La Campania non è ancora guarita e l’Italia tutta non ha ancora saputo dell’infanticidio provocato in una clinica partenopea per troppo rigore nell’applicazione di un protocollo Covid, che già Napoli offre un nuovo caso, forse peggiore e non differente per gravità.
Ospedale Cardarelli, ops!, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale, il maggior ospedale della Campania e dell’intero Meridione, nonché il primo a livello nazionale per la cura dei grandi ustionati, costruito in epoca fascista e perfettamente funzionante, ma non funzionale. Un uomo, ricoverato per sospetto Covid, viene ritrovato morto nel bagno da una altro degente che documenta tutto col suo telefonino. Sospetto Covid è la “lettera scarlatta”, la nuova stella gialla, la contemporanea condanna. Chissà se pure questa volta si mancherà di ottemperare al protocollo sanitario che bandisce le autopsie, tanto per (non) capire, cosicché il certificato di morte rechi la formula ormai “istituzionalizzata” “morto per Covid”. Un altro. Ancora. Tanto era sospetto per cui nessuno mai sospetterà. Una forma che uniforma, identifica e anonimizza, che richiama probabilmente quel “nato il 1 gennaio 20..” valido per 1000 anni e già buono oggi per tutti coloro che toccano terra a Lampedusa ed hanno bisogno di una nuova identità. Senza più una storia, un passato, come quelli che non hanno più nemmeno potuto salutare per l’ultima volta gli affetti più cari, anch’essi stipati tra attesa e angoscia in squallide sale d’attesa. E che continueranno ad attendere per il resto della loro vita una verità, magari stravolta, stavolta davvero senza tempo. Il giorno dopo è sempre quello della polemica fatta da chi resta e che ancora affolla questo mondo, sterile come solo può essere chi sciorina la soluzione e propaganda di avere la bacchetta magica, ma tende, spesso se non sempre, a confondere la causa con l’effetto. Le immagini della morte di quest’uomo, per quanto crude, oltre ad essere una preziosa testimonianza utile ai fini processuali, raccontano la verità del nostro tempo, la crudezza di questa vita, le condizioni della nostra sanità. Purtroppo si muore anche negli ospedali che è un ossimoro, una contraddizione in termini così come lo è una pandemia nel 2020. Come il “restate a casa” ché “andrà tutto bene” prima, durante e dopo la quotidiana lettura del bollettino della morte. Che tutela è quella che raccomanda di non affollare gli ospedali se per mesi vi è stato un martellamento continuo che ha generato paura del e nel prossimo, che ha dilaniato famiglie con tanto di inviti a non vivere persino l’intimità perché veicolo di contagio? Perché se corsie e reparti sono il nuovo Grande Fratello programmato con tempi da lockdown, una verità senza filtri deve essere criticata se non censurata? Non è la spettacolarizzazione della morte, bensì l’assassinio in diretta della vita. Si sprecano oggi le etichette per il testimone di una scomoda verità: un “paziente ossessivo, sempre vicino alle apparecchiature mediche”; “un disturbato” è stato definito questo paziente ben poco paziente dai vertici dell’Azienda ospedaliera, ma che, purtroppo, ha avuto ragione. Ci aveva visto bene, forse per “esperienze pregresse” proprio in quella sanità con cui qualcuno vorrebbe guadagnarsi la santità. Un nome su tutti Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania che continua gelosamente – e vergognosamente – a tenere per sé la delega alla sanità. È vero, quel che è accaduto poteva accadere in qualsiasi ospedale del mondo, ma il fatto è che è accaduto a Napoli. In quella Napoli presentata qual fiore all’occhiello nel bel mezzo di una pandemia che gli ha fruttato un consenso plebiscitario, oggi considerevolmente ridotto. Sacrosanti i complimenti a personale medico e paramedico che opera in condizioni disumane che nemmeno nel disastrato Burundi, ma dai vertici del settore, che sono gli stessi della presidenza della Regione, si pretenderebbe che si facesse di più anche solo in merito all’organizzazione, al modo di lavorare e che, invece, aggiunge caos a insufficienze di uomini e mezzi. Altrimenti i complimenti senza risultati concreti non sono altro che una lavata di faccia oggi che tutti hanno l’acqua corrente in casa, una pisciata di letto di un paziente a cui non si può nemmeno cambiare il catetere, una vita umana finita nel cesso di un ospedale che lì sarebbe dovuta essere preservata. Ma questi devono essere i giorni dello sciacallaggio mediatico del paziente testimone di questa vergogna, della colpevolizzazione fino al vittimismo di quella Campania che, purtroppo, non racconta storie diverse, di questa terra in cui è meglio continuare ad infangare la verità a discapito dell’onestà. Questo è il giorno in cui i veri colpevoli si prodigano in complimenti ai medici tanto per sciacquarsi la coscienza e con la vicinanza – in tempi di raccomandazione di distanziamento che è diventato il nuovo Vangelo- tentano di alleggerire le proprie coscienze. Per quanto possa servire.
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Il giorno della polemica, o meglio, della vergogna !!
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