Erano gli anni del post terrorismo. Le Brigate rosse erano sconfitte. La strage della stazione di Bologna era stato l’ultimo atto scellerato di violenza terroristica attribuito al terrorismo nero, pur se ancora oggi rimangono lati fin troppo oscuri e reticenze sulla compromissione di frange dei Servizi Segreti deviati, nella genesi e nell’organizzazione della terribile strage. Le generazioni di giovani tra i venti e i trent’anni furono “investite e travolte” da eventi raccapriccianti, violenti, intollerabili. Anche quei giovani più impegnati in politica, tanto a Destra quanto a Sinistra, iniziarono ad interrogarsi sulle ragioni di tanta violenza inutile e disumana. Si iniziò a registrare una sorta di distacco dalla politica. I giovani iniziarono ad accusare tutto e tutti. Prevalse un sentimento di insofferenza verso lo Stato, i Partiti politici, le Istituzioni. Anche i quotidiani più accreditati e l settimanali più noti, che potevano contare su tirature per quei tempi incredibili anzi, strabilianti, evidenziarono e segnalavano con pagine e pagine di indagini sociologiche e inchieste approfondite questo fenomeno in rapida evoluzione. Fenomeno che assumeva sempre più le forme del disimpegno sociale e politico. E del contestuale o, per meglio dire, conseguenziale ripiegamento nella sfera del privato delle giovani generazioni. Si parlò di reflusso, a causa di troppe disillusioni, della mancanza di fiducia per i segnali poco incoraggianti e per l’affievolirsi dell’appeal della politica nei confronti di giovani studenti liceali o universitari. Si preferivano nuovamente serate in casa tra amici o antichi svaghi un pò demodè (per quegli anni) quali le discoteche frequentate “in comitiva”. Niente più discorsi o impegno politico. Niente militanza. A Destra come a a Sinistra. Il reflusso aveva colpito tutti e contemporaneamente in quegli anni 80.
Ma sul finire del 1981, un non troppo conosciuto cantautore siciliano, incide una canzone molto orecchiabile, nuova nel suo genere, ma con un testo da interpretare fino in fondo. E’ Franco Battiato con “Cerco un centro di gravità permanente”, pezzo contenuto nel suo album in vinile “La Voce del Padrone”. Che riscuoterà un enorme successo.
Ma il clamore che susciterà in quei ventenni e trentenni degli anni 80, in piena crisi di “reflusso”, sarà sbalorditiva. Tutti, immediatamente, si riconobbero in quella canzone e, soprattutto, nel titolo di quella canzone. In particolare, e chissà mai perché, i ragazzi di Destra! “Cerco un centro di gravità permanente” era proprio quello che cercavano quei giovani disillusi o traditi dalla politica. E Franco Battiato, con i suoi testi non comuni ed impegnati, divenne immediatamente una icona di quei giovani. Il suo messaggio divenne virale, la stessa insoddisfazione dell’autore che “non sopporta i cori russi”, “la new wave italiana”, e il “free-jazz punk inglese” diventa la medesima sensazione di “rifiuto” per ciò che non piace a quei giovani. E che cercano, con Battiato, il loro centro di gravità permanente. Per trovare o ritrovare una loro dimensione. Senza infingimenti o condizionamenti esterni. Ed è per questo che quella generazione di ventenni e trentenni del 1982 ancora canticchia con entusiasmo e un pizzico di nostalgia le canzoni di Franco Battiato. Un poeta profondo dei nostri tempi, più ancora che un cantautore. Divenuto poi nel tempo un musicista fine e delicato, apprezzato in ogni parte del mondo.
Addio Franco e grazie per i messaggi confortanti e pieni di fiducia che hai indirizzato a quei ragazzi con i tuoi testi. Testi che invitano a disprezzare e rifiutare ogni tentativo di omologazione e di “pensiero unico” che si tenta di imporre troppo di frequente e subdolamente. E, piuttosto, come ci hai insegnato, cercare sempre quel “centro di gravità permanente che non ci faccia mai cambiare idee sulle cose e sulla gente”. Un messaggio fondamentale di vita e di coerenza, il tuo, che sarà ascoltato e seguito anche dalle generazioni future, grazie alla tua splendida musica e ai tuoi testi immortali.