca il jolly e si attacca al sessismo. Che ormai ha fottuto pure il politically correct e le quote rosa e va addirittura meglio del cacio sui maccheroni.
Immediatamente precettata la falange di gioventù che collettivamente ha solidarizzato con l’influencer influenzata e ha deciso di infrangere a sua volta il dress code e si è un recata a scuola in short, canotta e minigonne. La risposta dal mondo dell’informazione non s’è fatta attendere e repentinamente è iniziata la caccia alla Preside la quale, con fare andreottiano, non era presente e non s’è accorta di nulla, ma, in compenso, ha provveduto a scusarsi per l’insegnante che sicuramente non intendeva offendere la giovane. La quale, però, non si accontenta e pretende le scuse dell’accusatrice che ancora non sono arrivate. Forse pretende l’abiura e poi il rogo, senza aver minimamente proferito e preferito discettare sulla propria condotta. Un atteggiamento tipico del piscitiello di cannuccia, ovvero della persona stupida, ingenua che viene pescata con facilità. D’altronde questa è la generazione dei pronipoti dei partigiani, nipoti dei sessantottini, persino la loro degenerazione. I loro antenati, a differenza loro, anziché scoprirsi, si coprivano con eskimo e Hazaret 36, e andavano in piazza a dare e (soprattutto) a prendere mazzate contro i coetanei in bomber e anfibi in nome di una ideologia. Ma questa è la (de)generazione delle sardine, che non sono altro che i baccalà dei loro nonni squali e bisnonni piranha, pur confrontatisi e scontratisi con la generazione dello stoccafisso.
A giudicare dall’argomento della protesta, dei meri “pesci pigliati co’ ‘a botta”, ovvero senza spina dorsale, verso quella scuola che più non forma, che non prepara al futuro e che non dà più nemmeno un metodo per studiare. Quella scuola europe(ist)a misurata a colpi di crocette da test “Invalsi” e sui cui l’Europa non ha mai avuto da ridire, da pretendere per alzarne gli standard. Quelle scuole dove ormai non insegnano più la ricerca, che è filosofia, che è amore per il sapere e dove manca persino la carta igienica, usata al posto dello spirito critico. Quella scuola sostituita dalla DaD che è solo la variante all’edificio freddo, malfunzionante e fatiscente.
Eppure proprio in questi giorni il mondo della scuola vive una tragedia doppia, la conseguenza di quella riforma spacciata come “Buona Scuola” che pre-vede l’alternanza scuola-lavoro, ma che ha fatto due vittime. Minorenni. Non retribuite. E di qui al caporalato il passo è breve… a istituzionalizzarlo.
Il Righi di Roma non è che solo l’oblò di un acquario nazionale in cui esiste – Vivaddio! Nel senso dell’acronimo greco ictùs, non “colpo”, ma “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore” – anche quella scuola che è scesa in piazza per solidarietà nei confronti di queste due giovani vittime cadute nemmeno nell’adempimento del proprio lavoro e che hanno trovato la risposta dello stato nei manganelli inviati dal Viminale. Perché evidentemente tra i banchi, seppur non a rotelle, c’è ancora chi osa e usa pensare. Al confronto della massa, nemmeno minimamente infuriata dalla mancanza di fondi, dai turni a scuola per via non del sovraffollamento, ma perché le aule sono troppo piccole per con-tenere il covid; non per l’obbligo di mascherina o per un obbligo di cui non esiste obbligo circa il vaccino che è strumento propedeutico per la frequenza in presenza e per sostenere gli esami. Per questa scuola che non fa accedere ai laboratori per… boh; perché non forma, ma uni-forma, figlia perennemente minorenne e inguaribilmente minorata di quel 6 politico a dispetto della competitività e della meritocrazia. E loro ci cadono come dei perfetti “pesci a broro”, esseri rammolliti e amorfi che nulla pretendono per il proprio presente, condizione essenziale per il proprio futuro. E chissà, se anche questa protesta dai contenuti penumaticamente vuoti e retorici, a giudicare anche dallo spazio riservato dalla complice in-formazione, non sia solo una controprotesta creata ad arte per mascherare problemi fin troppo evidenti anche con tutte le precauzioni e le mascherine del (nuovo) mondo. E voi, ancora una volta, avete abboccato.