Alla fine non ce l’ha fatta. O forse sì, l’insegnante trentatreenne calabrese che ha deciso di darsi fuoco davanti alla caserma dei Carabinieri di Rende, in provincia di Cosenza, per protestare contro le misure restrittive del governo.
Misure restrittive illogiche secondo gli esperti, inefficaci alla prova provata che hanno di fatto escluso il professore, e tanti altri come lui, dal diritto al lavoro su cui si fonda questa democratica repubblica sin dal 1948.
Si dice fosse vaccinato. Si dice non lo fosse. Ma solo che non volesse piegarsi all’obbligo velato del green pass ottenibile con la somministrazione di tre dosi di vaccino. Certificazione che ha tutte le caratteristiche per essere un vero e proprio ricatto, ma non è questo il punto. Ciò che è incredibile è che nulla si sa di questo professore disperato perché gli unici deputati ad informare, così formati e in-formando a loro volta, si sono omologati al silenzio. O all’assenza di informazione che sovente viene imposta attraverso la cernita delle notizie.
È vero, in rete si trovano vari video di questa nuova torcia umana, addirittura per il comune cittadino è possibile riuscire a vedere la foto dell’uomo ustionato appena entrato in ambulanza. Non vale la pena riproporle perché non hanno più forza del gesto dell’insegnante disperato. Anche se verrebbe da chiedere se il primo soccorso praticato a bordo del mezzo dal personale d’emergenza sia quello di immortalare l’immagine dell’eroe del giorno. O del povero disperato, se volete.
Lo sconosciuto insegnante è diventato la nuova torcia umana, un emulo di Jan Palach dopo oltre mezzo secolo. Necessario. Vergognosamente necessario. Anche a Praga tutto iniziò annullando la libertà di stampa, limitando il diritto di riunione e poi di sciopero. Poi a parlare solo la “Zpravy”, la voce del regime sovietico. Ad acuire la drammaticità della situazione, la mancata partecipazione della maggior parte della gente. Quella era la Cecoslovacchia dell’invasione sovietica del ’68. Questa, invece, pressoché identica, è l’evoluta Italia di Draghi, del governo della transizione ecologica e del modernismo sfrenato. Come nell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche occorreva la propiska anche solo per circolare, in Italia oggi ci vuole la carta verde anche solo per guadagnarsi da vivere. Come a Praga allora, anche qui ormai la gente è costretta a bruciarsi viva in piazza per scuotere la coscienza di questi corpi vuoti a perdere. A perdere i diritti. A perdere la libertà. A perdere la dignità. “A sperare che è sparire, eclissarsi dallo spazio pubblico come soggetti attivi e padroni del proprio destino”. Ricordate Domenique Venner e il suo monito di insorgere contro il fatalismo? “Non si spera, si vuole. Si agisce, ma sempre senza speranza.
“Senza speranza significa senza illusioni, ma anche senza paura. Senza zavorre, senza padroni. Ma sempre con il cuore. Chi spera non sa amare perché non sente quel certo fuoco dentro che ti fa gettare il cuore oltre l’ostacolo. Quel qualcosa, quell’elemento magico che a noi piace chiamare appunto disperato amore. Perché non spera, perché non muore. Perché ostinato. Perché combattente. Forse romantico. Come solo gli innamorati sanno essere”, come scrive Scianca in “Riprendersi Tutto”.
Un martire, forse un eroe, sicuramente un altro suicidio di questo stato che ha cessato di essere Patria, terra dei padri, che non si cura più del suo humus vitale, dei suoi figli che ancora, nonostante tutto, sono costretti e disposti ad immolarsi per lei.
Il professore è un esempio scomodo, da non riportare non ricordare, da eclissare perché non diventi esempio.
Perché non diventi il primo di tanti come per gli imprenditori suicidatisi ai tempi di Mario Monti presidente del Consiglio. Come Jan Palach, la torcia umana numero uno. Che ha voluto insegnarci a insorgere, a ribellarsi, a lottare. Un cattivo maestro!